Dizionario delle tristezze senza nome

Atipografia | Rhizoma. La mostra personale di Josh Rowell | 7 ottobre 2023 - 20 gennaio 2024 | Arzignano, Vicenza

Può sembrare strano ma non tutti gli stati d’animo hanno un nome. A colmare questa lacuna c’ha pensato John Koenig col Dizionario delle tristezze senza nome. E l’ha fatto ricorrendo a innesti tra lingue diverse per dare vita a nuovi neologismi, forse in grado di aiutare qualcuno a sentirsi meno solo. Avvertenza: la tristezza del titolo viene dal latino satis che significa pienezza.

foto: un’installazione di Josh Rowell

chrysalism

s. l’amniotica tranquillità di trovarsi all’interno di un riparo durante una tempesta.

Dal latino chrysalis, la pupa di una farfalla.

kairosclerosis

s. il momento in cui ti guardi intorno e ti accorgi che sei felice – mentre tenti consapevolmente di assaporare la sensazione –, il che suggerisce al tuo intelletto di identificare quel momento, isolarlo e inserirlo in un contesto dove lentamente si dissolve finché tutto quel che ne rimane non è che un leggero retrogusto.

Dal greco antico καιρός (kairos), un momento sublime o opportuno, + σκλήρωσις (sklḗrōsis), irrigidimento.

scabulous

agg. orgoglioso di una certa cicatrice presente sul tuo corpo, simile a un autografo che ti è stato dedicato da un mondo riconoscente per la tua continua disponibilità a giocare con lui, anche se ti ferisce.

Da scab, cicatrizzarsi, + fabulous, splendido.

jouska

s. una conversazione ipotetica che reciti mentalmente in modo compulsivo – un’analisi nitida, una replica mordace, una chiacchierata sincera dagli effetti catartici – e che funziona come una sorta di gabbia di battuta1 psicologica, molto più soddisfacente rispetto alle strategie small-ball della vita di tutti i giorni.

Dal francese jusqu’à, fino a che. Nel baseball la small-ball è una prudente strategia d’attacco mirata a ottenere la base mediante piccoli traguardi, walksbunts e steals, rinunciando ai momenti grandiosi dell’home run che quasi tutti i tifosi adorano.

slipfast

agg. il desiderio spasmodico di sparire completamente; di mischiarsi a una folla e diventare invisibile, cosicché tu possa osservare il mondo senza essere costretto a farne parte; libero di girovagare fra le conversazioni senza mai lasciare impronte, libero di tuffarti profondamente nelle cose senza timore di provocare spruzzi.

Da slip, andarsene o volare via in segreto, + fast, rafforzato contro un’aggressione.

looseleft

agg. provare un senso di perdita non appena si arriva al termine di un buon libro, percepire il peso della copertina posteriore che allontanerà definitivamente da te le vite dei personaggi che sei arrivato a conoscere così bene. (il mio preferito)

Da looseleaf, foglio di carta staccabile, + left, partito.

volander

s. l’evanescente sensazione di guardare il mondo dall’alto del finestrino di un aereo, di riuscire a cogliere scorci di luoghi sperduti e remoti che non avresti mai visto di persona, libero di lasciar vagare la mente tentando di immaginare come debba essere laggiù, a terra: quanto di più vicino a un punto di vista obiettivo.

Dal latino volare + solander, una scatola a forma di libro usata per conservare le mappe.

licotic

agg. l’eccitazione ansiosa che provi nel sottoporre a un amico una cosa che consideri stupenda – un album classico, un ristorante preferito, un programma televisivo che per sua fortuna non ha ancora visto – e che ti spinge a sondare continuamente l’espressione del suo viso in attesa dell’inevitabile moto di ammirato stupore, solo per sentirti in estremo imbarazzo quando vedi trasparire per la prima volta tutti i difetti della cosa in questione.

Dall’inglese antico licode, [ti] è piaciuto, + psycothic, psicotico.

exulansis

sla tendenza a rinunciare a parlare di una certa esperienza perché le persone non riescono a provare empatia per il fatto raccontato, che sia per invidia, per compassione o mera estraneità. Questo consente all’esperienza stessa di perdere contatto con il resto della tua storia, finché non finisce per sembrare fuori posto, quasi mitologica, vagando ininterrottamente nella nebbia senza più nemmeno cercare un luogo dove posarsi.

Dal latino exulans, esule, vagabondo, derivato da Diomedea exulans, nome latino dell’albatro urlatore, che trascorre la maggior parte della propria vita in volo, posandosi a terra raramente, e proseguendo per ore senza battere le ali. L’albatro è un simbolo di buona fortuna, di una maledizione e di un fardello e, a volte, di tutte e tre le cose insieme.

