Quel che affidiamo al vento

In Giappone c'è un telefono per parlare con i morti • Rivista Studio

Il telefono del vento avrebbe potuto diventare leggendario anche in Occidente se solo le genti che lo abitano fossero meno ciniche e più fiduciose. È andata diversamente in Giappone dove il giardino di Bell Gardia, che si trova su una collina prospiciente l’Oceano Pacifico, è diventato meta di pellegrinaggi perché ospita una cabina bianca il cui telefono, pur privo di fili, mette in comunicazione le vittime dello tsunami del 2011 con i superstiti. E lo fa avvalendosi del vento. Questa particolare sinergia tra vivi e morti ha ispirato Laura Imai Messina, scrittrice italiana da anni residente in Giappone. Ne è venuto fuori un bel libro, delicato quanto basta per accarezzare il dramma del distacco finale.

“Da bambini la felicità la si percepisce come una cosa. Un trenino che spunta da una cesta, la pellicola che avvolge una fetta di torta. O magari anche una fotografia che li ritrae al centro della scena, dove non ci sono occhi che per loro.

Da grandi si fa tutto più complicato. La felicità è il successo, il lavoro, un uomo o una donna, tutte cose sfumate, laboriose. Quando c’è, e anche quando non c’è, diventa soprattutto questo, una parola.

Ecco, pensò ora Yui, l’infanzia insegnava invece un’altra cosa, cioè che bastava allungare la mano nella direzione giusta e la si sarebbe ottenuta.

Sotto la poltiglia grigiastra del cielo, una donna di circa trent’anni restava diritta, a dispetto di tutto. Rimuginava su quanto pratica potesse essere la felicità, si smarriva in quel pensiero come un tempo si smarriva nei libri, nelle storie degli altri che fin da bambina le parevano tutte, senza eccezione, più belle della propria. Si domandò anzi se non fosse per quel motivo che aveva scelto di lavorare alla radio. La affascinava talmente ascoltare le vite degli altri, perdersi nei loro racconti.

Per Yui, da vari anni, la felicità nasceva da quell’oggetto nero e pesante che recitava in cerchio i numeri dall’1 allo 0. Con l’orecchio premuto sulla cornetta, si perdeva nella visione del giardino, in quella remota collina del Giappone del nord-est. Dalla scollatura a V della terra scorgeva anche il mare, ne intuiva l’odore increspato di sale. Lì Yui sognava di parlare con la sua bimba ferma a tre anni e con la madre, che l’aveva tenuta abbracciata fino alla fine.

E quando la felicità diventa una cosa, qualunque altra cosa attenti alla sua sicurezza è il nemico. Fosse anche impalpabile come il vento, fosse anche della pioggia che cascava dall’alto.

A costo della sua vita da niente, Yui non avrebbe mai lasciato accadesse del male a quella cosa e al luogo che ne consegnava la voce”.

Laura Imai Messina, Quel che affidiamo al vento

Quel che affidiamo al ventoultima modifica: 2023-12-22T12:24:13+01:00da hyponoia

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