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Nulla da scrivere

Convengo che da un po’, gli argomenti che tratto si ripetono.

 

Mi nacque un’ossessione. E l’ossessione diventò poesia”, diceva Alda Merini.

 

Un pensiero può, diventare un’ossessione se la realtà diventa oppressiva e divisiva. E quel pensiero mentale persistente, che non si riesce ad eliminare dalla mente si avvolge, inevitabilmente, d’ansia.

Ed è questa ansia che definisce l’ossessione.

 

Stamattina ho comprato un giochino a Frida una semplice palla di plastica. La sua felicità è stata incommensurabile. Quasi ho invidiato la sua semplicità.

 

Sono sincero, non ho un pensiero – preciso – da condividere, di solito c’è sempre uno spunto, un’ispirazione che mi porta ad analizzare un pensiero e da quel pensiero espandere la mia riflessione.

Ho iniziato dall’ossessione, un pensiero come un altro, particolarmente adatto ai tempi moderni.

Sì, scrivere di stupro e violenza può avere il suo senso, così come scrivere d’amore e passione, ma alla lunga diventa persino tedioso o, peggio, referenziale. Di massima concordo con l’idea che si dovrebbe parlare di ciò che si conosce.

L’argomento che conosco più di ogni altro è, senza dubbio, l’arte. Ho sempre avuto un rapporto intimo e solitario – con l’arte – condivido poco – relativamente a questo spazio – e quando creo non amo esser osservato. Direi che rientra perfettamente, questo mio comportamento, in un’ossessione.

La timidezza porta a rendersi invisibili, meno si viene osservati, meno si alimentano le ossessioni e con esse le incertezze. L’insicurezza alla fine è una forma di ossessione.

Quando gli argomenti stendono a prendere forma, si torna sul vecchio e tutto si ripete ossessivamente.

 

Tutto sommato mi può anche star bene così.

A volte entrando dopo giorni vedo le numerose notifiche di visite, per lo più sono sempre gli stessi che senza interagire continuano a visitare, immaginano casualmente. Non ho alcuno stimolo o interesse, non più, a scoprire chi sono, che hanno da dire e condividere. Dopo anni non credo posso trovare menti più sensibili di quelle che ho conosciuto e che oggi chiamo amicizie.

 

Non saprei come altro continuare.

Oggi è così.

Prendete questo pensiero come scusa per un saluto fino alla prossima incursione.

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In posa

Sono poco le volte che esprimo opinioni sugli eventi di cronaca.
Ogni tanto, però, la scrivo la mia, per quel che vale.
Non ho un’ideologia di posizione, nel senso che, non sono né di destra, né di sinistra, seguo la logica dei contenuti.
Questo perché si rischia se no, di incatenarsi ad un’ideologia ed attaccare a prescindere, senza valutare la razionalità di un pensiero o la sua obiettività.

Nella quotidianità di tutti i giorni, certi argomenti, entrano nei discorsi in maniera a volte felpata.

La mattina sono io ad alzarmi per primo, Frida lo richiede e ne ha necessità. Ad un certo punto arriva sempre una richiesta, da una voce assonata e accondiscendente che domanda:
«Tesoro la prepari la colazione?»
Una volta seduti uno accanto a l’altra con in mano ognuno la sua delizia, mi capita di iniziare la discussione esclamando e chiedendo:
«Lo sai cos’è successo ieri?!»
Ed ecco che l’argomento s’intrufola tra le discussioni quotidiane per la spesa o la famiglia.

Cos’è successo ieri?

Di notizie, la cronaca ne sforna una al muniti, le scelte non mancano. Tra le tante notizie di cronaca nera trovi anche qualche notizie positiva, non riesce a rimanere in auge per molto, ma c’è.

Non tutte le notizie tragiche sono viste o lette, poi, con disapprovazione e riprovazione. Un umano che si fa ispirare da ideali di destra, magari si esalta per l’affondamento di una barca piena di migranti.
Facile descrivere quel che potrebbe dire e pensare: “Se non partivano, non affondavano.” o  “Se la sono cercata.”
Frase quest’ultima usata, anche, dai maschi italiani, da qualche giornalista e ben pensante per etichettare e condannare le ragazze che vengono violentate e uccise.

