Gli effetti della pandemia sulla propensione alla sostenibilità all’ENGIE GREEN FRIDAY FORUM 2020

save-world-innovation-concept-girl-holding-small-plant-tree-sapling-are-growing-up-from-soil-palm-with-connection-line-ecology-conservation-concept-minSegnale positivo dalle aziende: resta elevata e cresce la sensibilità sui temi relativi a inquinamento e cambiamenti climatici e aumentano le aziende che dichiarano di misurare la propria CO2. Il 40% delle aziende che aveva programmato interventi volti al miglioramento dell’efficienza energetica,
ha confermato tali investimenti anche a seguito dell’emergenza COVID-19.

 

@Engieforum2020.it, 20 Novembre 2020

 

ENGIE Italia, grazie ai dati emersi dall’indagine condotta da Euromedia Research, ha potuto indagare come la pandemia ancora in atto abbia influito sull’attenzione dei cittadini e delle aziende verso le tematiche legate alla lotta ai cambiamenti climatici. Dall’analisi della ricerca è emerso un quadro indubbiamente diverso rispetto ad un anno fa, con cittadini e aziende più consapevoli di dover invertire la rotta con azioni concrete in ottica sostenibile.

Con il Covid cittadini e imprese più consapevoli dell’impatto ambientale

Ben il 68% dei cittadini coinvolti ha dichiarato di aver modificato i propri comportamenti, cercando di ridurre le proprie emissioni inquinanti, dopo l’arrivo della pandemia. Un incremento del +12,4% rispetto ai riscontri ricevuti un anno fa, prima del Covid. Il 40% delle aziende (soprattutto nel manufatturiero), nonostante l’impatto economico dovuto all’emergenza, ha continuato nei propri programmi finalizzati al miglioramento dell’efficienza energetica.

Il modo con cui il Covid-19 ha stravolto le nostre vite e abitudini ha evidentemente portato una riflessione collettiva sulla fragilità dell’uomo e del pianeta e sull’importanza delle nostre scelte – sottolinea Alessandra Ghisleri, Direttrice di Euromedia Researcha seguito della pandemia le persone sono più consapevoli dell’impatto negativo delle attività dell’uomo sull’ambiente, e quasi la totalità degli italiani (92,7%) ha deciso di modificare in modo virtuoso i propri comportamenti”.

Più azioni concrete contro i cambiamenti climatici

Dalle risposte emergono, quindi, le azioni concrete adottate dai cittadini e aziende per ridurre l’impatto sul pianeta. Le più diffuse: per il 30% degli intervistati la scelta di prodotti ecosostenibili (km zero, marchi che garantiscono il rispetto dell’ambiente), per il 29% interventi in casa volti a una maggiore efficienza energetica (infissi, cappotto termico, sostituzione caldaia, termostato intelligente) e infine la scelta di mezzi di trasporto non inquinanti (come bici, mezzi elettrici o pubblici) per il 24% degli intervistati. Vi è anche un 9% che ha installato pannelli fotovoltaici e un 7% che sceglie un fornitore di energia che garantisca la produzione da fonti rinnovabili.

Segnali positivi anche sul fronte delle imprese: oltre la metà (52%) ha messo in campo iniziative per una maggiore sostenibilità (es. lavoro a distanza per ridurre gli spostamenti, attività informativa sul tema delle CO2) e, per il 60,4%, queste misure hanno prodotto effetti positivi dal punto di vista sia ambientale che di maggiore benessere lavorativo, tant’è che il 91,7% ritiene che saranno mantenute anche dopo la fine dell’emergenza Covid – 19.

Aziende e cittadini vogliono mobilitarsi ma chiedono incentivi e agevolazioni

La leva principale, però, nonostante il maggiore interesse per la sostenibilità sia lato cittadini che aziende, rimane l’aspetto economico. Le aziende chiedono infatti in maggioranza contributi a fondo perduto (33,5%) e sgravi fiscali (22%), seguiti (19%) da incentivi statali e un quadro normativo più chiaro.

