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Presa in giro

Vivo nel mio paesino, oramai, da otto anni. Per carattere non sono abituato a dare confidenza.

In questi anni, non ho instaurato rapporti d’amicizia con nessuno, neanche con i vicini. Solo il consueto buon giorno e buona sera.  Nell’ultimo anno, uscendo con Frida mi è capitato di scambiare qualche parola con gli altri proprietari di cani. Nulla di complesso o articolato, qualche parola giusto sui nostri amici a quattro zampe.

Quando passeggio, se qualcuno si avvicina, è per Frida.

 

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In queste settimane si sono avvinati un paio di tizi, vicini, abitano nella mia stessa via.

Negli otto anni trascorsi, non si erano mai avvicinati, né scambiato una sola parola. Ora! Tutto d’un tratto si mostrano affabili, simpatici e amichevoli.

C’è, però, un motivo?

Chiedermi se voto per qualcuno. Questi tizi si sono candidati al consiglio comunale.

Ci sta che si facciano pubblicità, vale per tutti, ma quant’è ipocrita.

Sarò io strano, ma avverto anche una sensazione di viscido, in questi comportamenti.

 

Opportunismo sfacciato.

E come sono bravi ad auto elogiarsi, a vendere un buonismo atto a migliorare il mio vivere nella nostra cittadina.

 

Sapete quale altra sensazione mi lasciano ogni volta che mi capita di parlarci? Perché poi si reiterano, vogliono sapere, ci tengono a sapere, se li voto. Di presa in giro.

 

In questi anni, tra una poesia e uno spruzzo di colore, ho scritto, di disagio, di solitudine e malinconia. Descritto più o meno velatamente, la mia anima.

Aggiungo all’elenco, anche, questa.

 

La presa in giro.

 

Lo so che quel che scrivo, a volte, non è il massimo dell’allegria, ma la vita è questa, un susseguirsi di lacrime e risate.

 

Fra tutti, è proprio la vita a prenderci più in giro, a volte subdolamente, con quelle coincidenze, che lasciano perplessi e disorientati.

Come quel treno che aspetti, aspetti e aspetti. Quando poi sei stanco di aspettare e ti alzi per andare altrove, nella speranza di un altro treno, lui arriva e te lo vedi passare davanti agli occhi. Non ti resta poi che dirti, speranzoso, ci sarà un’altra occasione. E continui ad aspettare, creando ponti e torri con i sassi che hai attorno.

 

“Ciò che non abbiamo osato, abbiamo certamente perduto,” diceva Oscar Wilde. A volte leggo le vite di questi scrittori e mi accorgo di come, hanno bruciato la loro vita, velocemente, saziandosi di piaceri e tormenti.

Wilde morto a 46 anni dopo una vita in esilio, è stato, forse, il più fortunato, Byron morto a 36 anni, Keats morto a Roma a 25 anni di tubercolosi e Shelley morto annegato nel mare di Viareggio a soli 30 anni.

 

Le loro premature morti sono state ripagate con l’immortalità delle loro opere. Può essere un giusto scambio, questa dantesca fatalità?

Quante volte ci diciamo la vita è preziosa e va rispettata e vissuta con dignità.

Ci arrabattiamo tutta la vita per, raggiungere un obiettivo, dare un senso alla nostra vita, per poi renderci conto che quel che ci resta alla fine è solo la presa in giro.

 

Perché c’è da fare i conti anche con il tempo che passa. Io la sensazione di stare perdendo tempo dietro a qualcosa di inutile, a volte, ce l’ho, e se non è una presa in giro questa.

 

Sarà vero il proverbio:

 

Meglio murí sazzio ca campà diúno

(Meglio morire sazioche vivere digiuno)

La sento dire, la leggo spesso e io stesso la scrivo e dico spesso.

La speranza è l’ultima a morire.

Spero non diventi una presa in giro anche questa.

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“Cara” vita

Ieri sera, insieme alla mia compagna, sono uscito per una passeggiata. Abbiamo gironzolato senza badare al tempo, finché guardando l’ora sul cellulare non ci siamo accorti che si erano fatte le 20:30. Vista l’ora abbiamo deciso, quindi, di cenare in uno dei tanti locali del centro paese.

Alla fine della cena abbiamo subito, e sì! Subito, una sorpresa.
Una sorpresa da 68 euro.

68 euro, per due secondi, una bottiglia (in plastica) d’acqua, una birra e gli immancabile coperti.

Non è un pò troppo?

Lo sento, spesso, dire in tv o lo leggo nei quotidiani, il tanto nominato: “caro vita”.
Che non è un modo dolce o affettuoso per elogiare la propria vita, ma un modo pretenzioso per declinare gli aumenti e i rincari (che poi sono la stessa cosa).

Mi chiedo? Dove finisce l’urgenza economica – LA CRISI –  e inizia la speculazione fraudolenta?

A forza di esser presi per il culo, alla fine ci si abitua a questa dolorosa azione sociale.