“Se la sono cercata.”

Dubito che una donna si vada a cercare lo stupro.
Forse pecca di troppa fiducia, pensa che può provocare e giocare alla seduzione senza poi concedersi se non gli va. Si! Forse la donna, a volte, è imprudente e troppo volitiva nel giocare con certi uomini. Non si risolve il problema, però, togliendo libertà, non è infatti una soluzione allungare la gonna fino alla caviglia o costringerle ad uscire di casa solo all’ora del the, come gridano alcuni. E non è una colpa neanche decidere di non continuare il gioco, per lo meno una colpa tale da dover subire una punizione come lo stupro.
Quando vogliamo sappiamo non reagire alle provocazioni se ci conviene e rischiamo grosso, non è quindi un problema di controllo. Quanto di autodefinizione e autodeterminazione.

Il cliché della donna oggetto, della donna come esternazione della bellezza, donna = corpo: Tette, culo e cosce, è vivo e ben saldo nella cultura sociale, al di là delle tante conquista che essa (la donna) crede d’aver realizzato.

In posa!!!

Dalle passerelle delle sfilate, al palco di un programma televisivo, fino alle intime stanze di casa racchiuse nello schermo di un piccolo smartphone.

Scatti e selfie che sempre più sono la definizione etimologica del limite che separa la profondità dalla superficialità.

E non è il nudo il problema. In una calda giornata di Luglio, di corpi seminudi ne trovi quanti ne vuoi ai bordi di una spiaggia.

L’arte stessa volendo a saputo incorniciare il corpo umano, inserendo ai margini un sottotitolo che spesso sa essere, se l’artista è capace, poesia.

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Édouard Manet – Olympia – Olio su tela

Che sottotitolo hanno le immagine di oggi?
Sapete cosa colgo da tutto questo?

Che l’arte tramanda, la rete consuma.

Si sono consumante le parole e con le parole i contenuti, l’istantanea immediatezza delle rete, ha reso istantanei anche i pensieri di oggi.

Un uomo guarda una donna seduta nella penombra di un sala brulicante di lustrini e reggicalze.
L’osserva con lo sguardo di chi vuole conquistare la vetta più alta. Spavaldo si avvicinata e con la fierezza di chi sa cosa vuole, esclama:

 

SEI, TROPPA!!! SPACCHI!!!!
TI VA SE FACCIAMO QUALCOSA INSIEME?

 

E dire che una volta:

 

CIRANO:
Lasciatemi coglier questo pretesto dell’occasione che qui ci offre il potersi parlare sì dolcemente, così.

ROSSANA:
Senza vedersi?

CIRANO:
Ma sì, è incantevole, ci indoviniamo appena. Voi sentite un mantello che del nero si svena, io intravedo un biancore di veste che vapòra. Io non sono che un’ombra, voi l’eco di un’aurora. E immagino di non avervi mai parlato avanti…

ROSSANA:
È vero, i vostri toni erano meno stimolanti.

CIRANO:
Sì, perché nel buio che mi va proteggendo io oso essere me stesso e oso… Stavo dicendo? Ah, non so, è così tutto… scusate l’emozione… così delizioso, così nuova occasione.

ROSSANA:
Così nuova?

CIRANO:
Sì, d’essere sincero. La paura di essere dileggiato contro di me congiura.

ROSSANA:
Dileggiato?

CIRANO:
Ma… per uno slancio. Sì, il mio cuore del mio spirito sempre si veste per pudore. Ah, lo spirito è inutile in amore! È da canaglia prolungare in amore l’inutile battaglia. Il momento poi viene, senza un ripensamento, e rimpiango coloro a cui non tocca un tal momento, quando sentiamo in noi che un amore nobile esiste e che anche un lieve cenno lo può rendere triste.

ROSSANA:
Sì, il momento è questo e ci offre ora il suo frutto.
Che cosa mi direte?

