L’idrogeno verde e blu nella strategia Saipem

Nel modello di business di Saipem, l’idrogeno, verde e blu, è parte degli strumenti innovativi proposti ai clienti per accompagnarli nel percorso di riduzione delle emissioni.

Settore energetico ed idrogeno hanno condiviso quasi 200 anni di storia ma quali sono le future prospettive di sviluppo all’interno della transizione energetica? Una risposta arriva dall’italiana Saipem, società che ha messo al servizio dell’attuale cambiamento le competenze maturate nel trattamento dell’idrogeno in ambito oil&gas. Saipem è passata dall’operare come contractor nel settore petrolifero ad essere un fornitore globale di servizi e soluzioni nei comparti dell’energia e delle infrastrutture, sviluppando strumenti innovativi per accompagnare i clienti nel percorso di riduzione delle emissioni.

Forte anche della grande esperienza maturata sull’intera catena del valore dell’H2 in ambito petrolchimico, l’azienda ha deciso di inserire il vettore – sia nella formula verde che in quella blu – nella più ampia strategia di decarbonizzazione.

L’attenzione del Gruppo è attualmente focalizzata sulla domanda di mercato e sull’integrazione con le rinnovabili e i sistemi di cattura della CO2. Tra gli strumenti offerti vi sono, ad esempio, soluzioni di ibridizzazione impiantistica per integrare l’elettrolisi dell’acqua ai processi tradizionali di produzione di ammoniaca e urea. La tecnologia Power-to-H2, ossia la conversione dell’elettricità proveniente da rete, parchi eolici o fotovoltaici in idrogeno, è invece alla base MoU firmato con Alboran Hydrogen. La collaborazione ha l’obiettivo di proporre e realizzare nuovi impianti di idrogeno verde nel bacino mediterraneo. Tre di questi saranno in Italia, più precisamente in Puglia, con la finalità di creare un distretto dell’idrogeno (Hydrogen Valley).

Una volta compresso il vettore può essere infatti stoccato, iniettato nella rete del gas, oppure inviato a distretti industriali di prossimità (acciaierie, impianti petrolchimici, ecc.). E, perché no, anche imbarcato per raggiungere destinazioni lontane. Moss Maritime, azienda norvegese controllata da Saipem, assieme a Equinor, DNV-GL e Wilhelmsen ha realizzato un nuovo design navale per il bunkeraggio dell’idrogeno liquefatto (LH2) in grado di trasportare 9.000 m³ di combustibile a una temperatura di -253°C.  In Italia, invece, il Gruppo ha firmato un accordo con Snam grazie a cui saranno studiate nuove soluzioni per il trasporto attraverso l’adeguamento di infrastrutture di rete esistenti e mezzi navali.

Nel contesto “produzione” si inserisce anche il progetto AGNES, uno dei più grandi Hub energetici verdi d’Europa. Concepito in collaborazione con Quint’x, AGNES integrerà su larga scala fonti rinnovabili e H2. Il progetto sorgerà a largo di Ravenna con l’obiettivo di creare un distretto energetico marino per la generazione eolica e fotovoltaica con batterie ed elettrolizzatori.

Attraverso la sua divisione XSIGHT, il Gruppo sta sviluppando X-HUB, un tool digitale dedicato alla valutazione della fattibilità tecnico-economica dei futuri distretti energetici; in particolare quelli che mixano diverse tecnologie e fonti. Il programma impiega l’intelligenza artificiale per discriminare la qualità di diverse soluzioni, definendo modelli di ‘isole energetiche’ adatti al contesto e territorio che li dovrà ospitare. Spingendo un po’ più in là lo sguardo, la strategia societaria punta ad includere anche le nuove tecnologie per la mobilità e il Power-to-X (metanolo, etilene, propilene o cherosene), evoluzione del Power-to-H2. Passaggio, quest’ultimo, che si presta ad un ulteriore sviluppo tecnologico: la valorizzazione della CO2. Soluzioni di cattura, stoccaggio o riutilizzo del carbonio sono da tempo parte integrante del business Saipem. Ecco perché su un’ottica di lungo periodo, la società intende anche valutare un possibile “riciclo” del biossido di carbonio assieme all’idrogeno, al fine di creare una catena del valore circolare.

https://www.rinnovabili.it/energia/idrogeno/idrogeno-verde-visione-integrata-saipem/

L’innovazione tecnologica green di Saipem: dal fv marino agli aquiloni eolici

Saipem ridisegna il ruolo nel comparto energetico ampliando il portafoglio tecnologico green con soluzioni di ultima generazione

