Sull’amore e altri accidenti

Dell’amore si è detto tutto e il contrario di tutto. Spesso proprio in questi termini, in via liquidatoria. Ma con buona pace di speculazioni dotte e meno dotte, l’amore resta un assillo che non risparmia nessuno, eccezion fatta per chi l’amore ce l’ha o crede di averlo. Bene. Poi un giorno arriva la poetessa Patrizia Cavalli, e in un postprandiale durante il quale l’ultimo dei tuoi pensieri è quella forza oscura che causò la morte di Romeo e Giulietta, come di altri insigni personaggi letterari, lei ti parla d’amore tirando in ballo un gatto. Il quale, sottratto alla vulgata che lo vuole destinatario di coccole e croccantini, diventa un portale per una raffigurazione diversa dell’amore:

Un gatto che dorme il pomeriggio

nel larghissimo letto padronale

in un punto qualunque, però comodo,

che si sveglia in un’ora qualunque

perché qualcuno passa e lo carezza,

non si sveglia del tutto né si chiede

chi è che lo carezza, ma si porge

dal sonno solo un po’

per stirarsi in arrendevole lunghezza

perché duri di più quella carezza.

Forse così potrebbe essere l’amore.

(107 parole per spiegare l’inspiegabile in prosa. 65 per dirlo in versi. Ma non vale: poeti e poetesse leggono le stelle)

Per restare in tema di gatti, ma nella loro accezione terrena e nondimeno divina, una pagina di Ezio Sinigaglia tratta da Sillabario all’incontrario:

[…] Scotty, cuccioletta prelevata una notte dalla strada, grigia, pelo soffice, magrissima all’origine, rachitica, adesso bene in carne: vive in casa: la sola che abbia questo privilegio, necessario peraltro a causa dell’ostilità degli altri gatti: bisogna evitare gli incontri anche casuali: una sera Zoccola (vedi oltre) è andata a un pelo dal cavarle un occhio con un’unghia: un movimento fluido, disinvolto, come prelevare un acino d’uva dalla ciotolina della macedonia, a fine pasto: i gatti sono così, assassini noncuranti, criminali flessuosi, bisogna stare attenti: Scotty, dunque, vive in casa: pasti separati, anche per lei: un po’ di omogeneizzato, mischiato con un po’ di tonno in scatola, o carne trita, o altro ed eventuale: schiacciare bene il tutto con la forchetta, in modo che s’impasti, che si mantechi: servire a temperatura ambiente: Scotty ha anche il privilegio, sublime e turpe, della cassetta, di là dall’uscio della cucina, in un corridoio fra quest’ultima e il bagno di servizio, dove passa la notte: odori da non credere, specie il mattino, da svenire al solo rievocarli: necessità di cambiare la sabbia alla cassetta, di gettar via la merda più spesso che si può, per non parlar del piscio, che puzza atrocemente, pungentemente, un effluvio invasivo, che violenta l’olfatto, penetra le narici, sfonda ogni barriera, sale nel cervello, stimola secrezioni segrete, ributtanti: cionondimeno Scotty si fa amare, tenera, coccolosa, giocherellona, sempre pronta ad agguati ludici agli altri gatti, che le soffiano o la ignorano: lei, stupefatta, prende a giocar da sola: si appende ad una tenda come un impiccato alla sua corda, e dondola: insegue scarafaggi ed eventuali gechi, li tortura amabilmente: palleggia fra le zampette felpate, rapidissime, palline vere o di fortuna, tappi, gomme per cancellare, matite, temperini: poi, languida, mi sale al collo, lo mordicchia, lo lecca, gioca con il cordoncino degli occhiali, me li toglie, mi guarda socchiudendo gli occhiolini grigi come non potesse sostenere la mia luce: per le fusa dispone di un motore a scoppio, quattro tempi, cinque marce, con navigazione di crociera a regime costante, rumorosità piacevole, bassissimo consumo: la notte si lascia deporre nella sua scatola da scarpe, fra le lane e i balocchi, senza opporre resistenza, anzi, chissà, lusingata d’esser tenuta sotto chiave, di là dalla cucina, come un bene prezioso, da nascondere ai briganti.

Belle scoperte

Morta la poetessa Patrizia Cavalli

La poesia è una forma d’arte alta, e forse è a causa di questa peculiarità (o stigma?) che ai più è nota solo a livello teorico, e guardata con sospetto. Ora, posto che ognuno fa come gli pare, non credo si possa restare indifferenti imbattendosi nelle poesie di Patrizia Cavalli (foto). A condizione d’aver militato nel bello.

Adesso che il tempo sembra tutto mio

Adesso che il tempo sembra tutto mio
e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,
adesso che posso rimanere a guardare
come si scioglie una nuvola e come si scolora,
come cammina un gatto per il tetto
nel lusso immenso di una esplorazione, adesso
che ogni giorno mi aspetta
la sconfinata lunghezza di una notte
dove non c’è richiamo e non c’è più ragione
di spogliarsi in fretta per riposare dentro
l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,
adesso che il mattino non ha mai principio
e silenzioso mi lascia ai miei progetti
a tutte le cadenze della voce, adesso
vorrei improvvisamente la prigione.

Quante tentazioni attraverso
nel percorso tra la camera
e la cucina, tra la cucina
e il cesso. Una macchia
sul muro, un pezzo di carta
caduto in terra, un bicchiere d’acqua,
un guardar dalla finestra,
ciao alla vicina,
una carezza alla gattina.
Così dimentico sempre
l’idea principale, mi perdo
per strada, mi scompongo
giorno per giorno ed è vano
tentare qualsiasi ritorno.

Addosso al viso mi cadono le notti
e anche i giorni mi cadono sul viso.
Io li vedo come si accavallano
formando geografie disordinate:
il loro peso non è sempre uguale,
a volte cadono dall’alto e fanno buche,
altre volte si appoggiano soltanto
lasciando un ricordo un po’ in penombra.
Geometra perito io li misuro
li conto e li divido
in anni e stagioni, in mesi e settimane.
Ma veramente aspetto
in segretezza di distrarmi
nella confusione perdere i calcoli,
uscire di prigione
ricevere la grazia di una nuova faccia.
È tutto così semplice,
sì, era così semplice,
è tale l’evidenza
che quasi non ci credo.
A questo serve il corpo:
mi tocchi o non mi tocchi,
mi abbracci o mi allontani.
Il resto è per i pazzi.

L’io singolare proprio mio

Quasi sempre chi è contento è anche volgare;
c’è nella contentezza un pensiero
che ha fretta e non ha tempo per guardare
ma passa via compatto e maniacale
e reca oltraggio volgendosi a chi muore
Avanti con la vita, su, coraggio!

Chi è fermo nel dolore non frequenti
gli allegri e disinvolti corridori
ma solo i passi lenti dei suoi uguali.
Se una ruota s’inceppa e l’altra gira
quella che gira non smette di girare
ma avanza quanto può e trascina l’altra
in una corsa povera e sghimbescia
finché il carretto o si ferma o si rovescia.

Cosa non devo fare

Cosa non devo fare
per togliermi di torno
la mia nemica mente:
ostilità perenne
alla felice colpa di esser quel che sono,
il mio felice niente.