Agosto 2019: The Lemonheads – IT’S A SHAME ABOUT RAY (1992)
Data di pubblicazione: 2 giugno 1992
Registrato a: Cherokee Studios (Los Angeles)
Produttore: The Robb Producers
Formazione: Evan Dando (voce, chitarre), Juliana Hatfield (basso, cori), David Ryan (batteria), Nic Dalton (basso), Jeff “Skunk” Baxter (slide guitar)
Tracklist
Rockin stroll
Confetti
It’s a shame about Ray
Rudderless
My drug Buddy
The turnpike down
Bit part
Alison’s starting to happen
Hannah & Gabi
Kitchen
Ceiling fan in my spoon
Frank Mills
Mrs. Robinson (bonus track)
“Le mie migliori canzoni le ho scritte in venti minuti”
(Evan Dando)
Il fattore umano non è mai stato dei più favorevoli all’approccio coi Lemonheads e col piacione Evan Dando. La “faccia presentabile del grunge”, sguardo da bravo ragazzo che faceva palpitare il cuore delle indie-rockers di mezzo mondo e intrigava pure le dame che leggevano le sue gesta nei rotocalchi rosa, fidanzatosi con tutto il fidanzabile (da Winona Ryder alla sua bassista Juliana Hatfield, e pure Courtney Love fece elegantemente sapere di esserci andata a letto), inopinatamente caduto in disgrazia dopo la fine della fiera alternative-MTV, tanto da essere costretto a fare da spalla ai concerti degli Oasis per recuperare un minimo di visibilità. Però Evan Dando è stato un grandissimo songwriter, e di ciò ci preme parlare.
It’s a shame about a Ray è probabilmente quello che meglio di ogni altra sua creatura può testimoniare il suo grande talento: un prodigioso condensato di college rock, una felice istantanea che cattura il gruppo nella fase di passaggio dall’apprendistato in zona Husker du nella fiorente scena della loro Boston, al periodo delle carinerie buone per Dawson Creek alla Into your arms e If I could talk I’d tell you che avrebbero caratterizzato l’agonia creativa del gruippo alla metà degli anni ’90. Tra questi solchi, in nemmeno trenta minuti, si trovano i crismi di un piccolo miracolo: un lavoro in cui confluiscono, con freschezza e creatività, solari melodie folk del nume tutelare Gram Parsons, detriti chitarristici mouldiani e folgoranti intuizioni jangle pop tanto care a certi R.E.M. o ai Meat Puppets.
Pezzi come Rockin’ stroll, Rudderless o Alison is starting to happen sono emblematici in tal senso, con la loro furia ingabbiata in un pathos da cameretta. Gli apici dell’album sono però Confetti, che suona come il Neil Young di Harvest scortecciato dai Ramones, la title track con i suoi tenui acquerelli intimisti, l’avvolgente litania My drug Buddy”, intarsiata da un divino organo e dal controcanto femminile della bella Juliana e la canzone da falò sulla-spiaggia Hannah & Gaby, con i suoi soffici aromi roots. Fa anche capolino come bunus una divertente cover di Mrs. Robinson di Simon & Garfunkel, utilizzata poi come colonna sonora nella degenerata pellicola The wolf of Wall Street di Martin Scorsese.
Dando conferiva un notevole valore aggiunto alle gemme di It’s a shame about Ray con la sua voce calda e profonda, apparentemente distaccata mentre sgranava il rosario del buon college-rocker (innocue storie di noia, cuori spezzati e droga nei quartieri residenziali middle-class), ma sempre viva e coinvolgente.