“È un errore frequente misurare le cose in base al denaro che costano.”
Albert Einstein

Ci sta, sempre, la citazione per rafforzare un valore e di valore si parla, il valore delle cose, per citarne un’altra:

“Qualunque sia il prezzo, si compra bene solo ciò che è necessario.”
Cicerone

La cena, al ristorante o in trattoria, non è certo qualcosa di necessario, se ne può fare benissimo a meno (per chi sa cucinare ovviamente), come si può fare a meno di tante velleità che sono spesso inutili e nocive per la nostra stessa vita. Una perdita di tempo, in molti casi, e di tempo non ce n’è mai abbastanza.
A volte persino le azioni necessarie vengono eclissate da una logica di benessere che è: superflua.
Esempio: Giorni fa ho comprato una ciotola per Frida, una ciotola per l’acqua con dispensatore da 3 litri, tra gli articoli in vendita c’era anche un dispensatore di cibo automatico. Un robot da 300 euro che erogava in autonomia al nostro cucciolo la quantità di cibo necessaria nei tempi programmati, calcolando in base all’età e al peso, dosi e qualità del cibo. Nutrire il cucciolo è una necessità che cementa il legame tra le due anime, sostituire la mano dell’uomo con un robot è qualcosa di stupido oltre che superfluo.
Questo esempio mi riporta in mente un articolo letto su Focus.

«L’intelligenza artificiale rappresenta un pericolo per l’umanità paragonabile a quello di pandemie e guerre nucleari: l’allarme di 350 scienziati.

“Mitigare i rischi di estinzione causati dall’intelligenza artificiale dovrebbe essere una priorità globale, così come viene fatto per altri rischi su scala sociale come le pandemie e la guerra nucleare”.

Con questo laconico comunicato firmato da 350 scienziati e ingegneri impiegati nel campo dell’IA e pubblicato dalla no-profit Center for AI Safety, i massimi esperti del settore tornano a parlare dei rischi connessi allo sviluppo sempre più avanzato dell’intelligenza artificiale: non più soltanto deep fake e perdita di posti di lavoro, ma addirittura la scomparsa della nostra specie.
Tra i firmatari della sinistra lettera aperta spiccano i leader delle principali compagnie di IA come Sam Altman, direttore esecutivo di OpenAI, Demis Hassabis, stesso ruolo in Google DeepMind e Dario Amodei, alla guida della startup statunitense di IA Anthropic. Ci sono inoltre Geoffrey Hinton e Yoshua Bengio, vincitori di un Turing Award (l’equivalente del Nobel per gli scienziati informatici) e considerati pionieri dell’intelligenza artificiale per i loro studi fondamentali sulle reti neurali, i modelli per l’elaborazione di informazioni alla base dell’apprendimento nei sistemi di riconoscimento facciale, di guida autonoma, ecc. ecc.»

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Al di là del comunicato dal sapore apocalittico, credo che ne passare acqua sotto i ponti, prima di vedere un Terminator per le strada di Roma o Milano.

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T-1000 tra realtà e fantascienza.

È vero, però, che il rischio di vedere persa la necessità del vivere è reale.

Che cosa significa vivere?

Per me significa: Disegnare ombre e luci su un foglio di carta, dipingere una tela sentendo il colore attaccarsi alle dita, modellare la creta e scorgere un volto tra le sue pieghe, scrivere una poesia da dedicare a lei, creare con le mie mani un oggetto utile per la sua bellezza o il suo uso, che possa finire sul tavolo di uno sconosciuto cliente, nutrire e accudire Frida, cucinare per la mia compagna, guidare la domenica al sorgere del sole per fare la spesa, vedere le mani di un essere umano creare dal nulla ciò che prima era solo pensiero. Ecco!!! Tutto questo, per me, significa vivere.

Oggi, le tele, vengono stampate da computer e vendute a poche decine di euro, i vasi come soldati in uniforme, uguali in ogni dettaglio si mettono sull’attenti sugli scaffali, perfetti e indistinguibili. La torta la compri sì, non più, però, dal pasticcere, ma all’ipermercato, confezionata nel suo involucro da battaglia pronta a resistere tutto il tempo che serve al cliente per decidere che, impastarla, farcirla e cuocerla in casa, non è più conveniente, né necessario.

Questa è la società di oggi, una società contraddittoria, che crea poveri da un lato e aumenta i prezzi e i consumi dall’altro, che lascia ogni giorno sul campo di battaglia tanti lavoratori senza più sostentamento da una parte, e investe sull’A.I. e sull’automazione dall’altra.
Senza, poi, citare la più grande beffa ideologia che l’uomo ha mai concepito: Inneggiare alla pace da un lato e rifornire di armi i campi di guerra dall’altro.

Ci deve essere, però, del buono in mezzo a tutto questo caos?
Del buono e bello che non sia solo la sempre citata poesia o la melodia che abbraccia e scalda anima e cuore.

