Agosto 2020: The Birthday Party – PRAYERS ON FIRE (1981)

Prayers on fire

 

Data di pubblicazione: 6 aprile 1981
Registrato a: A.A.V. Studio 2 (Melbourne)
Produttore: Tony Cohen
Formazione: Nick Cave (voce, pianoforte, sassofono, batteria), Rowland S. Howard (chitarra, sassofono, batteria, voce), Mick Harvey (organo, pianoforte, chitarra), Tracy Pew (basso, clarinetto), Phil Calvert (batteria), Phillip Jackson (tromba), Mick Hauser (sassofono tenore), Stephen Ewart (trombone)

 

Lato A

 

                        Zoo-music girl
                        Cry
                        Capers
                        Nick the stripper
                        Ho-ho
                        Figure of fun
 

Lato B

 

                        King Ink
                        A dead song
                        Yard
                        Dull day
                        Just you and me
 

 

La musica è più ludica,
ma le liriche sono arrabbiate
(Nick Cave)

Prima ancora che Nick Cave diventasse il perfetto gentiluomo del rock che tutti conosciamo, era stato un invasato sciamano con gli occhi fuori dalle palpebre, che sputava sangue e che si dimenava come un ossesso durante l’esibizione della musica. Non che in seguito avesse fatto a meno dell’inquietudine, ma proprio si può dire che solo a vederlo, Nick Cave faceva paura.
Vero e proprio fascino (auto)distruttivo, e una tendenza alla sostanza maledetta della poesia e della teatralità, che solo pochissimi hanno saputo eguagliare con tanto pagano fervore. Forse solo gli irlandesi Virgin Prunes possono essere paragonati a quel tipo di maledizione rock, tanto per la musicalità tetra e gotica, quanto per le esibizioni tribali e primitive, scarne e dense di oscuro fascino.
Quel periodo post punk aveva comunque generato in Australia i Birthday Party, un gruppo fatto di giovani studenti (tra i quali figuravano anche Mick Harvey, Rowland Howard, Tracy Pew, Phil Calvert, e che poi saranno la base per l’assemblaggio dei Bad Seeds) che furono affascinati dalle devastazioni del punk anglosassone, in particolari dagli eccessi dei Pop Group, e che mettevano in musica tutta una serie di cacofonie sonore fatte di distorsioni assordanti, dissonanze e tribalismi vari. Questo unito ad una visione religiosa decisamente sinistra, vivendo il dramma dei personaggi biblici più nell’aspetto maledetto, che nella pacificazione del rapporto con Dio. Nella loro musica si possono riflettere le urla di dolore di Giobbe (anche se ne dimenticano la successiva pacificazione), le sue bestemmie, il suo chiedere conto a Dio, ma anche il travaglio doloroso della scelta di Abramo di sacrificare suo figlio Isacco, o il sudore di sangue di Gesù nel Getsemani. Ma in tutto questo, come detto, manca il pezzo finale del vero e proprio rapporto con Dio. Prevale la disperazione più che la pacificazione. Ѐ come se si preferisse la dannazione alla salvezza, il dolore alla cura. E questo spirito tormentato che li porterà a generare Prayer on fire, una sorta di breviario maledetto, e che seguirà il convincente e seminale omonimo esordio dell’anno precedente.
L’estetica è quella gotica, il fervore oltraggioso e violento, lo stile dannatamente dark-blues. Apre le danze l’inaudita ferocia di Zoo music girl, che racconta di una donna uccisa durante uno stupro. L’impatto è devastante, con i giri pseudo-funky della chitarra, la ritmica tribale e una voce conturbante e stridula, simile a quella di un uomo sul filo di una crisi nervosa, ben rappresentati anche dagli spasmi, dai lamenti e dagli strilli d’organo. Segue una nervosa e incontenibile Cry, forsennata e morbosa, esattamente come i continui cambi di ritmo che la caratterizzano, e un incandescente urlo sul finale. Ѐ giunto il momento della spettrale e psichedelica Capers, seguita da Nick the stipper, sorta di cupo e selvaggio autoritratto di Nick Cave di quel periodo. L’acume gotico del pezzo ben si rappresenta con un infernale video clip, pieno di immagini legate al caos, alla realtà della dannazione, alla morte e alla putrefazione, oltre ad immagini eloquenti che lo rappresentano con scritte blasfeme sul torace. Il pezzo è una sorta di tortura sonica, resa ancora più sinistra dall’inserimento dei fiati e di alcuni archi classicheggianti. Il raga psichedelico doorsiano di Ho-ho che segue, non placa l’atmosfera claustrofobica, né tantomeno apre spiragli di luce, ma dal canto suo immerge l’ascoltatore in un bagno tossico. Il primo lato si chiude con gli assalti cacofonici di Figure of fun, caratterizzato dal suono di un organo impazzito, distorsioni fuori controllo, e il solito Cave che canta in preda ad uno stato di trance epilettica.
Il lato B si apre con la descrizione del regno di King Ink, abitato da puttane in calore, nani sodomiti, scarafaggi pesanti e corazze di mattone. Un’altra descrizione plasticamente realistica di cosa possa essere l’inferno. A questo non può che seguire lo spasmo nervoso di A dead song, e la macabra rarefazione lisergica di Yard, con tanto di clarinetto orientale ad emergere tra le righe sonore. Dull day si apre invece con un riff blues che tanto farebbe pensare a Iggy Pop un tantino più meditativo, ma che non rinuncia affatto alla sua animalità. Giunge il momento del recitativo noir di Just you and me, che in un certo senso si trova in linea con i bofonchi gutturali di Tom Waits degli anni ’80, mentre le pulsazioni di Blundertown armonizzano con una forma canzone un tantino più convenzionale, con piccoli ricami chitarristici e un andamento sonoro a metà tra Cure e Bauhaus, senza tralasciare il suo animo blues. Chiude la waitsiana Kathy’s kisses, tra toni cabaret, un sassofono distorto e una voce bofonchiante amenità di ogni genere.
Questo è appunto Prayers on fire: un piccolo capolavoro post punk fatto di blasfemie e provocazioni. Vive di una religiosità tormentata, una visione della vita tetra e senza speranza, oltre ad una musicalità che esprime tutto questo tormento. Un viaggio dentro un incubo, come nei migliori film noir e horror. Si potrebbe cinematograficamente rappresentarlo facendo un paragone con Repulsion di Roman Polanski. E comunque il viaggio tetro continuerà con l’ancora più demenziale Junkyard, e con Bad Seeds, che avrà il merito di inaugurare una nuova stagione. Anche lì ci sarà il tormento, ma quella è tutta un’altra storia…

 

Opprimente e implacabile, Prayers on fire è altamente raccomandato per coloro che aspirano a stati avanzati di demenza
(Greg Mauer)

Agosto 2020: The Birthday Party – PRAYERS ON FIRE (1981)ultima modifica: 2020-08-10T11:54:36+02:00da pierrovox

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