Il Covid – acceleratore della digitalizzazione come strumento per un Paese più sostenibile

Un altro aspetto che la pandemia ha reso evidente e sul quale ha portato una forte accelerazione è certamente l’adozione di tecnologie digitali, divenute in molti casi improvvisamente indispensabili per permettere la continuità aziendale. Del ruolo fondamentale delle tecnologie digitali per una maggiore sostenibilità sono convinte il 69,2% delle aziende (con una quota maggiore, al 72,2% se guardiamo al solo settore dei servizi). Il digitale è considerato ancora più importante per il monitoraggio delle attività in ottica di rispetto dell’ambiente (79%, che raggiunge l’81,3% nei servizi).

Le città sono i principali motori della nostra aggressione all’ambiente – dichiara il prof. Stefano Mancuso, botanico, accademico e saggista – Attualmente intorno al 70% del consumo globale di energia e oltre il 75% del consumo mondiale di risorse naturali sono a carico dei centri urbani, i quali producono il 75% delle emissioni di carbonio e il 70% dei rifiuti. Abbiamo urgente necessità di cambiare la nostra idea di città e questa pandemia è un’opportunità per ripensare la convivenza con la natura. Dobbiamo puntare a una smart city che in realtà sarà una città giungla, intesa non come un luogo pericoloso, al contrario: un luogo partecipe dell’ambiente naturale che, consapevolmente e attraverso gli alberi, contribuisce a trasformare i nostri centri urbani altamente tecnologizzati e connessi in una nicchia ecologica duratura”.

Governo, pubblica amministrazione e aziende devono guidare il cambiamento attraverso infrastrutture, digitalizzazione e tecnologia

Secondo il parere degli intervistati il maggior potere nel rallentare il riscaldamento globale è in mano a istituzioni e aziende. I cittadini vedono la possibilità di un cambiamento a favore della sostenibilità grazie all’intervento di Governo (41%), istituzioni locali (25%) e aziende (15%). Significativo come solo l’8% ritenga che la pubblica istruzione possa avere un ruolo importante in questo senso.

Gli interventi che maggiormente si aspettano sono di riqualificazione energetica di scuole ed edifici pubblici (20,5%) o utilizzo per queste strutture di fonti di energia verde, quali i pannelli fotovoltaici (13,5%), aumento di aree verdi (16,5%) mezzi di trasporto pubblico elettrici o ibridi (15,2%).

 

“Già nel Piano Strategico triennale per la Ricerca e l’Innovazione di Regione Lombardiaspiega il vicepresidente di Regione Lombardia Fabrizio Salaè stata individuata la sostenibilità ambientale come uno degli ambiti principali che incidono sullo sviluppo del nostro territorio. Tema trattato anche nella recente consultazione pubblica sulla prossima Strategia di Specializzazione Intelligente svolta sulla Piattaforma Open Innovation, a cui hanno partecipato oltre 650 soggetti. Ne è emerso che, negli ambiti trattati, la sostenibilità ambientale è considerata tra i primi fabbisogni in termini di innovazione che diventeranno prioritari nel periodo post Covid e post emergenzaha aggiunto il VicepresidenteCon le nostre politiche regionali ci stiamo sempre più muovendo verso un modello di innovazione responsabile anche attraverso misure come la nostra recente Call Hub per la Ricerca e l’innovazione, che vede finanziati 8 progetti nell’ambito della sostenibilità che intervengono su numerosi problemi ambientali che coinvolgono il mondo occidentale” ha concluso Sala.

