Ingoiamo rospi

orizzonte degli eventi

Sarà stata la giornata pesante o un qualche accidente che mi ha turbata, ma avevo deciso di chiudere con questo libro. Troppo denso, sebbene sia stata proprio la sua vischiosità a indurmi all’acquisto. Poi però, come folgorata sulla via di Damasco, mentre lo sfogliavo un’ultima volta quasi a cercare un appiglio per tornare sui miei passi, mi sono imbattuta in alcune pagine che erano di là da venire se avessi rispettato la cronologia di lettura. A questo punto che ci sia o meno un prosieguo, poco importa. Da lettrice resterò infinitamente grata a uno scrittore che, non per partito preso ma per manifesta maestria, sconfessa la boria delle classifiche di vendita.

Ingoiamo rospi

“È chiaro, terribilmente chiaro, cosa fa male. L’avanzo, il ristagno, il non elaborato, il non digerito. Il residuo che non si riesce a mandar giù, il boccone che va di traverso e resta sul gozzo. Tutti gli eventi – immagini, emozioni, ricordi, omissioni – messi da parte, dismessi, apparentemente risolti, chiusi, liquidati, eccoli che s’aggrumano, sedimentano, ristagnano e a un certo punto tornano a galla e balzano fuori, così, come impertinenti revenants, come fantasmi. Scarti e frammenti e inciampi: quello che sei stato e che sei, e sempre sarai.

  A poco a poco restiamo intasati dalle faccende non sottoposte a verifica, da avvenimenti masticati solo a metà, da baci dati troppo tardi o solo per gioco o non dati proprio. Quel che non è stato assorbito, capito, verificato, sondato; quello che intossica. Tutto ciò che è sepolto ha il sonno agitato. Immagini e sensazioni che assillano, sorsate amare. Ingoiamo rospi. La solita illusione, la solita ostinata, disperatamente infantile arroganza del “non posso continuare così, continuerò”; del “non ce la posso fare, ce la farò”. Cares of the past are behind: neanche per sogno. Tutto riaffiora. E tutto ciò che riaffiora avvelena, turba, disturba. Ciò che ci toglie il sonno, che infesta le notti.

  E uno, insomma, si ritrova così, desto nel buio, con la notte che ingigantisce, estremizza, distorce, paralizza. Lame di luce tra le tapparelle, tempi dilatati, rumori attutiti che si prendono la scena, riempiono il vuoto. Dormi, ma dormi male e ti svegli, ed entri in ascolto. C’è una controvita, la notte, un sottomondo di trascurabili incidenti, di microeventi. Lievi crepitii di assestamento, tubature che sgocciolano, auto che passano rade in strada, magari sul bagnato, dopo la pioggia, lo scalpiccio saltellante di uno/una che a piedi nudi è costretto/a ad alzarsi nel bel mezzo della notte e, tipico, niagarico, assurdamente netto, risonante, in ogni caso obbligato, consequenziale il gorgogliare mentre il palazzo è assopito. I rumori della notte, le fantastiche ambigue e sterili attese della notte, i suoi spaventi. Ci bado da quando ero bambino e immagino tutti abbiano sciocchi ricordi così, popolati di sonore minuzie, e di irrilevanza. Lo zampettare dei bacherozzi sulle mattonelle sconnesse; il ruscellare della fontana nel cortile. Il suono di una campana che batte le ore. A volte le sirene di un’ambulanza. Più spesso una sveglia imbecille che dà sui nervi.