CIRANO:
Ma tutto, tutto, tutto, così come sarà darò ciuffo per ciuffo senza farvene un fascio. Vi amo, e mi ci tuffo, t’amo! Son pazzo, non ne posso più, è troppo! Ed il tuo nome in gola è un nodo, un cappio, un groppo. Di te io mi ricordo ogni fatto, tutto ho amato. Io so che un giorno, il dodici maggio l’anno passato, cambiasti, per uscire al mattin, pettinatura. Fu come un nuovo sole, la tua capigliatura. Ti è chiaro allora adesso? Infin lo vuoi capire? Senti l’anima mia nell’oscurità salire? Oh, è vero che stasera c’è un sogno intorno a noi. Io che vi dico questo, voi mi ascoltate, voi. Be’, è troppo. Nella speranza più modesta mai ho sperato tanto. Per questo non mi resta null’altro che morire. È per i miei sussurri ch’ella trema furtiva lassù, tra i rami azzurri? Scende il tremor bramato dalla tua mano insino all’ultimo dei fili di questo gelsomino.

ROSSANA:
Sì, io tremo, e io piango, e cedo alla tua corte, tu mi hai inebriata.

CIRANO:
Allor venga la morte… Quell’ebbrezza, è la mia, che ha espugnato la rocca. Io non domando altro che chiedervi…

CRISTIANO:
la bocca!

ROSSANA:
Eh? Cosa? Voi chiedete…?

CIRANO:
Sì, io… vai troppo in fretta!

CRISTIANO:
Visto che è tanto scossa, e diamoci una stretta!

CIRANO:
Sì, io ho chiesto, è vero… ma santo cielo!… però quello che dico non è sempre vangelo.
Il bacio… no!… fa niente, la richiesta è precoce.

CRISTIANO:
Perché?

CIRANO:
Crepa, Cristiano!

ROSSANA:
Che dite a bassa voce?

CIRANO:
Sono andato lontano, e non ho un’attenuante.
Io mi dicevo: “Taci Cristiano, un istante!”

CRISTIANO:
Ottienimi quel bacio!

CIRANO:
Aspetta!

ROSSANA:
Sono sola?

CIRANO:
Parlavamo di un bacio…

ROSSANA:
No…

CIRANO:
Sì, è dolce la parola.

ROSSANA:
Tacete.

CIRANO:
Un bacio… ma cos’è, così d’un tratto? Un giuramento reso tra sé e sé, un patto più stretto… È come un traguardo che insieme è un avvio, un punto rosa acceso sulla “i” di “amore mio”, un bisbiglìo alle labbra perché l’orecchio intenda, il brivido del miele di un’ape che sfaccenda, una comunione presa al petalo di un fiore, un modo lungo e lieve di respirarsi il cuore e di gustarsi in bocca l’anima poco a poco.

ROSSANA:
Tacetevi, vi prego.

CIRANO:
Sì, taccio o vado a fuoco!
Sali!

CRISTIANO:
Però adesso mi sembra che sia male…

ROSSANA:
Ci siete sempre?

CIRANO:
E monta, gran pezzo d’animale!

Oibò!!! Certo due spasimanti non declinavano l’amore in simili rime, ai tempi di Rossana, ma certo ispiravano i cuori e le menti degli innamorati.

Avete letto? Avete concesso alla vostra mente e alla vostra bocca il dono di pronunciare questo scambio di parole che sono eccitazione e spaventosa passione?
Perché oggi tutto quello che avete letto, si esprime con un singolo e unico carattere:

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Simpatico certo, ma povero. Quanto è povero.

Povero come chi non conosce la differenza tra passione e depravazione, tra sesso e stupro.

Il mio primo trafugamento di madre
avvenne in una notte d’estate
quando un pazzo mi prese
mi adagiò sopra l’erba
e mi fece concepire un figlio.

O mai la luna gridò così tanto
contro le stelle offese,
e mai gridarono tanto i miei visceri,

né il Signore volse mai il capo all’indietro,

come in quell’istante preciso

vedendo la mia verginità di madre
offesa dentro a un ludibrio.

