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Folle essere umano

Apro Libero per entrare nel mio profilo e poi nel blog, e la prima notizia che mi si presenta davanti è:

“Padre getta i figli dalla finestra del quinto piano e poi si suicida.”

Misero essere umano, meschino essere umano, vigliacco essere umano.

Folle uomo, colpevole uomo.

La realtà sfida la letteratura e il cinema. (La realtà) potrebbe pure vincere, e sedersi sul trono della tragedia.

Chissà Shakespeare quali pensieri maturerebbe se fosse vivo oggi? Le sue tragedie sono povere d’orrore.

Ecco cosa anima, oggi, la società: l’orrore.

Fateci caso.

 

Le parole non hanno il potere di impressionare la mente senza lo squisito orrore della loro realtà.

Edgar Allan Poe

 

Per quanto cerchi l’ottimismo e la bellezza, la cronaca e i ridicoli e faziosi cantastorie contemporanei, cospargono la moderna corrispondenza, di morte e violenza.

Se si è costretti al cinismo, allora mi sorge spontanea l’offensiva e impudente domanda:

(scusate il francesismo)

Ma che cazzo me ne fotte se uno si butta dalla finestra. Non ci tenevo a saperlo PRIMA e non ci tengo a saperlo, neanche, ORA.

“Non me ne frega un cazzo.”

Il disgusto per l’essere umano è diventato così profondo che la mia anima si è ammalata di indifferenza.

La cosa tragica o comica è!!!???

Che ha una vita che cerco di curarmi. Ho donato, persino il mio talento, all’essere umano affinché la bellezza e l’arte potesse essere un legame sociale di condivisione e benessere.

Mi dicono e mi dico, guarda ai buoni, guarda agli onesti, guarda a chi ha amore nel cuore.

E dove sono? O meglio?

Dove sono quando serve?

Forse esagero.

Ma non posso non pensare che stiamo perdendo, piano piano, qualcosa.

Sì! Credo d’aver esagerato.

Come rimediare?

Come lasciare il sorriso ed evitare l’amarezza della disillusione.

Che ci crediate a no, non era mia intenzione scrivere con questi toni e certo avrei preferito altri contenuti. Era inevitabile, però, puntualizzare la banale verità.

Qual è verità?

Che voglio la bellezza. Voglio che mi si racconti la gentilezza, che si possa leggere l’umanità nella sua innocenza. Voglio saper dell’esistenza di uomini e donne che hanno nel petto ancora un cuore e in testa un cervello.

Voglio la – par condicio – nella cronaca moderna. Sia equa la canzone, sia equo il cantastorie.

Tragedia e amore.

Equità

 

In quanti modi ti amo? Fammeli contare.

Ti amo fino alla profondità, alla larghezza e all’altezza

Che la mia anima può raggiungere, quando partecipa invisibile

Agli scopi dell’Esistenza e della Grazia ideale.

Ti amo al pari della più modesta necessità

Di ogni giorno, al sole e al lume di candela.

Ti amo generosamente, come chi si batte per la Giustizia;

Ti amo con purezza, come chi si volge dalla Preghiera.

Ti amo con la passione che gettavo

Nei miei trascorsi dolori, e con la fiducia della mia infanzia.

Ti amo di un amore che credevo perduto

Insieme ai miei perduti santi, – ti amo col respiro,

I sorrisi, le lacrime, di tutta la mia vita! – e, se Dio vorrà,

Ti amerò ancora di più dopo la morte.

Elizabeth Barrett Browning

 

 

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Respira

Ieri mi è giunta la triste notizie che un mio cugino è morto per un infarto fulminante.

La morte in sé non mi suscita pensieri particolari. Periodicamente mi giungono notizie simili, zii e zie che purtroppo lasciano questa terra, ad una certa età è inevitabile.

Questa volta il trapassato non era così avanti con l’età, qualche anno in più di me.

Non so – mio cugino – che vita ha vissuto in questi ultimi decenni, non lo vedevo da lustri, ma certo è stata, forse, breve – la sua esistenza.