  Ormai sono troppo vecchio per farci caso. Non me la prendo più, sarebbe vano. E poi a volte questi stradannati risvegli  sono una liberazione, anche se scocciano. Traumarbeit Macht Frei: un accidente. È nei sogni che quel boccone sul gozzo si mette di traverso e ti porta al limite. Nei sepolcri scoperchiati del sogno c’è un’ultra-verità, e mica fa bene. Mi alzo, magari vado a pisciare pure io, e mi siedo a tavolino, accendo la lampada. Il gatto ne approfitta per stiracchiarsi e farsi un giretto nello studio. Fuori – l’alba non è lontana – i primi uccelletti sfringuellano lieto-scemi, comunque garruli, mentre gli autobus escono dai depositi: la prima corsa. Pennino, pennello e inchiostro di china, matita e carboncini, il foglio bianco. Il lavoro arretrato, le cose lasciate a metà, i compiti a casa (e, come un monito e un’accusa: attorno, in pericolanti pile, tutti questi libri magnifici, eloquentissimi: le incisioni di Rembrandt, l’opera grafica di Kirchner e Otto Mueller, gli sketchbook di Robert Crumb, i fumetti di Will Eisner). È tutto così frustrante, così difficile. Ma dato che non si può continuare…si continua. Disegnare per ammazzare il tempo, e tanto per fare. Disegnare così, come ti viene. D’altra parte a che punto è la notte? Quasi finita. E quindi, linee, tratti, abbozzi, contorni, trame, textures, intrecci e, naturalmente, macchie, chiazze, patacche e sfumature.

Vittorio Giacopini, L’orizzonte degli eventi

pp. 108, 109, 110

Ingoiamo rospiultima modifica: 2024-04-12T12:44:24+02:00da hyponoia

6 pensieri riguardo “Ingoiamo rospi”

  1. Pur concordando sulla maestria di Giacopini, penso che “avevo deciso di chiudere con questo libro” sarebbe stata la cosa giusta perché ho apprezzato i primi due blocchi. Si leggono e ci si può anche ritrovare dentro. Nel bene o nel male, è comunque vita.
    Il terzo e quarto blocco però, li ho letti a fatica. E’ farsi male da soli. Autoflagellarsi.

    “Disegnare per ammazzare il tempo, e tanto per fare. Disegnare così, come ti viene. D’altra parte a che punto è la notte? Quasi finita. E quindi, linee, tratti, abbozzi, contorni, trame, textures, intrecci e, naturalmente, macchie, chiazze, patacche e sfumature.”

    No, così non va, Vittorio. Immagino che anche a Renoir o a Manet è successo di attraversare momenti noir, ma non se la prendevano con i fiori che disegnavano e, per dispetto, li coloravano di nero. Magari strappavano la tela o davano una coltellata alla frutta dicendo “adesso sì che sei una natura morta”.
    Dài, una giornata storta può capitare, ma prendertela con quello che ami (“Disegnare così, come ti viene”) oppure rompere i coglioni ai tuoi lettori ti sembra bello?

  2. Aspetta un po’, fammi capire, hai letto un libro e lo dici così, en passant, come nulla fosse? ma questa è una notiziona 🙂
    comunque, archivierò la lettura di questo libro ma non lo dimenticherò. Avendolo letto insieme a quello di Giartosio, mi è sembrato di essere in una luna park di parole.

    1. Ecco, scendi dal luna park, ti prendo le mani e ti confesso che non l’ho letto, così ti tolgo ogni dubbio. Mi sono limitato a leggere quello che hai riportato suddividendolo in 4 blocchi o, se preferisci, in 4 paragrafi.
      Quel “avevo deciso di chiudere con questo libro”, l’hai scritto tu :)) e secondo me avresti fatto bene a chiudere con quel libro perché, pur se i primi due paragrafi sono leggibili, gli altri due sono una istigazione al suicidio. Ancora peggio la copertina. Da incubo. Naaa, non lo trovo una lettura da spiaggia, poi mi torni a casa dal mare talmente confusa da pensare che io possa aver letto un libro. :)))

  3. ah, ora sì che mi raccapezzo…mi sembrava troppo inverosimile la cosa 🙂
    comunque, a quanto pare non avevo capito niente ma sia chiaro: tutta colpa di Giacopini :))
    (i commenti moderati non sono una mia scelta)

    1. “(i commenti moderati non sono una mia scelta)”

      Lo so, è quella che chiamiamo intelligenza artificiale che, non vale solo per Libero, quando ne indovina una, tutti a fare “ohhhhh”, sulle restanti 99 cazzate che fa, invece, guai a fare pernacchie.

  4. E lo dici a me che potendo riavvolgerei il nastro di almeno 40 anni? si aggiunga pure che mi è stato rubato l’inverno e ti lascio immaginare la vita grama che faccio :))
    per l’appunto ingoiamo rospi

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