Il mio primo trafugamento di donna

avvenne in un angolo oscuro
sotto il calore impetuoso del sesso,

ma nacque una bimba gentile

con un sorriso dolcissimo
e tutto fu perdonato.

Ma io non perdonerò mai
e quel bimbo mi fu tolto dal grembo

e affidato a mani più « sante »,
ma fui io ad essere oltraggiata,
io che salii sopra i cieli

per avere concepito una genesi.
Alda Merini.

Non è la prima volta che scrivo di questo. Perché questo accade spesso. E spesso alla domanda:
Sai cos’è successo ieri? rispondo.
Un’altra donna è stata stuprata.

Un tema diventato da salotto, così tragico da essere persino bizzarro nella sua antropologica spiegazione. Eppure è cosi.

Nei miei contenuti spesso sono sopra le righe e spesso delineo confini tragici e violenti. Un modo personale di raccontare che si esiste nonostante le ferite, soprattuto per le ferite.

Ho condiviso molti disegni, ma mai opere:

Opera personale

Finché batte sai che esisti.

 

Solo il tuo cuore ardente
e niente più.
Il mio paradiso un campo
senza usignolo
né lire,
con un fiume discreto
e una fontanella.
Senza lo sprone del vento
sopra le fronde
né la stella che vuole
essere foglia.
Una grandissima luce
che fosse
lucciola
di un’altra,
in un campo di
sguardi viziosi.
Un riposo chiaro
e lì i nostri baci,
nèi sonori
dell’eco,
si aprirebbero molto lontano.
Il tuo cuore ardente,
niente più.
Federico Garcia Lorca

 

Cos’è successo ieri?

 

Il Premio Nobel per la Pace all’attivista iraniana Narges Mohammadi.

 

Per «la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e la sua lotta per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti»

 

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Oggi è stato cosi.

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“Cara” vita

Ieri sera, insieme alla mia compagna, sono uscito per una passeggiata. Abbiamo gironzolato senza badare al tempo, finché guardando l’ora sul cellulare non ci siamo accorti che si erano fatte le 20:30. Vista l’ora abbiamo deciso, quindi, di cenare in uno dei tanti locali del centro paese.

Alla fine della cena abbiamo subito, e sì! Subito, una sorpresa.
Una sorpresa da 68 euro.

68 euro, per due secondi, una bottiglia (in plastica) d’acqua, una birra e gli immancabile coperti.

Non è un pò troppo?

Lo sento, spesso, dire in tv o lo leggo nei quotidiani, il tanto nominato: “caro vita”.
Che non è un modo dolce o affettuoso per elogiare la propria vita, ma un modo pretenzioso per declinare gli aumenti e i rincari (che poi sono la stessa cosa).

Mi chiedo? Dove finisce l’urgenza economica – LA CRISI –  e inizia la speculazione fraudolenta?

A forza di esser presi per il culo, alla fine ci si abitua a questa dolorosa azione sociale.

“È un errore frequente misurare le cose in base al denaro che costano.”
Albert Einstein

Ci sta, sempre, la citazione per rafforzare un valore e di valore si parla, il valore delle cose, per citarne un’altra:

“Qualunque sia il prezzo, si compra bene solo ciò che è necessario.”
Cicerone

La cena, al ristorante o in trattoria, non è certo qualcosa di necessario, se ne può fare benissimo a meno (per chi sa cucinare ovviamente), come si può fare a meno di tante velleità che sono spesso inutili e nocive per la nostra stessa vita. Una perdita di tempo, in molti casi, e di tempo non ce n’è mai abbastanza.
A volte persino le azioni necessarie vengono eclissate da una logica di benessere che è: superflua.
Esempio: Giorni fa ho comprato una ciotola per Frida, una ciotola per l’acqua con dispensatore da 3 litri, tra gli articoli in vendita c’era anche un dispensatore di cibo automatico. Un robot da 300 euro che erogava in autonomia al nostro cucciolo la quantità di cibo necessaria nei tempi programmati, calcolando in base all’età e al peso, dosi e qualità del cibo. Nutrire il cucciolo è una necessità che cementa il legame tra le due anime, sostituire la mano dell’uomo con un robot è qualcosa di stupido oltre che superfluo.
Questo esempio mi riporta in mente un articolo letto su Focus.

