Luglio 2019: Giorgio Gaber – FAR FINTA DI ESSERE SANI (1973)

Far finta di essere sani

 

Data di pubblicazione: 1973
Registrato a: Studi Fonorama (Milano)
Produttore: Giorgio Gaber & Sandro Luporini
Formazione: Giorgio Gaber (voce, chitarra), Giorgio Caselatto (pianoforte), Giancarlo Ratti (batteria, percussioni), Ivo Meletti (chitarra), Giancarlo Messaggi (contrabasso)

 

Atto 1

 

                        Far finta di essere sani
                        Cerco un gesto, un gesto naturale
                        La comune
                        Il dente della conoscenza
                        Ѐ sabato
                        Lo shampoo
                        L’impotenza
                        Il narciso
                        Dall’altra parte del cancello
                        Il bloccato

 

Atto 2

 

                        La marcia dei colitici
                        Un’idea
                        L’elastico
                        Il guarito
                        Un’emozione
                        Chiedo scusa se parlo di Maria
                        La presa del potere
                        E tu mi vieni a dire
                        La libertà

 

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono

 

Il 2003 iniziò nel modo più brutto possibile: avevo appena acceso la tv e sento che era morto Giorgio Gaber. Il sentimento fu più o meno lo stesso di quello che provai quando sentii della morte di Fabrizio De André, in quella triste giornata del gennaio del 1999. La cultura italiana aveva perso qualcosa di incalcolabile, un grande pensatore, un feroce provocatore, che comunque induceva chi lo seguiva a pensare. Gaber era un personaggio libero e scostante, come solo un genio può esserlo, e se si pensa che in quel periodo si stava vivendo il tragico dramma del governo della destra berlusconiana, con la società civile sempre più inghiottita dall’avidità personalistica di una politica ridotta a farsa, e con un’opposizione tristemente agganciata al suo antagonismo di facciata, ma senza particolari idee, né politiche né tantomeno etiche, una perdita come quella di Gaber non poteva che essere il sentore che qualcosa si stava perdendo irrimediabilmente.
Giorgio Gaber nasce come semplice cantautore nell’Italia borghese e perbenista degli anni ’50, ma ben presto trasformerà la sua immagine di semplice intrattenitore e di buone melodie (che comunque fanno bene al cuore, basti pensare alla semplicità profonda di un pezzo come Non arrossire) da cantare col cuor leggero, in un abile pensatore, allontanandosi dagli schermi televisivi, sempre più famelici di personalità da dare in pasto al mare magnum della mediocrità di massa, per tornare a calcare i palcoscenici del teatro, dove l’artista veramente incontra il suo pubblico. In questo Gaber sarà un grande rivoluzionario, perché opterà per la vera cultura, per un umanesimo drammaticamente lucido eppur così desolatamente pessimista circa le sorti dell’umana società. Il “Teatro Canzone” resterà quindi nella cultura popolare italiana una rappresentazione lucida e sveglia di ciò che è l’Italia, coadiuvato spesso da personaggi illustri e colti come innanzitutto Sandro Luporini, suo fido compagno di viaggio e di mille avventure, ma facendo propria la lezione del giullare letterato Dario Fo e del cantautore strambo Enzo Jannacci, ponendosi come punto di riferimento di una Milano non da bere, ma da pensare. E il tutto iniziò nel 1970 col Signor G. “Capii che potevo vivere così e che quella era la mia strada”, ricorda Gaber in un’intervista. La sua strada non contemplava più i tour con Mina (che comunque ottennero il loro successo enorme), né tantomeno seguire i sogni sanremesi (che nel frattempo si erano portati via Luigi Tenco). La sua strada era il suo pubblico.