Quando si riflette sulla morte, è altrettanto inevitabile, scivolare in una certa retorica e morale.

Una cosa è certa!? Al morto, nulla più interessa e forse è in pace.

Noi che restiamo ci avvolgiamo d’un sudario malinconico, fatto di pensieri acuminati e afflizioni che solo il tempo, piano piano, sopisce.

Adesso, si possono prendere, solo, due strade.

Riflettere sul dolore lasciato dalla morte. Inevitabile. I vivi soffrano, i vivi ricordano, i vivi rimuginano.

O

Riflettere sulla morte che deve arrivare, anche questo è inevitabile, un trapasso ci porta a pensare alla nostra mortalità.

Chissà se esiste una terza opzione?

Magari è, semplicemente, cambiare discorso.

 

“La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo.”

Virginia Woolf

 

I sogni sono, di solito, belli.

La vita non è, mai sempre e solo, un sogno, ogni tanto spunta qualche incubo.

Invidio gli ottimisti.

Alcuni brani per passare il tempo è perdersi nel silenzio dei pensieri.

 

 

 

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C’era una volta – Evoluzione

Rientrando ho riletto quel che è stato scritto.

Mi soffermo ancora una volta, non l’ultima, inevitabile quando si scrive di sé.

Ho sempre cercato di combattere i miei atteggiamenti.

Ad un certo punto, però, mando al diavolo tutto e tutti, con gentilezza certo e garbo.

 

La mia compagna dopo un decennio, alla fine, ha percepito che le mie promesse di cambiare, non sono poi così, vere.

Non che io mente quando le pronuncio, a volte è semplicemente più semplice – appunto – acconsentire e chiudere il discorso.

Pur di non litigare, non discutere e reiterare un discorso all’infinito, meglio un bel d’accordo che porti pace e serenità. Anche se alla fine sai che è solo un contentino.

 

Alla fine, quando, dopo anni e anni, vedi che stai sempre allo stesso punto, che per quanti passi avanti fai, altrettanto ne fai indietro, allora, ti rendi conto, che forse è così che deve essere.

 

Questo sono.

Entro ed esco, dal buio. Entro ed esco, dalla luce.

 

“Che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele, e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci, non ci siamo intesi affatto.”

Luigi Pirandello

 

Parole e fatti. Non sono e non saranno mai affini.

Sono due, sono tre, sono infinite immagini di me.

 

A parole sono uno.

Con i fatti sono due.

 

Così come in amore sono uno.

In arte sono due.

 

Conclude con un pensiero del buon Proust:

 

“Non siamo mai completamente formati ma sempre soggetti a una lenta evoluzione coscienziale.”

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Burrasca

Eccomi di nuovo, pochi giorni sono passati dall’ultimo post.

Un post, forse, inusuale come una cara amica ha notato. Inusuale più che altro per il contesto che si viveva quel giorno – San Valentino – una coincidenza in verità.

Non racconterò altro, se avessi voluto avrei liberato i commenti, non c’è in realtà nulla da dire, un accumulo di fattori, può capitare di dover liberare ciò che reprimi da giorni, addirittura mesi. A pagarne lo costo è stata la mia arte, sempre stato così, mi premuro d’esser sempre solo quando esplodo, non è mai stata mia intenzione far male a nessuno, se non a me stesso.

 

Come continuare, ora, posso restare nel contesto e mantenere la linea degli ultimi post.

Una pessimistica e disillusa visione di questa società, tanto per regalarvi un sorriso.

 

Ieri pomeriggio mentre uscivo Frida per la sua passeggiata quotidiana, mi sono ritrovato ad assistere ad un’altra scena d’ordinaria inciviltà.

Camminavo Tranquillo, quando imboccando una via vedo un’auto dei vigili urbani ferma a lato della strada e una vigilessa che gira attorno ad un’auto posteggiata praticamente in mezzo alla strada.

Le auto in transito riuscivano a passare, lo spazio era abbastanza per una macchina, non per qualcosa di più grande, tipo un autobus.

