Novembre 2020: Buzzcocks – ANOTHER MUSIC IN A DIFFERENT KITCHEN (1978)

Buzzcocks - Another music in a different kitchen

 

Data di pubblicazione: 10 marzo 1978
Registrato a: Olympic Studios (Londra)
Produttore: Martin Rushent
Formazione: Pete Shelley (voce, chitarra), Steve Diggle (chitarra ritmica, cori), Steve Garvey (basso), John Maher (batteria, percussioni)

 

Lato A

 

                                    Fast cars
                                    No reply
                                    You tear me up
                                    Get on our own
                                    Love battery
                                    Sixteen

 

Lato B

 

                                    I don’t mind
                                    Fiction romance
                                    Autonomy
                                    I need
                                    Moving away from the pulsebeat

 

 

Un frammento che acceca i nostri spiriti
(Roman Polanski)

 

Parlava di Ian Curtis e dei Joy Division il grande registra Roman Polanski, e soprattutto metteva in risalto la grande genialità e l’espressività della band di Manchester. Eppur ci sentiamo di dire che i Joy Division forse non sarebbero stati gli stessi se sul loro percorso non avessero incrociato i Buzzcocks, punk rock band della stessa città, e dall’impatto decisamente devastante. In un certo qual modo i Buzzcocks sono tra i pionieri, oltre che gli ideatori di una nuova corrente musicale che stava germinando in tutta Europa, e che avrebbe devastato tutto ciò che era prima: il punk!
Sin dal loro stesso nome, volutamente ambiguo, si ponevano l’obiettivo di affrontare tematiche scomode e pregne di tabù sociali, e di presentarsi come qualcosa di decisamente spigoloso con cui aver a che fare. E furono loro a proiettare i Joy Division in una dimensione ancora più grande. Ed ecco perché a distanza di tempo, ci sembra oltremodo opportuno riconoscere il giusto merito ad una band che non solo ha saputo infiammare la scena, ma ha saputo anche accendere fuochi che hanno brillato a lungo, e che ancora continuano a brillare.
Stilisticamente parlando erano la versione inglese dei Ramones, ma invece di soffermarsi solo sulle tanto decantate tematiche adolescenziali della surf punk rock band di New York, loro si introducevano in un clima nichilista ancora più marcato, come quello del sesso e delle droghe, e della vita ai margini, prendendo le distanze dagli umori politici dei Clash e dei Sex Pistols, e proponendo una sorta di novello baccanale punk, rifacendosi ai primi Doors. La loro politica era l’eccesso, e questo da solo bastava ad accendere fuoci inesauribili.
Ed è forse pensando al Soul kitchen di Morrison e compagni, che Pete Shelley e allegra combriccola esordiranno con Another music in a different kitchen. L’album si rivela quindi come una delle colonne portanti del punk anglosassone di tutti i tempi, ponendosi come uno dei fenomeni innovatori di assoluto valore all’interno del grande mare del rock.
Il loro messaggio non era tanto il “no future” dei Sex Pistols, né tanto meno gli scontri di strada dei Clash, ma l’invito all’eccesso, a scopare fino a stare male, ad eccedere con le droghe, e a concedersi ogni sorta di vizio edonistico, un po’ come dieci anni prima invitava a fare proprio Jim Morrison. E se pensiamo ai Joy Division, e alla loro affinità sonora con i Doors, allora notiamo che tutto ritorna. Il punk quindi sapeva essere anche questo!
Il disco quindi si apre con la granitica Fast cars, assalto chitarristico sfrenato e comunque ricamato da intrecci chitarristici abbastanza virtuosi, tanto da far pensare a Tom Verlaine. Il basso pulsante che accompagna tutto il brano e ne sorregge la struttura robusta, è uno degli elementi portanti di un pezzo destinato a devastare tutto e tutti. Il mix micidiale tra melodia pop e punk rock si mostra in un scintillante esempio di coralità sixties e muro assordante di chitarre dato da No reply, mentre la scalpitante You tear me up apre le porte alla ventura new wave. Get on your own è un altro pezzo incredibile capace di far incrociare ancora una certa melodia raggiante del pop anni ’60 e le urgenze creative del nuovo corso sonoro, e da meno non è Love battery, questa più vicina agli assalti frontali dei Ramones. E se di anni ’60 si parla, non può che essere Sixteen a chiudere il primo lato, dimenandosi in tutta la sua più sboccata carica sessuale.
I don’t mind, che apre il secondo lato, musicalmente richiama certii Clash, scanzonata e gioiosa, mentre Fiction romance si sposta su una sorta di crossover tossico. Autonomy è un vivace strumentale, dove le chitarre fanno la loro porca figura, graffiando, scheggiando, schiaffeggiando l’ascoltatore a colpi di feedback e riff fenomenali. Si riprende a correre a colpi di sesso e droghe con I need, e chiude la lunga improvvisazione sonora di Moving away from the pulsebeat, che apre le porte della creatività dei Joy Division, con una ritmica che ben presto loro stessi prenderanno per la funerea Atmosphere, pur creando ben altra condizione sonora.
Another music in a different music fa questo in trentacinque minuti di rock: devastare! Spazza via tutto, e ciò che resta altro non può essere che un invito all’eccesso. E dal punto di vista musicale l’impatto non poteva che essere notevole, formidabile. E il percorso continua con altri due album come Love bites e A different kind of tension, e soprattutto in quest’ultimo verranno abbandonate le tematiche eccessive per approcciare un atteggiamento più portato verso la poetica e la riflessione, citando spesso all’occasione William S. Burroughs. Il resto della storia è fatta da scioglimenti e reunion. Ma quello che ci importa è esattamente ciò che è diventato storia. E il punk di questa band di Manchester lo è stato!

Novembre 2020: Buzzcocks – ANOTHER MUSIC IN A DIFFERENT KITCHEN (1978)ultima modifica: 2020-11-19T07:58:54+01:00da pierrovox

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