«L’intelligenza artificiale rappresenta un pericolo per l’umanità paragonabile a quello di pandemie e guerre nucleari: l’allarme di 350 scienziati.

“Mitigare i rischi di estinzione causati dall’intelligenza artificiale dovrebbe essere una priorità globale, così come viene fatto per altri rischi su scala sociale come le pandemie e la guerra nucleare”.

Con questo laconico comunicato firmato da 350 scienziati e ingegneri impiegati nel campo dell’IA e pubblicato dalla no-profit Center for AI Safety, i massimi esperti del settore tornano a parlare dei rischi connessi allo sviluppo sempre più avanzato dell’intelligenza artificiale: non più soltanto deep fake e perdita di posti di lavoro, ma addirittura la scomparsa della nostra specie.
Tra i firmatari della sinistra lettera aperta spiccano i leader delle principali compagnie di IA come Sam Altman, direttore esecutivo di OpenAI, Demis Hassabis, stesso ruolo in Google DeepMind e Dario Amodei, alla guida della startup statunitense di IA Anthropic. Ci sono inoltre Geoffrey Hinton e Yoshua Bengio, vincitori di un Turing Award (l’equivalente del Nobel per gli scienziati informatici) e considerati pionieri dell’intelligenza artificiale per i loro studi fondamentali sulle reti neurali, i modelli per l’elaborazione di informazioni alla base dell’apprendimento nei sistemi di riconoscimento facciale, di guida autonoma, ecc. ecc.»

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Al di là del comunicato dal sapore apocalittico, credo che ne passare acqua sotto i ponti, prima di vedere un Terminator per le strada di Roma o Milano.

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T-1000 tra realtà e fantascienza.

È vero, però, che il rischio di vedere persa la necessità del vivere è reale.

Che cosa significa vivere?

Per me significa: Disegnare ombre e luci su un foglio di carta, dipingere una tela sentendo il colore attaccarsi alle dita, modellare la creta e scorgere un volto tra le sue pieghe, scrivere una poesia da dedicare a lei, creare con le mie mani un oggetto utile per la sua bellezza o il suo uso, che possa finire sul tavolo di uno sconosciuto cliente, nutrire e accudire Frida, cucinare per la mia compagna, guidare la domenica al sorgere del sole per fare la spesa, vedere le mani di un essere umano creare dal nulla ciò che prima era solo pensiero. Ecco!!! Tutto questo, per me, significa vivere.

Oggi, le tele, vengono stampate da computer e vendute a poche decine di euro, i vasi come soldati in uniforme, uguali in ogni dettaglio si mettono sull’attenti sugli scaffali, perfetti e indistinguibili. La torta la compri sì, non più, però, dal pasticcere, ma all’ipermercato, confezionata nel suo involucro da battaglia pronta a resistere tutto il tempo che serve al cliente per decidere che, impastarla, farcirla e cuocerla in casa, non è più conveniente, né necessario.

Questa è la società di oggi, una società contraddittoria, che crea poveri da un lato e aumenta i prezzi e i consumi dall’altro, che lascia ogni giorno sul campo di battaglia tanti lavoratori senza più sostentamento da una parte, e investe sull’A.I. e sull’automazione dall’altra.
Senza, poi, citare la più grande beffa ideologia che l’uomo ha mai concepito: Inneggiare alla pace da un lato e rifornire di armi i campi di guerra dall’altro.

Ci deve essere, però, del buono in mezzo a tutto questo caos?
Del buono e bello che non sia solo la sempre citata poesia o la melodia che abbraccia e scalda anima e cuore.

È così diseguale la mia vita
da quello che vorrei sapere.
Eppure al di là di ogni immondizia
e sutura, c’è la grande speranza
che il tempo redima i folli
e l’amore spazzi via ogni cosa
e lasci inaspettatamente viva
una rima baciata.
Alda Merini

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Alda Merini – 21 marzo 1931, Milano – 1 novembre 2009, Milano.