E di fatti un autobus era fermo, bloccato, incapace di passare. Attorno si era formata una piccola folla, vedevo la vigilessa chiedere se qualcuno conoscesse il proprietario dell’auto, persino a chi s’affacciava dal balcone richiamato di certo dal clacson del bus. Sono rimasto una 15 di minuti a osservare la rabbia dei passeggieri del bus e la rassegnazione della vigilessa costretta a chiamare il carro attrezzi.

Che dire?

Non era neanche questione di posteggio selvaggio, solo e semplice menefreghismo, un fregarsene delle regole sociali e della convivenza.

Uno stronzo che crede di poter fare quel che vuole.

 

Occupandomi di arte ho avuto la fortuna di studiare il bello e scoprire cosa può riuscire a fare una mente e un cuore se sono ispirati. Si rimane senza fiato nel contemplare il virtuosismo che possono generare.

Quando poi è l’amore a ispirare melodie e colori, i loro frutti toccano l’anima.

Ma ho visto anche il brutto. L’arte tramanda quel che l’artista testimonia. Spesso, io stesso, ho creato ispirato da eventi che la società ha vissuto. Per quale motivo sentiamo il bisogno di dare forma, colore e voce alla vita che ci circonda, non lo so?

Posso immaginarlo, intuirlo.

 

Guardando i brandelli di tela, mi sono sentito pervaso da una sensazione di stupore, come se non avessi alcuna risposta alla domanda:

Perché l’ho fatto?

 

Che cosa rimane di noi? Che peso hanno le parole che abbiamo detto?

Da tempo mi sono accorto che tra quel che dico e quel che faccio a volte c’è una distanza immensa.

Quando mente e cuore non sono sullo stesso sentiero, cosa accade all’anima?

 

 

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,

ove trovino pace.

Io son come loro,

in perpetuo volo.

La vita la sfioro

com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.

E come forse anch’essi amo la quiete,

la gran quiete marina,

ma il mio destino è vivere

balenando in burrasca.

Vincenzo Cardarelli

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Quel che ho

“Se desideri vedere le valli, sali sulla cima della montagna. Se vuoi vedere la cima della montagna, sollevati fin sopra la nuvola. Ma se cerchi di capire la nuvola, chiudi gli occhi e pensa.”
Khalil Gibran

Vedere, un verbo che ho vissuto con emozione, contrastante emozione, in questo ultimo periodo.

Ho già scritto di occhi e vista, in un lontano post: Occhi

Dal problema non si guarisce, semplicemente, ci si adatta e si vive prendendo le dovute precauzioni (mediche).

La prospettiva, però, cambia quando ti viene tolto qualcosa che più di tutto è scontato, più di ogni altra cosa è tuo, ti appartiene.

L’emozione e la riflessione che scaturiscono sono diverse.

Ti possono togliere internet, togliere la tv, togliere l’auto, persino il lavoro e con esso il sostentamento. Non hai la stessa reazione. Non è la stessa cosa. Non è come perdere qualcosa di prezioso e unico come la vista o l’udito.
Paradossalmente ti senti, però, più derubato se ti sottraggano il cellulare, l’auto o il lavoro, si arriva, persino, ad impazzire se la donna o l’uomo che hai accanto ti abbandona.

Non so se ha senso il discorso che ho appena scritto?
Sono stato una settimana senza poter vedere, stranamente i pensieri che mi sono affiorati in mente non sono stati quelli che immaginavo.
Mi vedevo, per restare in tema, disperato e affranto ed invece. La paura c’era e c’è, ma non la disperazione.
In questa situazione mi sono accorto di quel che ho, non di quel che mi è stato tolto.

P.S.
Voglio ringraziare chi mi ha mostrano affetto e vicinanza in questo momento particolare, non era scontato o dovuto:
La sempre presente e vitale elyrav, la sempre sorridente e ottimista OgniGiornoRingrazio, la sempre sensibile e materna stelladelsud16 e l’anima che più mi somiglia la struggente surfinia60.