 

“Ogni anno noi di ENGIE realizziamo un evento che ha l’obiettivo di sollevare e alimentare la riflessione sulla riduzione delle emissioni di CO2 e più in generale sulla sostenibilità –   sottolinea Damien Térouanne, CEO di ENGIE Italia – In questo anno difficile, la sostenibilità rimarca la sua centralità. Lo confermano: i risultati della ricerca da noi commissionata a  Euromedia, la destinazione del 37% del recovery fund  a investimenti green e Il Green New Deal europeo che punta a elevare il proprio impegno di riduzione dei gas serra almeno al 55% entro il 2030. L’ambizione di ENGIE – prosegue Damien Térouanne-   è accelerare la transizione verso un’economia carbon neutral. Ritengo che l’attuale momento storico ed economico evidenzi chiaramente come la transizione energetica sia una scelta obbligata e urgente.  E’ necessario quindi ripensare al nostro sviluppo futuro: uno sviluppo più resiliente, durevole e sostenibile.  Raggiungeremo l’obiettivo solo grazie alla combinazione di tutti gli sforzi: globali, dei singoli paesi, ma anche delle citta, delle aziende così come a livello residenziale.”

Il futuro dello smart working. La ricerca Anra-Aon fa il punto sulle prospettive post pandemia

Milano, 20 novembre 2020 – La seconda ondata della pandemia ha prolungato la durata dello smartworkingallontanando, in particolare in alcune aree d’Italia, la prospettiva di un rientro fisico a pieno regime per tutti i dipendenti.Sono comunque molte le aziende che, negli ultimi mesi, hanno disposto un ritorno in presenza parziale e facoltativo, adeguandosi alle norme di sicurezza. Alla luce di queste nuove considerazioni, si è svolta la seconda fase della ricerca “Le modalità lavorative dopo il lock down: quale Smart Working?”diANRA, Associazione Nazionale dei Risk Manager, e Aon, volta a indagare, dopo la prima survey di marzo, come sia cambiato il rapporto con lo smartworking rispetto al periodo di lockdown e fotografando il nuovo approccio del tessuto imprenditoriale italiano alle modalità di lavoro alternativo.

Sul piano pratico, cheha vistorientrare in modo prevalente in sede solo il 16% dei lavoratori, gli italiani hanno apprezzato i vantaggi di una maggiore flessibilità lavorativa: potendo scegliere, il 58% dei lavoratori bilancerebbe durante la settimana giornate in ufficio e lavoro da remoto, con una leggera prevalenza del secondo.Pianificazione, gestione e controllo delle attività a distanzasembrano non costituire più una grande difficoltà: se durante il lockdown erano al primo posto delle preoccupazioni dei rispondenti, con il 33%, ora il dato è dimezzato (17%), mentre permangono, invece,talvolta rafforzate, alcune criticità individuate ad aprile: quelle organizzative e/o di comunicazione interna (27%), e quelle relative allo stato d’animo e ingaggio dei lavoratori (26,7%), entrambi risaliti in classifica rispetto alla prima indagine.

Chiamati a fare una previsione sulle modalità di gestione delle risorse, in un orizzonte temporale di 6 e 18 mesi, più della metà dei rispondenti (52%) prevede di continuare a lavorare in modalità mista, e solo uno su quattro (24%) ipotizza un completo rientro: queste previsioni tuttavia diventano meno probabili man mano che si intensifica la seconda ondata pandemica, dal momento che la scelta di mantenere una prevalenza di remote working dipenderà in larga parte, secondo i rispondenti, dalla volontà di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (65%)Il graduale rientro in sede, invece, nel 48% dei casi viene attribuito alla generale ritrosia culturale del top management, una percentuale che sale al 65% negli under 35.

“La tecnologia non aspira a spersonalizzare il lavoro, ma si potenzia con l’interpretazione della componente umana, ovvero di lavoratori competenti, motivati e flessibili” sottolineaEnrico VaninAD Aon“Credo si andrà via via verso una Leadership Collaborativa, che abolirà statici ruoli e gerarchie e sarà in grado di perseguire risultati ambiziosi per l’azienda e la comunità in cui opera. I leader di domani dovranno essere adattabili e proattivi al cambiamento, curiosi di sperimentare l’inedito e dotati di social intelligence. Quest’ultima skill permette di ascoltare empaticamente le persone con cui si lavora, di sostenerle e spingerle ad esprimere il loro pieno potenziale”.