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Sospiri

“In tre tempi si divide la vita: nel presente, passato e futuro. Di questi, il presente è brevissimo; il futuro, dubbioso: il passato, certo.”
Lucio Anneo Seneca

Guardando i post precedenti, mi sono ritrovato a scorrere le pagine a ritroso fino al primo post.
4 parole contro le 943 dell’ultimo.

TUTTO INIZIA DAGLI OCCHI

Questo il primo pensiero condiviso. Da questo mi è nata una lugubre considerazione. Se tutto inizia (a mio parere) dagli occhi, tutto, dove o come finisce?
Mi verrebbe da scrivere da un sospiro.

“Ero a Venezia sul Ponte dei Sospiri; un palazzo da un lato, dall’altro una prigione; vidi il suo profilo emergere dall’acqua come al tocco della bacchetta di un mago”
Lord George Gordon Byron

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Considerato oggi il ponte dell’amore o il ponte degli innamorati, la leggenda vuole che scambiandosi un bacio sotto il suo arco su una gondola nel momento preciso in cui il Campanile di San Marco fa sentire le sue campane, si assicura il proprio amore all’eternità!

Il Ponte dei Sospiri è uno dei luoghi più romantici di Venezia. A dispetto del nome i sospiri a cui fa riferimento non sono, però, i sospiri degli innamorati.

Ai tempi della serenissima il ponte dei sospiri veniva attraversato dai condannati o dai detenuti in attesa di giudizio. Trascinati a volte in catena dagli uffici dei tribunali di Palazzo Ducale alle Prigioni o viceversa, i sospiri erano, in realtà, i lamenti per le dure condanne che questi dannati ricevevano dalla giustizia del Doge.

Perché vi sto raccontando tutto questo?

Non certo per descrivervi la bellezza architettonica, che di certo vale, del meraviglioso ponte veneziano.

Ci sono luoghi che sono unici per bellezza e storia e poi ci sono luoghi che entrano nell’anima perché raccontano solo noi.

C’è un posto nel mondo dove il cuore batte forte, dove rimani senza fiato per quanta emozione provi; dove il tempo si ferma e non hai più l’età.
Quel posto è tra le tue braccia in cui non invecchia il cuore, mentre la mente non smette mai di sognare.
Alda Merini

Ricordo, quasi tutti, i luoghi del mio amore. Ricordo il luogo dove le ho dato il primo bacio, il luogo dove lei, finalmente, dopo tanti no, ha risposto sì, ricordo il primo luogo dove la macchina nel buio ha sostato. Difficile, è, ricordare il momento in cui, l’amo, è sbocciato, la consapevolezza di quel momento, se devo usare le parole di Seneca, è una certezza che unisce i tempi dell’anima.

Accorgersi di esser innamorati, è accorgersi di non esser più soli.

Ogni tanto ho bisogno di ricordare che la vita è anche poesia.

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Odiosamente amorevole

“La miglior vendetta? La felicità. Non c’è niente che faccia più impazzire la gente che vederti felice.”
Alda Merini

Commentando il post di un’amica che parlava di come a volte la cronaca ci racconti le cruenta gesta di insospettabili uomini e donne, ho scritto di vendetta.
La vita, ho scritto, ci da spunto per riflettere, la vita ci da la possibilità di creare le nostre occasioni, opportunità, non solo buone, positive, ma anche cattive, negative.
Alla fine, è un pensiero come un altro.
Un tizio si alza la mattina, va a lavoro, passa le sue ore tranquillamente e forse noiosamente e senza che sia stato premeditato si trova, improvvisamente, a discutere con un collega, ed ecco che un sentimento di disagio si insinua nel suo cuore e nel tempo, piano piano, rancore e odio si fanno strada.
L’idea di vendicarsi si fa viva nella sua mente, nelle migliori delle ipotesi, dispetti, piccoli e magari innocui dispetti, l’indifferenza sarebbe la migliore speranza, invece si creano i presupposto per far male, perché fare male a chi odiamo, fa bene a noi.