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Fiammelle

Non mi posso definire un grande lettore di narrativa, le mie performance possono arrivare a un libro all’anno, nulla di eccezionale, anzi, un pessimo risultato.
Mi gratifica più dedicarmi alla saggistica, ai manuali specialistici e ai racconti biografici.
Qualche settimana fa ho letto che Benedetta Tobagi ha vinto il Premio Campiello con il libro: La resistenza delle donne.
Un libro che rientra in quelli che di solito leggo. Un libro che racconta la storia attraverso la vita di chi la storia l’ha cambiata, in questo caso: “le parteggiane”.

L’ho comprato, da poco ho iniziato a leggerlo.

Dalla premessa il libro è un elogio alle donne che resistono, a tutte le donne che resistono.

Triste o non triste, è un fatto che resistiamo.

“Non verrò. Fate di me ciò che volete. Non verrò. Su! Su! Mettetevi in azione! Andiamo!”
Tatanka Yotanka (Toro Seduto)

Alcuni resistono per non cessare di esistere altri semplicemente per vivere o sopravvivere alla quotidianità della vita.

Ieri nel profilo ho scritto queste parole:

Sempre più riscopro la bellezza del cuore
e la dolce poetica dell’amore.
Lei.
Una creatura che sceglie la catena,
per mostrarmi e insegnarmi che l’amore è:
un’incondizionato donarsi.
Lei.
È più umana del più santo degli uomini.

Parlavo di Frida.

Bisogna stare attenti al buio che si ha attorno, al lupo che si nutre, perché può esser facile scivolare in un sonno apatico fatto di pensieri e si sa: Il sonno della ragione genera mostri.

Non basta evitare le ombre della vita, a volte impossibili da evitare, attorniarsi di piccole fiammelle è necessario, cercarle indispensabile.

La mia fiammella

 

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Sempre pronta a regalarmi un sorriso.

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Tessere

Ieri ho scritto di memorie e ricordi, anche oggi, voglio ricordare e ricordando fare a pezzi un frammento di vita.

Fare a pezzi! In effetti i ricordi sono frammenti del nostro passato, emblemi di un fare antico che oggi si è perso nel pensiero veloce, nei bit processati da una collettivita sempre in movimento.

Oggi, voglio descrivere la filosofia del ricordo, la filosofia del fare a pezzi.
Sapete dove la filosofia del fare a pezzi prende forma e vita? Nel mosaico.
Ieri, sfogliando un pò di foto, ho ritrovato, le immagine di una gita a Piazza Armerina.

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Villa romana del Casale

Questo piccolo comune è famoso per la presenza sul suo territorio di una villa romana, la Villa romana del Casale e per la presenza di una serie spettacolare di mosaici.

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Mosaici

Non vi sto, qui, a raccontare, la storia del mosaico, anche se mi piacerebbe descrivervi i secreti di questa tecnica meditativa. Il passare a rassegna nella mente le nozioni tecniche, mi riportano alla memoria la scuola ed un fare appassionato.

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Ragazze in bikini

Il mosaico è meditazione, è precisione, è ricerca, quella ricerca interiore che traccia un legame tra luce e buio. Quando si crea un mosaico la storia diventa una raccolta di frammenti che sono luce e buio del nostro passato.
C’è una differenza tra l’oggi e quel che stato, ossi ieri, una differenza fondamentale. Ieri, l’arte, la scienza e la religione erano un’unica cosa. Creare arte era un modo di esprimere la vita nella sua interezza. Fede e conoscenza si intrecciavano con la quotidianità e la creatività era solo un comportamento del tempo.
Oggi, tutto è scisso e i sentieri sono divisi, come frammenti scollegati che non verrano mai uniti.