Gli spettacoli di Gaber sono tutti consigliabilissimi, ma uno in particolare che possa rappresentarlo è Far finta di essere sani, che in qualche modo rappresenta in modo tragicomico lo stile di vita del medio borghese. Ed è lì che la title-track posta in apertura del vinile (la prima vera stampa del disco ormai introvabile, dopodiché fu stampata un’edizione in doppio cd con uno spettacolo dal vivo del disco), prende in giro tutte le mode consumistiche o le acrobazie alternative del suo periodo, stigmatizzando drammaticamente tanto il modo di vivere borghese quanto quello della contestazione. Tutti sono presi di mira: dalla gente comune al ’68, illusione di qualcosa che non troverà mai la sua vera realizzazione. Cerco un gesto naturale infatti rivela qualcosa che riporti l’uomo alla consapevolezza di sé stessa, e nello stesso tempo riflette sulla sua natura condizionabile. Ne La comune però si apre una riflessione sulla crisi della famiglia tradizionale, e sulla necessità di una condivisione che si allarghi oltre il concetto privatistico, ma nello stesso tempo si prende in giro questa consuetudine fintamente alternativa che altro non è che l’ennesima nevrosi che alberga nel vivere quotidiano. Il dente della conoscenza riflette dall’infanzia e della naturalezza del destino, e nella violenza borghese all’adattamento allo stile convenzionale. Ѐ sabato ride invece delle abitudini domestiche, delle solite cose da fare, compreso il sesso coniugale, vissuto come obbligo e non come partecipazione. Lo shampoo invece è un simpaticissimo cabaret sulla noia quotidiana e sul logorio della vita moderna, con lo shampoo come soluzione. L’impotenza è una dolcissima canzone sulla povertà dell’essere umano che riflette sulla sua incapacità di amare, mentre Il narciso è il suo perfetto contraltare, dove si ride dell’imposizione maschile nel rapporto con una donna. Dall’altra parte del cancello entra nel tema delicatissimo della follia (siamo nel periodo della famosa Legge Basaglia), e ci si chiede chi è veramente quello normale e chi è veramente quello sano. Il bloccato chiude il primo atto e il primo lp.
La marcia dei colitici apre il secondo atto col suo fare circense, con Gaber che si dimena come un giullare di corte che discetta di oppressione che gli scatena la colite. Un’idea invece è la rappresentazione sonora dell’idealismo che porta avanti la rivoluzione, ma nello stesso tempo ride delle contraddizioni dei rivoluzionari d’apparenza. Semplicemente stupenda! L’elastico riflette sulla condizione del cantautore e di ciò che può fare per sollecitare riflessione e libero pensiero. Il guarito e Un’emozione proseguono sulla stessa falsariga, mentre Chiedo scusa se parlo di Maria allarga il suo percorso privato alla riflessione sulle droghe leggere. La presa del potere è un’accusa serrata alla malapolitica milanese e italiana e alla nuova generazione sfornata dalle università del ’68 posta in contrapposizione con la bellezza di un’Italia semplice e perduta. E tu mi vieni a dire si lega all’elegia de La libertà, che chiude il disco, bella come un inno, che tale è diventata, di un’utopia lontana ma per la quale vale la pena di lottare e vivere.
Far finta di essere sani è un disco bellissimo, assieme a tutti gli altri spettacoli. E Gaber porterà questa utopia avanti nella sua carriera, fino a quando un male incurabile non ce lo porterà via, alternando l’utopia e l’ironia, il sarcasmo e la dissacrazione (fece molto discutere il suo attacco ad Aldo Moro appena ucciso dalle Brigate Rosse in Io se fossi Dio), e la constatazione di come l’umanità scivoli sempre verso il peggio. “Vivere, non riesco a vivere ma la mente mi autorizza a credere che una storia, mia positiva o no, è qualcosa che sta dentro la realtà”. Ed è quella realtà che spinge qualsiasi uomo a non arrendersi alla sua miseria! A Gaber solo grazie!

Luglio 2019: Giorgio Gaber – FAR FINTA DI ESSERE SANI (1973)ultima modifica: 2019-07-15T11:59:21+02:00da pierrovox

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