Settembre 2018: The Moody Blues – DAYS OF FUTURE PASSED (1967)

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Data di pubblicazione: 10 novembre 1967
Registrato a: Decca Studios (Londra)
Produttore Tony Clarke
Formazione: Justin Hayward (voce, chitarre, piano, sitar), Mike Pinder (mellotron, piano, tamburi, gong, voce), Ray Thomas (flauti, percussioni, piano, voce), John Lodge (basso, voce), Greame Edge (batteria, percussioni, voce), Peter Knight (arrangiamenti, direttore d’orchestra), The London Festival Orchestra (orchestrazioni)

 

 

Lato A

 

The day begins

  • The day begins
  • Morning glory

Dawn: dawn is a feeling
The morning: another morning
Lunch break: peak hour

 

Lato B

 

The afternoon

  • Forever afternoon (Teasday?)
  • (Evening) Time to get away

Evening

  • The sunset
  • Twilight time

The night

  • Night in white satin
  • Late lament/Resolvement

 

 

 

Le mie canzoni formano una sorta di biografia o diario della mia vita
 in cui parlano di persone che ho amato e persone
 che conoscevo solo nel mio cuore,
luoghi che ho visto solo per un momento
e luoghi in cui ho vissuto tutta la mia vita
(Justin Hayward)

 

 

C’era una volta a Londra nel 1967 una casa discografica, la Decca Records, che per fini essenzialmente pubblicitari propose al complesso capitanato da John Lodge e Justin Hayward un ambizioso e praticamente impossibile progetto: produrre una versione rock della “Sinfonia del nuovo mondo” di Antonin Dvoràk. Il complesso accettò, rendendosi conto in seguito che si trattava di un’immane stronzata. I ragazzi, rinunciando alla folle idea, continuarono però a lavorare sui loro progetti originali, senza disdegnare però un aiutino dalla già disponibile London Festival Orchestra. Risultato finale? Un bel repertorio di sette canzoni progressive immerse in una matrice di musica sinfonica. Bella schifezza, dovevano aver pensato i discografici. Lo scetticismo permase fino alla sua uscita, nel 1967, quando il disco conobbe un grande successo.
Il concept si basa sullo scorrere della giornata: i titoli vanno dall’alba di The day begins al tramonto di Nights in white satin. Le canzoni hanno tutte una introduzione e una conclusione sinfonica, che allunga e spezza i brani, sia tra di loro che al loro interno. È quasi impossibile sentire il cambiamento di traccia da un brano all’altro; ed è anche difficile in alcuni casi associare ad un brano un solo tema musicale. Dall’introduzione classica e lirica della prima parte si passa alla parte forse più “molle” del disco, cioè in sostanza il mattino e il mezzogiorno, in cui davvero i brani, un po’ troppo scanzonati, entrano in forte contrasto con l’orchestra. Ma superata questa debolezza si arriva ai 3 brani migliori, nel pomeriggio e nella sera. Afternoon è notevole. In essa convivono due temi, egualmente straordinari: si passa dalla prima Forever afternoon, con un sound decisamente vivace, alle note altissime di Peak hour, in cui prevale invece la malinconia e la sensazione di dover partire, di lasciare la sicurezza del giorno avvicinandosi sempre più all’ignoto della sera.
Evening è ancora meglio. L’introduzione, lasciata agli archi, precede un sound di basso e batteria molto potente, di ispirazione orientale, immancabilmente psichedelica e ipnotica. Un altro intermezzo sinfonico lascia spazio a un tema ancora più pesante, in modo che ci si ritrova nuovamente storditi, prima della distensione finale.
Nights in white satin la conoscono praticamente tutti (anche per via delle rivisitazione in italiano dei Nomadi che l’hanno trasformata in Ho difeso il mio amore). La voce candida di Hayward canta mentre il suono del sintetizzatore l’accompagna con suoni e voci da brividi, come dei fantasmi del passato. La canzone parla di un amore perduto, i cui unici resti sono un tessuto bianco, simbolo di innocenza e semplicità, di una bellezza ormai svanita.
Probabilmente le canzoni potevano resistere nella loro bellezza anche senza la componente sinfonica, che fa apparire il tutto un po’ artificioso e ingombrante (non per niente tempo fa sul Mucchio Extra il disco fu inserito tra i cento titoli da evitare). Ciò nonostante, il disco può comunque rappresentare una piacevole scoperta per chiunque si voglia avvicinare al genere progressivo e a quel rock sinfonico che conobbe grande successo negli anni successivi (si pensi anche ai Metallica di fine anni ’90 o ai Deep Purple di inizio anni ’70). Nel suo genere dunque, un classico!

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Settembre 2018: The Moody Blues – DAYS OF FUTURE PASSED (1967)ultima modifica: 2018-09-24T09:49:52+02:00da pierrovox

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