Nonostante il 72% sia convinto che questa evoluzione lavorativa avrà conseguenze prevalentemente positive, il 20% degli under 35 ritiene che da qui a sei mesi si tornerà alle modalità di lavoro tradizionali (proprio per la sfiducia nei confronti del change management delle imprese) e ampliando l’orizzonte temporale ai 18 mesi la percentuale sale al 27%. Molto diversa è l’opinione degli over 56: solo il 10% di loro ritiene che la modalità in presenza tornerà ad essere quella principale, ed evidenzia che la scelta di riportare i dipendenti in azienda sarà dettata da concrete esigenze operative (45%). Sono inoltre più cauti nel valutare gli impatti del lavoro da remoto: solo il 47% è infatti sicuro che il suo impatto sarà solamente positivo.

Gli uomini sostengono come valida spinta al mantenimento del lavoro a distanza l’aumento della produttività (tra il 10% e il 12%)che invece sembra non aver alcun peso secondo le donne. Le rispondenti, invece, sottolineano come importanti il maggior benessere dei dipendenti (8%).

“Siamo particolarmente fieri del lavoro svolto nel realizzare questa ricerca unica nel suo genere, che ha come obiettivo quello di approfondire come stia reagendo la filiera del risk ed insurance management ad una trasformazione epocale delle modalità di lavoro ed interazione fino a poco tempo fa inimmaginabili”, conclude Alessandro De Felice, Presidente ANRA, “La nostra community, composta da Risk Manager, intermediari, Assicuratori, Periti ed imprenditori ha mostrato una capacità di adattamento molto rapida, seppur con i limiti e le problematiche che analizziamo, e vede un futuro in cui è in grado di selezionare gli aspetti positivi del ‘remote working’ – quali ad esempio l’accelerazione nell’utilizzo delle tecnologie di connessione remota e la gestione del proprio tempo e responsabilità in autonomia – per realizzare un vero ‘smartworking’ nella dimensione della nuova normalità.

CHI È ANRA

ANRA è l’associazione che dal 1972 raggruppa i risk manager e i responsabili delle assicurazioni aziendali. L’associazione opera attraverso la sede di Milano e vari corrispondenti regionali. ANRA è il punto di riferimento in Italia per diffondere la cultura d’impresa attraverso la gestione del rischio e delle assicurazioni in azienda. Si relaziona con le altre associazioni nazionali di risk manager in Ferma, a livello europeo, e in Ifrima a livello internazionale. ANRA è costituita da Risk Officer, Risk Manager ed Insurance Manager che operano quotidianamente nella professione e che trovano vantaggio nello scambio continuo delle proprie esperienze e nella condivisione di progetti a beneficio dello sviluppo del settore. Complessivamente, le aziende pubbliche e private di cui fanno parte i soci rappresentano un fatturato complessivo di oltre 430 miliardi (pari a circa il 25% del PIL).

Nella piena convinzione che l’esperienza sia il miglior argomento per diffondere la cultura del risk management, ANRA organizza incontri aperti a professionisti ed aziende su tematiche inerenti al rischio aziendale, corsi di formazione per nuove figure e scambi di esperienze con colleghi stranieri. Nella sua attività di supporto a manager ed imprese, ANRA si appoggia a molti partner, come enti universitari, società di consulenza, compagnie assicurative, broker, società di servizio nell’ambito del rischio d’impresa: con le loro competenze specifiche, tutti questi attori portano valore aggiunto ai membri dell’associazione e alle loro imprese. Dal giugno 2016 ANRA promuove “alp” – ANRA Learning Path – la nuova Accademia ANRA per la formazione dei professionisti della gestione del rischio, riconosciuta e certificata RIMAP a livello europeo. www.anra.it