TITOLI DI CODA {FFF Fiale 1998}

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PROLOGO
Un caldo pomeriggio di metà Dicembre, nel Parco delle Cascine a Firenze.
Un musicista in visita alla città, che per comodità indicheremo come ***, era seduto sulla panchina ovale di cemento, davanti al monumento ai Partigiani.
Improvvisamente da dietro un enorme albero secolare sorgeva la misteriosa, maestosa, luminosa immagine di colui che segnerà in modo indelebile il suo destino.
Uno scambio di occhiate, il seguirsi per trovarsi nella piazzetta rotonda presso l’anfiteatro, due parole…e poi un reciproco, incontrollabile fuoco interiore, che mai ***, nonostante la già navigata esperienza, aveva conosciuto: troppo rovente per…bruciare in un posto così scoperto.
Fulmineamente comparvero due carabinieri a cavallo, diretti, manco a dirlo, proprio verso di loro. Non appena le due guardie s’accorsero di ciò che secondo la morale comune deve essere condannato, cominciò l’inseguimento. Quella corsa mozzafiato, il pericolo condiviso insieme, il timore per quel cuore attempato che batteva all’impazzata ed il prendersi cura amorevolmente, suggellò definitivamente l’inaspettata fusione di quella fuggiasca coppia di anime. Il resto fu Storia. Ed inesorabilmente PASSATO.

EPILOGO
Ora, un anno e quattro mesi dopo, quel che restava eran solo ricordi che non parevano realmente accaduti, ma sospesi, fluttuanti in un sognante limbo.
(“…Eppure son proprio questi, i momenti in cui ciascuno di noi realmente Vive…”)
Stava volgendo al termine l’ultimo, gelido incontro con colui che un tempo *** vedeva come unica ragione di vita, ed al quale paradossalmente aveva fatto più male di qualsiasi altro.
*** si congedò con un semplice, comune, eppure per lui inedito, “Addio”: fu l’unica volta nella quale non si voltò indietro.
A cavallo di una bici presa in affitto, egli riprese ad aggirarsi sconsolato dentro ciò che un tempo era il Parco delle Cascine e che ora andava somigliando sempre più ad un campo da golf. Dinanzi agli occhi scene di passata beatitudine, miste al rimorso di non essersele godute fino in fondo. Nella sua mente: autoflagellazioni, manie di persecuzione, oscure spirali di appesantimento karmico, autoprediche della serie “Eh, se tu avessi evitato quei colpi di testa”, autoimposta cupa rassegnazione stile “Ormai è finito”, allegri presagi tipo “…Ed il meglio deve ancora venire”.
Tutto ciò, oltre allo sfanculare queste seghe mentali, lo portarono fino al sottopasso del ponte all’Indiano.
*** lanciò un fugace sguardo lì dove un tempo una selva verdeggiante cantava un silenzioso inno alla pagana gioia di vivere l’attimo, e dove invece adesso, in tutto il suo monotono squallore, faceva la sua comparsa una lunga, piatta distesa erbosa china verso l’acqua, che sembrava ingiuriare, insultare e sbeffeggiare il Parco, l’Arno, la Natura, l’Estetica, l’Uomo stesso.
Fu una fredda occhiata, svuotata ormai di ogni emozione: già troppe lacrime erano state versate, per la fine di quel minuscolo Eden, evento che parallelamente decretò anche l’inizio della fine del suo sogno ad occhi aperti.
Arrivato quasi al termine del sottopasso, in preda ad una sorta di oscura inerzia, per un attimo fece per non frenare dinanzi alla rovinosa discesa, puntando anzi dritto al rosso pilastro. Giusto il tempo di sentirgli dire dal suo gracile raziocinio :
“Frena, testa di cazzo! Cosa dovrebbe dire allora un minatore sudamericano ? O un bue recluso a vita in una stalla oscura, nell’attesa che venga il macellaio a… “liberarlo”? Hai forse più diritto di loro, di odiare la vita? …E poi ricordo che la bicicletta è a nolo ed i danni li paghi te…”
Di nuovo sulla terraferma: quella strada che va sulla destra, in bici di fianco l’uno all’altro, leggeri e veloci come due uccelli in volo.
Brevi momenti paradisiaci, perduti per sempre
…Chi era quel pazzo che diceva che “L’inferno ha inizio con la scoperta del paradiso che si perderà” ?