Non sono ipocrita, ho raccontato la mia vita senza mai cercare di passare per buono, sono umano, un umano problematico e come tale ho un lato oscuro. Ci sono state persone che ho odiato profondamente, da bambino il controllo sull’emozioni non è semplice e non ho avuto a volte il cuore che un essere umano illuminato deve avere.
Una volta durante il servizio militare, un periodo fortemente stressante, mi sono ritrovano con un pezzo di vetro in mano pronto ad usarlo contro un altro commilitone. Ero un ragazzo silenzioso, solitario, facile preda di chi spavaldamente vuole affermare il dominio e il potere. Il branco, è legge di natura, sceglie sempre il più debole. Ed io sono sempre stato all’apparenza il più debole. Quella volta fui pronto, o meglio ero pronto ad usare il pezzo di vetro se il tizio non si fosse fermato. La mente nel panico cerca vie d’uscite e se non ne trova, se la parola non esce, se non si è capaci di difendersi minacciando con la voce, la mente sceglie altre strade, strade che non lasciano spazio al compromesso. Sono sempre siciliano, le minacce all’arma bianca le ho viste fin da piccolo. Stereotipo? Sì, c’è sempre un fondo di verità negli archetipi. Mio nonno pace all’anima sua, girare con un coltello a serra manico, come tutta la sua generazione. Ho dovuto scrutare profondamente in me, per liberarmi da quel tipo di paura, aprire la mente, leggere, seguire i giusti esempi, ascoltare e scegliere le giuste filosofie, non violenza, amore per il prossimo.
Credetemi non è facile seguire quelle parole, sostenere quegli esempi, e non sempre si vuole essere un esempio.

L’amica scrive alla fine:
“Forse se fossimo più attenti e disposti ad ascoltare, certi tristi accadimenti si potrebbero evitare.”
Attenzione, ascolto. Mi chiedo però, ci frega davvero? C’interessa davvero quel che succede al nostro vicino?
A volte leggo o ascolto episodi di cronaca e mi dico, fosse capitato a me sarebbe stato diverso, fosse stata mia sorella, mio figlio, avrei fatto carte false per non arrivare a quella situazione.
Una donna che viene molestata, o un bambino bullizzato, una madre, un padre, un fratello, una sorella ce l’ha. Posso mai immaginare, pensare, che non vedano, non sentano?
O davvero alla fine non frega nulla di nessuno, quando c’è da scegliere tra la nostra vita e la vita degli altri, si sceglie, davvero, di voltare le spalle?

Un altra amica nella sua bacheca ha scritto all’inizio del suo bellissimo pensiero questa frase:
“Io amo, ed è sentimento gratuito.”

Ecco che l’amore viene a darci la speranza a fasciarci il cuore e la mente. Nel suo verso l’amica dona una parola: gratuito.
Un amore gratuito è, un amore che non chiede nulla in cambio, non vuole nulla, solo dare, e dare, ed è questo l’amore che può fare la differenza, dare speranza. Nella retorica di una speranza vive la verità.

“Io non pretendo di sapere cosa sia l’amore per tutti, ma posso dirvi che cosa è per me: l’amore è sapere tutto su qualcuno, e avere la voglia di essere ancora con lui più che con ogni altra persona. L’amore è la fiducia di dirgli tutto su voi stessi, compreso le cose che ci potrebbero far vergognare. L’amore è sentirsi a proprio agio e al sicuro con qualcuno, ma ancor di più è sentirti cedere le gambe quando quel qualcuno entra in una stanza e ti sorride.”
Albert Einstein

Einstein da voce al suo cuore e dona la sua verità, che è anche nostra, in fin dei conti l’amore è questo, lo descrivereste in altri modi? Direi di no. Ma come possiamo far sì che questo amore esista nel nostro cuore, anche quando siamo nelle situazioni che ho sopra descritto?

Come possiamo far esistere l’amore, là, dove è fertile l’odio, la vendetta, la paura?

Se poteste dare voce all’odio, cosa gli chiedereste?

Io: Odio come posso fermarti?