Questo credo abbia portato e porti le nostre anime a sentirsi frammenti di un’integrità contemplata, ma mai raggiunta.
Dio o scienza? arte o fede? conoscenza o credenza? mente o cuore?
Abbiamo diviso la nostra essenza in parti, l’abbiamo fatta a pezzi, per cosa poi? Per poter prendere posizione, per poter colpevolizzare una parte e assolverne l’altra.
Abbiamo creato divinità con lo scopo di armare un’idea e abbiamo creato tradizioni con lo scopo di accumulare favori e compiacimenti.
La crudeltà più grande è nell’aver trasformato la libertà in un catena fatta di specchi opachi. Siamo diventati l’uno agli occhi dell’altro, uguali, volti indefiniti. Basta, poi vedere, immaginare, creare, una differenza nel riflesso per legittimare una condanna, che diventa trincea e infine guerra interiore.

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Mi chiedo? Nasciamo a pezzi, frutto del distacco materno o ci frantumiamo nel tempo, ricordo dopo ricordo?
Perché se è così, la via d’uscita potrebbe essere (alla fine) ricomporre il mosaico della nostra vita.

Penso a mio padre e una riflessione si accoda alle parole appena scritte. Tra i nuovi mali dell’era moderna (un male in realtà esistente, ma in espansione) vi è la malattia di Alzheimer-Perusini, detta anche morbo di Alzheimer. L’evoluzione biologica ha condannato l’essere umano ha dimenticare.
La mente ridotta in frammenti, totalmente, incapace di unire un pezzo all’altro.
La via d’uscita ad alcuni umani viene negata. Perché?
Esiste una parte di filosofia che tende a metabolizzare gli eventi, il male che subiamo, il male che facciamo, quello che evitiamo o ignoriamo, non si disperde, né svanisce, mai, lo teniamo in noi, resta in noi e lo trasformiamo e come un cancro infetta la nostra energia, la nostra vita.
Ed è lunga, poi, la strada per la purificazione, per non sentire più la colpa e il dolore.

“Un uomo che ha commesso un errore e non lo ha riparato, ha commesso un altro errore.”
Confucio  

La consapevolezza di avere un’anima a pezzi è acquisita da anni, chi ha letto i miei pensieri passati, sa come mi sono definito, sa quale mostro barocco ho scelto.
La cosa che non so? È, se riuscirò, alla fine, a trasformare ogni singolo frammento in una tessera capace di accogliere un’altra tessera e un’altra ancora, chissà?
Per molti potrebbe risultare incomprensibile quello che ho scritto, ma non necessariamente dovete capire.
L’anima è come uno specchio, come tale non riflette, mai, lo stesso riflesso. Che significa? Che se mostro la mia anima ciò che vedrete sarà sempre un riflesso di voi stessi, di ciò che vedete, lo specchio non mostra, mai, quello che c’è oltre. Questo perché (ne sono convinto) la nostra percezione degli altri è sempre e comunque filtrata dalla nostra logica e dalle nostre emozioni.

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Cambiamenti

Ieri la piccola Frida è stata portata all’ASP di competenza per l’impianto del microchip.
È stata brava, buona e affettuosa con tutti, come avrebbe fatto qualunque essere umano (sono ironico). 🙂

Mi viene in mente una famosissima frase detta dal buon Einstein:
“L’uomo ha scoperto la bomba atomica, però nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi…”

Questo pensiero la dice lunga sulla natura dell’essere umano. C’è più misericordia in un animale che in tutti gli uomini di buona volontà.

La mia compagna è felicissima e innamoratissima di Frida, non potrebbe esser altrimenti, l’ha trovata, l’ha scelta e l’ha portata a casa, io sto avendo difficoltà ad accettare il cambiamento, un equilibrato conflitto interiore, mi si è accesso nel cuore, una parte è facile e teneramente affezionata a Frida, una parte sente violata quella solitudine che mi è, sempre, stata amica e necessaria per metabolizzare un mondo, sempre, troppo violento e cinico. La mia compagna, ha la fortuna (a mio parare), poi, di lavorare e di star lontana da casa otto ore durante la giornata, io che al momento non lavoro e se lavoro, come freelance, lavoro da casa, mi ritrovo 24 ore su 24 ore in compagnia della cucciola, un cambiamento radicale che sto accettando, non in piena armonia. La mia compagna ha poi lasciato l’incombenza dell’educazione di Frida a me, per cui passo le ore a dire NO, NO, NO, senza sapere poi realmente se faccio bene o male.
A volte e ho espresso alla mia compagna la sensazione mi sento solo ad affrontare la cura di Frida (ed è passato solo un mese). 🙂
Per la mia compagna Frida è terapeutica, probabilmente è così, avendo diagnosticata (ufficiosamente a dire il vero) la sindrome di asperger, Frida mi dovrebbe aiutare a limare le mie rigidità di pensiero e comportamento. Al momento più che limate vengono forzate e non è indolore.