Troppe volte si era già chiesto perché iniziò, se non fu solamente per soffrire terribilmente dopo. Era stanco di domandarsi se il “Fato” gli mandò questo pesante fardello affinché imparasse qualcosa, o per punizione, oppure per tutt’e due le cose.
Tra un pensiero e l’altro, *** ormai era giunto all’altezza della passerella dell’ Isolotto, quell’ attraversamento…quasi-pedonale, che tante volte li vide transitare.
L’unica preoccupazione in quel momento era quella di nascondere il più possibile, voltandosi o dissimulando, il suo “vero volto” agli sguardi della gente, non tanto per vergogna (quale?) quanto perché sapeva quanto poteva essere contagioso uno stato d’animo così intenso: sentiva di aver già causato tanto dolore.
Forse per autoconvincersi, continuava a canticchiare: “If the summer change to winter, your is no, yours is no disgrace…”.
Per tutta risposta, il cielo plumbeo, silente spettatore fino a quel momento, iniziò a cedere qualche timida goccia, facendo gridare a ***, rivolto verso l’alto: “E daje, diluvia, che aspetti? Questo è proprio il momento giusto!”
…Fu invece solo un attimo di distrazione di quelle tirchie nubi.

Con la coda tra le gambe ( più moscia di quanto gli sarebbe piaciuto), stava per prendere la via della riconsegna bici, senonché, da dietro la rotatoria di Piazzale Jefferson, sbucarono due …Carabinieri a cavallo, pronti a fare la loro brava passeggiatina.
“Che cazzo ciavrete da controllà, oramai !”, pensò ad alta voce.
Già…la ronda degli ufficiali ippomuniti, il “tema dell’ impedimento”, nella Ouverture che fu quel pomeriggio di metà Dicembre, ciò che riapparirà come Leitmotiv per tutto il corso di quella storia tormentata, irta di ostacoli e di atroci scherzi del destino.
Ed ora, col trovarsi davanti quelle due guardie, *** si sentiva ribollire il sangue, pur non capendone bene il motivo, dopodiché per istinto fece ciò che gli sembrò più irrazionalmente logico: mettersi dietro ai cavalli e seguirli lungo il tragitto che si apprestavano a fare. Il senso del “tanto non vi è più nulla da perdere” fece da sceneggiatore di quest’ultima, solenne processione.
Le macchine che sfrecciavano a forte velocità sul Viale degli Olmi ben contrastavano con il procedere a passo di lumaca, sull’ ampio marciapiede costeggiante lo stradone, delle forze dell’ordine, ostinatamente seguite da un disperato ciclista dall’ espressione un po’ pazzoide, il quale, immerso in quella grottesca, surreale eppur solenne messa in scena, da dietro quella sua trance apparente, continuava a chiedersi quanto tempo avrebbero impiegato i carabinieri ad accorgersi della sua presenza… Quindi, frase di un inconsapevole copione:
“Ve ne dovrete accòrge, prima o poi, della presenza mia !”
Il rumore del traffico era piuttosto intenso, ed appariva quindi improbabile che la coppia di sbirri avesse udito la sommessa voce del nostro.
Eppure, dopo aver fatto finta di vedere qualcosa sulla destra (in modo da voltarsi lentamente durante il moto in avanti ), essi iniziarono una goffa inversione a U, rimanendo sempre all’interno del marciapiede, di colpo divenuto troppo stretto.
*** continuò a star loro dietro, movendosi con grazia ed estrema cautela, un po’ per coreografia, un po’ per evitare di farsi tatuare qualche impronta equina, finché, dopo una decina di metri di percorso a ritroso, i due militi si fermarono e ruppero il silenzio: “Mi scusi, cercava noi per caso?”
La risposta, abbastanza scontata, non fu ovviamente compresa dalle guardie ignare:
“Mah, non esattamente… E’ che, visto che tutto iniziò con voi che ci inseguiste, ora che è finita mi pareva giusto concludere con io che seguivo voi.”

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