Odio: Non puoi fermarmi, puoi, però, cambiarmi. Sai, oggi, mi chiami odio, ieri, mi chiamavi amore. Basta crederci, basta sentire nel cuore il desiderio di fare bene.

E parola dopo parola, mi perdo.

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Vorrei ringraziare per gli spunti di riflessione, le amiche: bluicee e Surfinia60.
Ringraziarle e pregarle di scusarmi per non aver chiesto per l’uso nella mia bacheca dei loro pensieri.

Ne approfitto per ringraziare anche, è doveroso, per il tempo che mi dedicano: elyrav, OggiGiornoRingrazio, prefazione09, stelladelsud16.

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Notte insonne

Sono le 2:00! Ed è una notte insonne.
Non la prima in questo periodo e sempre più spesso presente certe notti (per citare il buon Liga).

La prima a scrivere e non dovrei.
Psicoanalizzare anche la notte, forse, è troppo.

Tanto sono solo, qual è il problema? La mia compagna dorme, in strada c’è silenzio e l’unico sottofondo udibile sono le onde del mare.

Le ho vicine molto vicine. Se esco dalla finestra le posso pure vedere all’orizzonte:

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Il mio mare, la mia notte.

In verità, se devo esser sincero, non ho mai sofferto di insonnia, una conquista recente.
Anzi, negli ultimi anni, ho sofferto del contrario, una perenne sonnolenza quotidiana, che mi ha portato nel tempo a non permettermi il riposo. Durante il giorno devo sempre avere qualcosa da fare.

Ora sì, che posso definirmi in conflitto. 🙂

Da quel che leggo in giro, l’ansia, lo stress e la depressione portano all’insonnia a causa di tensioni emotive, preoccupazioni relazionali, problemi economici o di lavoro.

C’è ansia? Sì, direi si sì.
C’è stress? E chi non ne ha.
C’è depressione? No! Per fortuna, ancora, no. 🙂
Tensioni emotive?
Preoccupazioni?
Problemi economici o di lavoro? E chi non ne ha, molti credo, come ora, ringrazierebbero per i problemi di lavoro, non avendolo.

Mi è anche arrivato un messaggio, era tanto che non arrivavano, iniziavo a preoccuparmi, sai con la mobilitazione russa, uno può anche pensare che abbiano difficoltà a collegarsi o peggio.

“Ciao! mi chiami e Katy e ho deciso di scrivere una lettera.
Il tuo profilo sembra emozionante.
Non ho esperienza nel dating online, cosi mi sono preoccupato.
Voglio dire breve: ho 32 anni e risiedere in Russia.
La mia altezza non e alto, solo 164 centimetri.
Il mio corpo fragile e pesa solo 52 kg.
Io per 32 anni e ancora non si innamoro nella mia vita.
Ho deciso di fare studio e search un uomo da Italia.
Se obiettivo della ricerca su internet,
e – per creare un stabili relazioni, vi chiedo di scrivere a me e dire su di te.
E saro piacevolmente di vedere le vostre foto.
Saro grato, se osservare la vostra il messaggio!”

Nonostante la guerra, la vita continua.

In chat ci sono 52 persone al momento, non sono il solo davanti al PC.
Non voglio iniziare una riflessione sulla solitudine, rischio la depressione davvero 😀
Scherzo.
Ma me lo chiedo, quanto ci si può sentire soli, se la notte si cerca un riparo al silenzio?
Io il silenzio l’ho sempre vissuto, subito e cercato, nonostante la mia apparente eloquenza scritta.
Oggi potrei anche permettermi di dire che ho bisogno del silenzio, ho bisogno delle notte.

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.
Alda Merini

Io non sono un poeta, né un sognatore, sono un figlio della follia.
Un albero spoglio che ha consumato le foglie.
Che le raccoglie da terra e le conserva nelle tasche, per farne carta da piegare, modellare, per far volare in cielo quell’aereo di carta e immaginare che sia reale e non fantasia.

Sono le 3:10.
Ancora scrivo, ancora le onde si odono in sottofondo.
Potrei tornare a letto e aspettare la prima luce accanto alla mia amata.