ROMA, Agosto 2020 – Isole di fotovoltaico marino, aquiloni in grado di sfruttare i venti ad alta quota, fondazioni per turbine eoliche (fisse e galleggianti), robot subacquei e impianti per catturare energia da onde e correnti. C’è la migliore innovazione verde degli ultimi anni nel “mare tecnologico” di Saipem, la società che oggi si qualifica come un fornitore globale di servizi nel settore dell’energia e delle infrastrutture. Con l’avvio della transizione energetica, il gruppo ha rapidamente ampliato il suo portafoglio di soluzioni e servizi focalizzandosi sul gas e diversificandosi nelle rinnovabili, offrendo nuovi modelli di business e tecnologie green e spostando in avanti le frontiere dell’innovazione per continuare a creare valore economico e sociale.
Il gruppo ha trasformato l’esperienza accumulata negli oltre 60 anni di storia nel settore idrocarburi, in un vantaggio con cui affrontare e anticipare le nuove sfide energetiche. E lo ha fatto investendo fortemente nel “futuro”. Basti pensare che nel 2019 la società ha speso per le nuove tecnologie una cifra complessiva di 79 milioni di euro, ampliando a circa 2.700 i brevetti e le domande di brevetto, depositate a livello mondiale.
Se la cifra distintiva è quella dell’innovazione, le parole chiave per declinarla sono sicurezza e sostenibilità, anche quando si tratta di progetti pionieristici. Ne sono un esempio l’ampio numero di soluzioni sviluppate sinergicamente dalle sue divisioni XSIGHT ed E&C Offshore, prodotti in grado di sfruttare le fonti rinnovabili di mari e oceani anche in ambienti estremi, aree remote o acque profonde.
In questo contesto una delle opere di ingegneria più interessanti ed attuali è l’Hexafloat, una fondazione galleggiante a pendolo per aerogeneratori offshore. La struttura è stata studiata per consentire agli sviluppatori eolici di accedere a siti con fondali profondi, semplificando i lavori d’installazione rispetto alle fondazioni fisse.
Si tratta di un elemento fondamentale sia per catturare i venti più forti che soffiano in mare aperto, sia per tutti quei Paesi, come l’Italia, che non sono caratterizzati da bassi fondali sfruttabili. Attualmente sono in corso tavoli con istituti di ricerca nazionali che potrebbero consentire di testare, in scala ridotta, tale fondazione galleggiante, favorendone lo sviluppo e l’utilizzo anche nel nostro paese.
Non sfrutta invece l’energia del vento, bensì quella solare, il concept sviluppato dalla controllata norvegese Moss Maritime, società di ingegneria navale parte della divisione XSIGHT. La società ha creato un design ad hoc che facilita la costruzione e la installazione di impianti fotovoltaici in mare. Si tratta una piattaforma galleggiante, modulare e flessibile, che può essere personalizzata in base al luogo d’installazione e alla potenza cercata. Ed è stata appositamente progettata per resistere a condizioni meteorologiche moderatamente avverse assicurando l’integrità dei moduli e la capacità di produzione.
Tale soluzione tecnologica si potrebbe ben integrare anche con l’eolico offshore per applicazioni anche nel mare Adriatico, consentendo uno sfruttamento combinato della risorse naturali e lo sviluppo di iniziative completamente sostenibili.
Dalle tecnologie sopra l’acqua si passa a quelle dentro l’acqua, con impianti in grado di catturare l’energia marina. Uno di questi è il Penguin Wave Energy Convert (WEC), una delle più promettenti tecnologie per produrre elettricità dalle onde. Saipem ha firmato un protocollo d’intesa con la finlandese Wello OY, la società creatrice, per perfezionare il sistema e testarlo nelle acque spagnole. Allo stesso tempo, sta valutando una possibile integrazione di questa tecnologia nelle tradizionali infrastrutture offshore del comparto idrocarburi, con l’obiettivo di migliorarne l’efficienza e la sostenibilità.
La società sta collaborando anche con Seapower, un consorzio fondato dall’Università Federico II di Napoli, sul sistema Gemstar. Di cosa si tratta? Di una turbina sottomarina in grado di generare elettricità dai flussi d’acqua lenti, ossia correnti marine, di marea e fluviali. Il primo prototipo, un’unità da 300 kW, sarà installato nello Stretto di Messina.
In realtà, il parco di innovazioni nell’offshore non si esaurisce qui ma abbraccia una lunga lista di tecnologie, che comprendo anche progetti mirati all’utilizzo di tecnologie per la produzione di idrogeno verde, i robot subacquei, come Hydrone-R o il veicolo autonomo FlatFish, aquiloni eolici progettati assieme alla KiteGen Venture o l’Offset Installation Equipmen (OIE), un sistema subacqueo di rapida reazione a Oil Spill unico al mondo.