Percezioni finissime

Sono andato a letto più presto del solito; mi sento un po’ raffreddato, forse ho anche la febbre. Contemplo il soffitto, o forse la tenda rossiccia che incornicia la finestra a balcone della mia camera d’albergo: difficile distinguere.
Avevo appena finito, quando anche tu hai incominciato a spogliarti. Aspetto. Sto soltanto in ascolto.
Passi incomprensibili, in lungo e in largo; da questa parte della camera, dall’altra. Ti avvicini per posare qualcosa sul letto; non lo vedo, chi sa che cosa sarà? Intanto tu apri l’armadio, vi metti o ne tiri fuori non so che; sento che lo richiudi. Deponi sul tavolo oggetti duri e pesanti; altri sul marmo del cassettone. Non ti fermi un momento. Poi riconosco il fruscio familiare dei capelli che si sciolgono e che vengono spazzolati. Poi lo scrosciare dell’acqua nella catinella. Prima avevo già udito che ti spogliavi dei vestiti, ora di nuovo: non si può concepire quanta roba hai indosso. Adesso ti sei sfilata le scarpe. Ma ecco che le calze vanno avanti e indietro sul tappeto morbido, come le scarpe poco fa. Versi acqua nel bicchiere, tre, quattro volte di seguito, non mi so spiegare perché. Da molto tempo la mia fantasia ha smesso d’immaginare tutto l’immaginabile, mentre tu evidentemente trovi sempre qualche altra cosa da fare. Ti sento infilare la camicia da notte. Ma siamo ancora lontani dalla fine. Ci sono cento faccende da sbrigare. So che ti spicci per riguardo a me; dunque si vede che tutto è necessario, che fa parte del tuo Io più profondo e come il muto affaccendarsi degli animali il tuo movimento non s’arresta dal mattino alla sera; con piccoli gesti incoscienti e innumerevoli, di cui non sai renderti conto, tu t’immergi in un vasto spazio dove nemmeno un soffio di me stesso t’ha mai raggiunta.
Lo sento per caso, perché ho la febbre e ti aspetto. Robert Musil

Perché no? perché non raccontare l’amore anche nei suoi aspetti meno fantasmagorici? forse perché non ne siamo capaci o, più probabilmente, perché associamo ad ogni aspetto del quotidiano il concetto di banalità. Ma non è così, perlomeno non sempre. Basterebbe essere educati alla poesia. Quella che si nasconde nei dettagli della più rassicurante forma d’amore.

C’è un tempo per l’amore
Che spiegarti non so…

 

Percezioni finissimeultima modifica: 2023-09-12T15:32:02+02:00da hyponoia

8 pensieri riguardo “Percezioni finissime”

  1. Sono andato a letto più presto del solito, mi succede a periodi. Come un salvadanaio dove accumulo spiccioli di stanchezza e di sonno perduto per poi aprirlo e spenderli tutti concedendomi rate di un sonno più prolungato del solito. Attendo che i muscoli si sciolgano fino a diventare liquidi e con essi la mente. Aspetto. Ad occhi chiusi in una miniera di carbone. Percepisco lieve il tuo posare qualcosa sul letto; apri l’armadio, ne tiri fuori non so che. Deponi robe sul tavolo; altre sul letto. Riconosco il fruscio della spazzola nei tuoi capelli; quello dello sfilarti le calze, delle mutandine. Il tuo spostarti a piedi nudi. Il fruscio di altre mutandine e calze. Infili la camicia da notte. Capisco che anche il tuo treno sta per infilare le nostre lenzuola. Finisco d’immaginare quello che fai attraverso i rumori che soffochi per riguardo al mio riposo – il segno del tuo amore – e vorrei aspettarti, ma il sonno mi porta via.

    Il sole, seghettato dalle veneziane mi sveglia. Ti sei già alzata. Lo faccio anch’io. Sul tavolo, in cucina un biglietto: “sono andata via”.
    Penso che non mi mancheranno i tuoi rumori. Meglio, neanche li capivo.

  2. Sono andata a letto alla solita ora, alle dieci. Prima però i rituali della sera, a partire da quello che cancella ogni traccia di trucco. Sono il mio viatico al sonno, zona franca che mi riconcilia col mondo. Tu dormivi già, e io mi sono mossa come non avessi corpo, peso. Al risveglio, il lucore dell’alba mi ha fatto compagnia mentre bevevo il caffè in piedi, in cucina. Tu dormivi ancora e un po’ ti ho invidiato: svegliarsi all’alba senza che sia necessario è una sfiga che mi porto dietro da un paio d’anni. Ho deciso che da stanotte dormirò altrove, questa casa non la sento più mia. Penso che non mi mancherà il tuo stato di incoscienza. Meglio, mi infastidiva pure.

    1. Guarda che il mio era la mia versione perché leggendolo avevo pensavo che la cosa che lei poggia sul letto era la valigia e, continuando a leggere, ho capito che mi ero sbagliato. Così ho detto, lo scrivo lo stesso così la faccio ridere e, invece, ti ho fatta arrabbiare. Sorry 🙂

  3. 🙂 ma no, non mi hai fatta arrabbiare, mi sono semplicemente messa nei panni della donna che si sente dire “Penso che non mi mancheranno i tuoi rumori. Meglio, neanche li capivo”. È lei a essere incazzata nera.
    (già lo so, ora ci ritroveremo in un cortocircuito comunicativo)

    1. Avrei dovuto essere io quello incazzato nero. Anche se crollavo dal sonno, ero a ciel sereno neanche li capivo i suoi fruscii, anzi m’illudevo che facesse attenzione a non svegliarmi, “-il segno del suo amore-” e, invece, neanche avevo capito che stesse facendo la valigia. Me l’ha lasciato scritto in cucina.
      Quello incazzato nero, quindi, era l’angioletto che, svegliatosi, aveva realizzato che non aveva capito una mazza di quei fruscii e, più di me, Musil se avesse letto la mia versione :)))
      (lascio la luce accesa, non vorrei che, adesso, vieni a letto con un’ascia).

  4. Posto che a quest’ora sono io che crollo dal sonno, quello che riesco a dire è che sei parecchio contorto, e sottile, nel costruire una trama. Comunque, ora me ne vado di là, tu dormi pure tranquillo, nessun fruscio o movimento strano turberà la meritata quiete, ma ricorda che da piccola volevo essere Jack Torrance…

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