Se devo descrivere quel che ora sta accadendo userei un’immagine, questa:

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Io e Frida

Ho vissuto nel grigio tutta la vita, usando l’arte come unico mezzo per portare al di fuori di me i colori.
Oggi si è aggiunta Frida.

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Amore

Questi due giorni e i relativi post sono stati alquanto critici e tristi, avervi portato a declinare la stessa tristezza mi è dispiaciuto un pochino.

Oggi, voglio regalare a me e a voi:

Vita e amore.

I prossimi minuti possono essere emotivamente impegnativi e impressionabili.

Per me sono semplicemente e incomparabilmente meravigliosi.

Dalla vita buona giornata. 🙂

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a cosa date importanza?

Scrivo questo pensiero con il cuore freddo, raggelato dal mondo.
Ho spesso affrontato argomenti pesanti e non mi sono mai tirato indietro dal dire quel che pensavo. Questo è il bello della rete, il bello dell’essere anonimi.

La mia compagna spesso mi dice, quasi, sconsolata che non dovremmo più leggere o ascoltare notiziari.
Beata ignoranza. Il male di questa società è anche la culla su cui sguazza l’umanità, una culla senza rumori, senza bagliori, senza accelerazioni, solo un lieve e lento vivere. La fortuna del male è che non viene ricordato.
Ho raccontato in un vecchio post le mie sensazioni, il mio dolore per non esser papà.
Ho letto di un neonato caduto nelle acqua. Una vittima invisibile della migrazione.
Ho letto di una mamma che stremata si è addormenta con in braccio la vita, per poi svegliarsi con in braccio la morte.

Il valore di una vita.

“Ognuno vale quanto le cose a cui da importanza.”
Marco Aurelio

Fatemi capire, a cosa date importanza?
Mondo! Fammi capire a cosa dai importanza?

Me lo chiedo, senza giudicare (ci provo). Una mamma che si imbarca su un gommone pronto ad affondare, messo in mare per affondare si spera dopo l’arrivo dei soccorsi, con in braccio un bambino di due, tre, forse, quattro mesi, a cosa da importanza?

Di certo non alla stessa cosa che da importanza una donna o un uomo italiano.
Incorrerò di certo nel vostro disappunto, ma mi chiedo chi ha il potere di cambiare il destino dei neonati che in braccio a queste madri prendono il mare?

Ho, tempo fa, visto un documentario su una spiaggia. La spiaggia di una sperduta e disabitata isola dell’oceano, se non ricordo male, pacifico. Gli scienziati mostravano i rifiuti portati dall’oceano, rifiuti che come relitti si adagiavano su quel tratto di terra un tempo incontaminato.
Rifiuti proveniente da ogni parte del mondo, prodotti in Europa, in America, in Cina. Sapete, son certo che c’è il coglione che dice: non c’entro nulla, io vivo in Italia – in Francia – in Germania – mica ho sporcato quella spiaggia è così lontana da me.
Anche quelle madri sono lontane da noi e molti le considerano snaturate per il pericolo in cui mettono i loro figli, c’è chi pensa che non spetta a noi salvare quei neonati.

Fatemi capire, a cosa date importanza?
Mondo! Fammi capire a cosa dai importanza?

Forse sbaglio a scrivere di tutto questo. Ho rallentato, quasi smesso di parlare di me per evitare di essere, sempre, troppo cupo, scegliendo di scrivere d’altro, beh scrivo del mondo ed è quasi peggio.
Posso continuare a scrivere solo di amore e poesia? Perché no è un modo sensibile di vivere il blog e l’interazione con gli utenti. Che dite riuscirei a scrivere solo di poesia o amore?

