Marzo 2020: Shellac – AT ACTION PARK (1994)

At action park

 

Data di pubblicazione: 24 ottobre 1994
Registrato a: Southern Studios (Londra)
Produttore: Shellac
Formazione: Steve Albini (voce, chitarre), Robert S. Weston IV (basso, cori), Todd Trainer (batteria)

 

Tracklist

 

                        My black ass
                        Pull the cup
                        The admiral
                        Crow
                        Song of the minerals
                        A minute
                        The idea of the north
                        Dog and pony show
                        Boche’s dick
                        Il porno star

 

Fumare è naturale come respirare.
Sono cose che facevo già prima che io nascessi,
ed è un peccato perché avrei potuto inventarle
(Todd Trainer)

 

Steve Albini è una delle menti più creative e importanti per il rock alternativo degli anni ’90. Il suo marchio di fabbrica, fatto di suoni pesanti e particolarmente incisivi, è stato uno dei tratti distintivi dell’hard rock più moderno. Suoni abrasivi, rumori metallici e percussioni industriali, voce urlata e distorta, incidono su un declino sociale che Albini porta in musica, e che diventerà anche la cifra espressiva del malessere del grunge. Ingiustizie e disumanizzazione sono tematiche pregne di ogni disadattamento al vivere sociale, e in quel suono Albini le farà confluire entrambi. Non a caso gli stessi Nirvana vollero lui in cabina di regia per dare alla stampe il loro terzo album, dopo la sbornia di successo ottenuto con l’approccio pop di Nevermind, volevano qualcosa che rompesse definitivamente gli schemi, in modo violento, virulento, feroce, sanguinante. Anche PJ Harvey si lascerà trasportare da lui per Rid of me, proprio per dare una forza ancora più dura al suo femminismo rock. E i suoi aiuti in cabina di regia saranno dispensati a gente più disparata, tra i quali vi figurano i Pixies, i Mogwai, i Jesus Lizard, gli Slint, i Fugazi…
Dopo aver trattato con gruppi importanti come Big Black e Rapemen, Steve Albini, assieme a Robert Weston e Todd Trainer mette su gli Shellac, una band che loro stessi definiranno come “trio rock minimalista”. La loro ricetta rock sta appunto nella fusione di un’attitudine punk violenta a suoni industriali, percussioni martellanti, poca confidenza con la melodia e molta familiarità con l’aggressività. Tutto quello che col tempo è stato definito “noise”, con loro ha trovato la semente da gettare nel terreno buono del rock e da far fiorire.
Primo atto di questo percorso è l’esordio epocale At Action Park (titolo ispirato ad un famoso parco giochi acquatico del New Jersey). Un album che, come In utero dei Nirvana, non vuole simboleggiare la sua epoca, non vuole rappresentarla, ma viverla in tutto il suo più aspro malessere, come una crisi isterica fatta di riff secchi di chitarre distorte e urla cacofoniche. L’album è stato registrato tutto in presa diretta, non ha sovraincisioni o particolari lavori di studio; vuole essere qualcosa di quanto più genuino e immediato, vuole vomitare tutto il suo sfogo dalle casse che lo riproducono, e investire a colpi d’ascia qualsiasi cosa.
Ed è così che apre una devastante My black ass, con quel suo riff sgranato, robuste linee di basso pulsante e una ritmica serrata quanto quella di un martello pneumatico. Le distorsioni di Pull the cup e i colpi secchi di batteria tagliano a sangue le orecchie dell’ascoltatore, per uno strumentale di quattro minuti di sevizie. The admiral incede con una frequenza decisamente punk, mentre Crow aggancia i Jesus Lizard con la new wave, soprattutto nelle linee di basso tanto richiamanti i Joy Division. Song of minerals apre scenari hardcore come solo i Fugazi potrebbero fare, mentre A minute slappeggia dannata tra richiami funky, andamento hardcore e qualche avvisaglia dei Pere Ubu in zona. The idea of the north mostra legami con ciò che diventerà post rock, e che negli Slint di Spiderland aveva avuto uno splendido manifesto, tra atmosfere spettrali e surreali e quell’aria elettrica in giro. Dog and pony show è una festa di punk e industrial, e lo schizzo Boche’s dick collega direttamente con il finale convulso di Il porno star.
Gli Shellac di questo disco non voglio essere un divertente intrattenimento del rock’n’roll. Loro vogliono esserne l’espressione massima del dramma di vivere, dell’incazzatura perenne di una generazione di disadattati. Una specie di apocalisse annunciata, dove però non vi è salvezza. Gli Shellac non erano certo fatti per rassicurare…
Il tempo porterà la band ad incidere altri cinque album spazianti tra il buono ed grande livello, ma non ripeteranno più l’eccellenza creativa e devastante di At Action Park, che nel suo essere manifesto di malessere, resta una perla particolarmente influente del rock.

 

Marzo 2020: Shellac – AT ACTION PARK (1994)ultima modifica: 2020-03-12T12:16:04+01:00da pierrovox

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