È così diseguale la mia vita
da quello che vorrei sapere.
Eppure al di là di ogni immondizia
e sutura, c’è la grande speranza
che il tempo redima i folli
e l’amore spazzi via ogni cosa
e lasci inaspettatamente viva
una rima baciata.
Alda Merini

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Alda Merini – 21 marzo 1931, Milano – 1 novembre 2009, Milano.

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Attese

Oggi nel rispondere ai commenti ho scritto:
[…] sta qui la saggezza riuscire ad aver pazienza e costruire piano piano il confronto, a volte rimandare non significa non dire, ma solo aspettare il momento giusto per confrontarsi e raccontare la propria verità.
[…]

Aspettare il momento giusto!

“Fino al giorno in cui Dio si degnerà di svelare all’uomo l’avvenire, tutta la saggezza umana consisterà in queste due parole: attendere e sperare!”
Alexandre Dumas  

Quando c’è da esprimere un concetto o un pensiero niente è meglio di un aforisma.
Attendere e sperare!

Attendere il momento più opportuno sperando che le conseguenza non siano mai funeste. Questa è l’essenza della convivenza o per lo meno una parte essenziale. Nella coppia si presume ci sia l’amore a legare i due cuori e l’amore è un potere che accentua, amplifica, la pazienza e la comprensione, si perdona più facilmente chi si ama.

Credo sia vero che, se mi offende la mia compagna, posso sorvolare e pure riderci sopra, per amore si può accettare (forse sbagliando) ma se mi offende uno sconosciuto o chi non amo e magari non tanto sopporto, si arriva a prendere in considerazione l’idea che un vaffanculo è dovuto e necessario e pure qualcosa in più, violentemente in più.

La saggezza è, quindi, nel saper aspettare il proprio momento.
Arriva? Non arriva? Qui, poi bisogna solo sperare.
Non lo trovo brutto sperare, per molti può sembrare una perdita di tempo. La speranza ti può tenere in vita quando tutto attorno perde valore.

Che dire? Mai avuto problemi con l’attesa, mi ha regalato, sempre, silenzi ricchi d’ispirazione.

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Lumi nel buio

Banalmente, oggi, scrivo del tempo.
Da pochi giorni è giunto il freddo, sembrava non dovesse arrivare mai l’inverno, invece è arrivato.
Portando con sé: Pioggia, vento e neve.

Mi giro verso la finestra e il cielo è grigio, le nuvole si rincorrono e nel loro moto diventano pittori. Grigio che sfuma su grigio, celeste che timidamente si posa su un verde, oramai, invecchiato. Il pavimento del balcone è lucido e le sagome dell’aloe e del geranio si specchiano come vanitose regine di bellezza. L’acqua ancora sosta, dopo la pioggia.

Tutto è, malinconico.
Ma non triste, potrebbe esserlo, ci sono i motivi per esserlo.
Il ciclo delle stagioni scandisce il cambiamento e finché esiste immutabile e inarrestabile questo cambiamento, c’è speranza.

Mi vengono in mente le parole di un’amica virtuale, che lamentandosi di scrivere sempre di sventure (la parola è esagerata ma suona bene 🙂 in un mondo cattivo è facile monopolizzare e incupire i contenuti di un spazio letterario) urla: Sti cazzi!!! Dove è scritto che devo scrivere per rallegrare gli altri? Hai ragione.
Quante volte ho condiviso malinconie e paure? 🙂 Cari amici!
Se non tormento voi!!! Chi devo tormentare? 😀

Ho scritto molto di me dei miei problemi e tormenti, ricevendo sempre gentilezza e comprensione, di questo ho sempre ringraziato e sempre ringrazierò.
Potrei pensare che il gruppo di utenti che mi scrive, a cui io poi scrivo, sia palesemente formato da individui con grandi problemi interiori. Vi prego non vi offendete 🙂
Sapete quale altro sinonimo usare per definire questi problemi?
Sensibilità.
Credo che, se non si sia toccato con mano il dolore e la sofferenza non si possa strappare all’oscurità la sensibilità e farne una torcia d’accompagnare alla speranza.
Il dono lasciato dal dolore è, può essere, se si riesce a leggere il male per quel che è: la sensibilità.
E dove un occhio guarda con sensibilità, un fiore può sbocciare, una speranza può nascere.

Volendo poteva accadere che un gruppo di persona sedute ad un ristorante si alzasse e unite accerchiassero una donna in difficoltà, quel muro di sensibilità poteva aver la forza di fermare il destino scritto da un uomo (un vile), che ha visto come unica strada la morte di quella donna. Peccato non sia accaduto.

Il ciclo delle cose, passa, è inevitabile, attraverso la morte.
Finche, però, alcuni sceglieranno la dipartita di altri individui, finché ci sarà un vigliacco, pronto a decidere quando un altro essere umano deve morire, la speranza pronunciata dalla bocca di qualunque uomo o donna ha il sapore del sangue.

 

candela

Ho iniziato con il tempo e ho finito con il sangue. Sarò strano?
Le belle parole ci stanno, son belle d’ascoltare, però i bei fatti sarebbero meglio.

Buona domenica a tutti.