Dizionario delle tristezze senza nomeultima modifica: 2023-10-30T13:34:38+01:00da hyponoia

10 pensieri riguardo “Dizionario delle tristezze senza nome”

    1. Avevo detto: “ci devo pensare…” e, infatti poi, ci avevo pensato e ci avevo pensato pure assai, cercando di trovare quanto fossero coerenti i nuovi neologismi del Koenig con quegli stati d’animo. Stati d’animo che, qualcuno più, qualcuno meno, conosco tutti e, sempre qualcuno più, qualcuno meno, li amo tutti. Così, neologismo dopo neologismo, ero arrivato alla fine. Come promesso, ci avevo pensato e potevo anche rispondere. Il problema è che, poi, ci ho ripensato.
      Così, pensandoci di nuovo e meglio, mi sono accorto che quella di Koenig era solo una ricerca non utile all’umanità nel senso che inventiamo un neologismo che spazzi via tutti gli altri e sia universalmente riconosciuto come quello migliore e più facile sia da dire che da utilizzare. Questo sarebbe bellissimo e, soprattutto, semplificherebbe la vita a chi vuole definire un proprio stato d’animo.
      E qui il mio ripensarci prende corpo e mi fa dire: “Koenig, ma ci sei o ci fai?”
      Cioè, per fartela breve, una mia amica s’innamorò di me perché una volta, vedendomi un poco assente, mi chiese “qualcosa non va?” ed io le risposi: “No, tutto ok, solo che oggi non sto tanto per la quale”.
      Capisci Koenig? Quel mio “non sto tanto per la quale” era uno stato d’animo che le fu subito chiaro. Non andava tradotto, perché non è un malessere, ma è quella momentanea voglia di stare altrove. Un altrove che, in quel momento, può essere tanto un luogo, quanto una persona.
      Gli stati d’animo, fra l’altro, sono come i gemelli che differiscono solo per un particolare e sicuramente per distinguerli il neologismo dovrebbe essere facile facile come un nome. Così sarà facile memorizzare che Gigi è biondo, Luca è moro, Andrea ce l’ha corto e così via.
      Ora non sto dicendo che “non sto tanto per la quale” sia meglio delle tue sciarade, perché la mia è solo una semplificazione del tipo: “non so oggi che cazzo ho”, ma sto dicendo che per accoppiare il mio stato d’animo alla sciarada giusta ti serve andare in giro col tuo libro e cercarla. Non c’è immediatezza. E poi, diciamocelo, una malattia è una malattia, mentre uno stato d’animo, amico mio, ha dentro di sé proprio la voglia di raccontarlo a qualcuno, la voglia di sentirsi esplorata:
      “cos’hai?”
      ”niente… solo che, quando arrivo al termine di un buon libro, provo un senso di perdita… percepisco il peso della copertina posteriore che allontanerà definitivamente da me le vite dei personaggi che sono arrivata a conoscere così bene…”
      “mmmm, anche se è uno stato d’animo che non mi appartiene, comprendo quel disagio. Personaggi che non solo hai conosciuto, ma a cui ti eri affezionata. Senza che lo sapessero, occupavano un po’ della tua giornata. Un po’ come ascoltare i discorsi dei vicini perché i muri li lasciano passare oppure guardando il bucato steso ad asciugare capire i gusti della tua vicina…” e blablabla così via, il dialogo è appena iniziato.
      Mentre, con le tue sciarade, andrebbe così:
      “cos’hai?”
      “quella sensazione di looseleft”
      “ah sì, succede anche ad altri”. Fine del discorso.

  1. A giudicare dalla disamina così articolata, non è difficile credere che c’hai pensato a lungo…resta solo da capire come fai a ricordare i discorsi messi in stand by da mesi 🙂

    ”niente… solo che, quando arrivo al termine di un buon libro, provo un senso di perdita… percepisco il peso della copertina posteriore che allontanerà definitivamente da me le vite dei personaggi che sono arrivata a conoscere così bene…”; questo è da me.
    “guardando il bucato steso ad asciugare capire i gusti della tua vicina…”; questo è da voyeur.

  2. Quando leggo qualcosa da cui posso prendere uno spunto oppure qualcosa che voglio rileggere in un altro momento o qualcosa che voglio commentare – ma “ci devo pensare…” – clicco sulla stellina e lo archivio nella cartella “a dopo”. Qualcosa poi, resta là e quando ripulisco la ritrovo :))
    Su quel “questo è da me”, lo so, l’avevi messo fra parentesi 🙂
    Comunque, buon pomeriggio.

  3. Incredibile, siamo online contemporaneamente… trascrivevo una pagina a mio parere bellissima sul mare. Scritta da uno che come te gode giornalmente di quell’impareggiabile meraviglia.
    Buon pomeriggio a te. E che non sia eccessivamente afoso 🙂

    1. Hanno ragione loro, i francesi.
      La mer,
      genere femminile.
      Perché lei, il mare, è femmina,
      generosa o possessiva, docile o aggressiva,
      tenera o tenace, fredda o passionale.
      Comunque e sempre, femmina.
      E lei, il mare, senza di lui
      è malinconica e dormiente come una laguna
      con l’onda che, scocciata e senza voglia, a stento sulla riva si strofina.
      Ma quando s’alza il vento,
      lui.
      E lei, il mare, a lui si lascia andare, e lui
      le mani addosso
      dapprima l’accarezza, poi l’abbraccia.
      Le alza l’onda, la solleva, poi la distende
      e poi
      poi la prende e vanno, vanno.
      Assieme.
      In tutti i sensi, con tutti i sensi.
      Per noi, una tempesta.
      Per loro, soo amore.
      E vanno, vanno.
      Assieme.
      La mer e il vento.
      Sotto lenzuola fatte di nubi chiare e scure.
      La mer e il vento.
      Assieme.
      E poi
      con la sua mano, brezza
      lui
      doce doce l’accarezza.
      :))

    1. Eheh, smemoranda mia, la conoscevi già, ma non ricordi. Te l’ho riproposta perché ti piacque quel “la mer” che, in fondo è vero e lo era anche per te 🙂
      Buona sera…

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