Non pretendo comprensione o ragione, lungi da me pensare d’esser portatore di qualsivoglia verità.
Sono tra gli ultimi e tra gli inascoltati, lo siamo tutti inascoltati in fin dei conti.
Di cosa dovrei scrivere? Cosa dovrei raccontare per esser meno cupo? Per come sono e quel che sento, anche se scrivessi di poesia riuscirei ad esser tormentato. Esempio:
Chiunque mi sta leggendo è stato un giovane ragazzo o una giovane ragazza, e si è trovata o trovato seduto su un banco di scuola e gli è capitato o capitata (è certo) di trovarsi dinanzi ad una poesia del Carducci.

Pianto antico, celebre poesia che il Carducci dedicò al figlio perso a soli tre anni.

Una poesia che non potrà mai esser capita da un ragazzo o una ragazza. Alcuni versi sono teneri:

L’albero a cui tendevi
La pargoletta mano,

Immaginate quella mano piccola e indifesa come quella nera e sporca di un piccolo africano. Altri raggelano il cuore:

Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.

Figlio mio, sei sotto i miei piedi seppellito da una terra nera che non ti da calore e non ti mostrerà più luce, potrò solo inginocchiarmi su questa terra, lei solo potrà ora abbracciarti e avvolgenti. Questo potrebbe aver pensato Carducci trovandosi tre metri sopra suo figlio. Quel neonato dalla pelle nera è invece perso sotto una montagna di acqua, in un freddo sudario.

Se ascolto o leggo di neonati morti in mare o spenti per una regola del tutto illogica, se privata delle attenzione che un neonato deve avere, cosa dovrei pensare secondo voi? Cosa mi dovrebbe suggerire la mente o il cuore? Mi viene spontaneo pensare al papà che non potrò essere mai e al destino che ha permesso a questo mondo di mettere al di sopra della vita di un bambino, dinamiche e desideri, che svaniscono nel momento che egli non c’è più, per me che non è mai esistito quelle dinamice sono insensate.

Si dovrebbe capire a cosa si da importanza.

Non ho idea di cosa sto scrivendo, né so se quel che ho raccontato ha un senso, mi sembra di passare da un input all’altro senza tanta logica.
Mi sembro di stare su una montagna russa, che sale e scende dai binari portandomi a volte tra le stelle, lì dove la luce scalda l’anima, altre a pochi centimetri dal suolo, così vicino da sentire le gambe piegarsi e le ossa tremare.

Arriva primo o poi l’istante in cui si pensa: È il momento che il mondo sappia come mi sento?
Il mondo che amiamo, che ci sta vicino e ascolta, il mondo che ha un nome e un volto. Ma c’è sempre qualcosa che impedisce di mettere a nudo realmente quel che sentiamo.
Io non riuscirei, lo so, mai a parlare così a chi mi sta accanto, anche perché non ho questa loquacità verbale, ma in queste settimane ho fatto leggere quel che ho scritto in questo blog alla mia compagna (le cose più importanti) ed è stato bello vedere il suo viso sorridere o commuoversi nel leggere i miei pensieri.
La comprensione è la fonte di ogni conoscenza, senza si è invisibile, si è ciechi e sordi, si è morti nell’anima.
L’intelligenza è nel saper trovare la strada, quell’unica strada che ci porta ad incontrarci e – la parola che potrebbe sembrare logico far seguire è capirci, ma in realtà la parola giusta é, mostrarsi.
Se ci mostrassimo per quel che siamo, molti problemi avrebbero la possibilità di una cura.

Perché sì, questo mondo è malato, malato nell’anima.
Ed ogni neonato che muore aggiunge una ferita, a me l’aggiunge, anche se non conosco il nome, non conosco il viso, mi lascia un dolore, difficile da spiegare.

 

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Stasera nella mia città natale è festa, un pò di vita credo mi aiuterà a esser un pò meno triste.

Buona domenica a tutti.