Trevi, che Dio ti abbia in gloria

Premio Strega 2021, c'è il primo titolo in gara: «Due vite» di Emanuele Trevi- Corriere.it

Su la Lettura dell’8 agosto, Emanuele Trevi spiega perché non è possibile fare a meno della buona letteratura. Secondo me, se almeno un bipede con un minimo di testa pensante comprerà un libro dopo aver letto l’excursus di Trevi, il Nostro avrà reso un buon servizio all’umanità.

L’ultima cosa da esigere dai profeti, dai futurologi, dagli analisti delle tecnologie e delle tendenze, è che azzecchino le loro previsioni, fauste o infauste che siano. Sarebbe sleale: come pretendere dalla cartomante di ridarci indietro i soldi perché non abbiamo trovato l’anima gemella. Che doveva dirci, che saremmo marciti nella solitudine e nella tristezza? Il fatto è che speculare sul futuro è un’arte, come la danza o la ceramica, e come tutte le arti non serve a nulla di concreto. E poi, la fede è contagiosa. Crea delle certezze che si ergono come fari sulle pericolose scogliere della vita. Qualunque cosa dicano, bisogna onorare gli indovini. Ognuno, poi, ha le sue profezie preferite. Dipende dalle cose con cui si ha a che fare nella vita, dagli interessi che si nutrono.

La mia gioventù di aspirante scrittore è stata profondamente suggestionata dalla “morte dei libri”, annunciata come imminente fin dalla fine degli anni Ottanta. Niente a che vedere con temi opinabili e accademici come “la morte dell’arte” o “la morte del romanzo”, che nella loro astrattezza possono scivolarti addosso per tutta la vita senza consumarti un solo neurone. Ma quella della morte dei libri, intesi come oggetti concreti appartenenti alla nobile razza dei parallelepipedi, si affacciò alla coscienza collettiva come un fatto concreto, e quasi sembrò possibile segnarne la data sul calendario, come si fa con la prossima Pasqua.

Certo, la storia avrebbe invitato a usare una certa prudenza, visti tutti gli episodi di roghi di migliaia di volumi e intere biblioteche che si erano succeduti nel corso dei secoli, dall’antica Cina alla Germania nazista, lasciando sempre ai libri la maniera di sopravvivere in un modo o nell’altro. Ma i tiranni sono stupidi, la tecnologia molto meno. E le sentenze tecnologiche sono inesorabili, confinano innumerevoli oggetti nel regno dei ricordi e dei negozi di antiquariato. Conoscevo gente pronta a giurarci, con gli occhi spiritati: entro il 2020 – se non prima! – non si sarebbe più stampato un libro. Si stampavano addirittura libri per dimostrare, con tutti i convincenti argomenti della moderna futurologia, che non si sarebbero più stampati i libri. E già fioccavano, in tutto il mondo civile, i necrologi.

Interrompo la scrittura di questo articolo per fare un po’ il giornalista. Vale a dire, senza nemmeno scomodare il nobile concetto di “empirismo”, che mi guardo intorno. È il pomeriggio di sabato 31 luglio 2021, e sono salito sul Frecciargento che va da Genova a Roma alla stazione di Campiglia. C’è poca gente nella mia carrozza, diciamo una ventina di persone: tutti comodi e al fresco, sfrecciamo (si spera fino all’arrivo) in una campagna torrida e arsa, gialla come un Van Gogh. Una parte abbastanza consistente di queste persone ha un libro in mano: diciamo sei su venti, calcolando anche me. Fingendo di andare alla toilette, sbircio i titoli: c’è una signora che legge l’ultimo Manzini, un’altra Yoga di Carrère, mentre quello che ha l’aria di essere suo marito è immerso in una monografia di Alessandro Barbero su Carlo Magno. Che una monaca legga la Bibbia non fa notizia, immagino, ma si tratta pur sempre del primo libro che Gutenberg stampò; un tipo dall’aria britannica ha in mano un’edizione Penguin delle Pietre di Venezia di John Ruskin e stupidamente mi chiedo se non abbia sbagliato treno. Qualcuno potrebbe obiettare che siamo in prima classe, tipico mezzo di trasporto delle élite plutocratiche e della sinistra al caviale mentre il popolo (dalla carrozza quattro alla dieci) sta attaccato allo smartphone aggiornando i profili social e consultando siti no vax e cospirazionisti. Ma non è affatto così. Dove c’è più gente, nelle nostre società occidentali, ci sono in proporzione più libri. Non troppi, ma nemmeno nessuno. Non ci saranno mai insomma, né in prima né in seconda classe, dodici o quindici lettori su venti, ma ce ne sono abbastanza da far sì che i libri siano ancora un buon affare, o che la morte di un uomo come Roberto Calasso sia considerata degna della prima pagina dei giornali“.

Emanuele Trevi

Trevi, che Dio ti abbia in gloriaultima modifica: 2021-08-09T12:51:07+02:00da VIOLA_DIMARZO

26 pensieri riguardo “Trevi, che Dio ti abbia in gloria”

  1. Devo dire che Trevi, oltre a scrivere divinamente, pensa anche divinamente e qui mi piace particolarmente per la franchezza e l’ironia con cui si diverte a sputtanare le leggende metropolitane di quelli che il libro è destinato a morire. Cioè, da un lato, anche a me piacerebbe se, gran parte di essi, piuttosto che bruciarli, neanche li stampassimo, ma sarebbe togliere dalle librerie buona parte del diritto di esprimersi. Fra l’altro, oggi, un libro te lo puoi stampare e mettere in vendita senza ricorrere a nessuna casa editrice o assoggettarlo a quell’albo di critici letterari che, come in ogni campo artistico, sono in gran parte ciarlatani ed in piccola parte competenti. In ogni caso, le librerie sono sempre più affollate, soprattutto di giovani che, per fortuna ed in gran parte, non vanno dietro le mode e le statistiche, ma fanno quello che cazzo gli pare. Complimenti anche per come veste ed anche per la totale assenza di volgarità. Un dono per chi, a differenza mia, riesce ad usare termini alternativi a “cazzo” o “sputtanare”.

  2. Premettendo che di Trevi leggerò tutto, anche se dovessi incappare in un suo articolo in cui disquisisce della maionese impazzita, sono d’accordo con te su tutto ma particolarmente su un punto, ovvero quando scrivi “oltre a scrivere divinamente, pensa anche divinamente e qui mi piace particolarmente per la franchezza e l’ironia con cui si diverte a sputtanare le leggende metropolitane di quelli che il libro è destinato a morire”. Di questo articolo che ho introdotto indecentemente perché autorizza a presupporre che ci si sta avventurando su una disquisizione da cattedratico, mi ha fulminato l’incipit, leggero, fresco e poi tutto il resto. Quanto a te, è vero, anche quando potresti non rinunci alle parolacce, ma hai stile ed è proprio del tuo stile che all’occorrenza sa essere anche rock che avrei bisogno per scrivere il post di domani. Quello in cui intendo biasimare il fatto che un paio di tette, belle quanto vuoi, straccino a livello di visualizzazioni, un articolo tanto bello come questo.

  3. “mi ha fulminato l’incipit, leggero, fresco e poi tutto il resto”
    Se sali un po’ con lo sgurado più su dell’incipit, dirai che c’era da aspettarselo. In quella foto c’è un uomo, non uno che sale in cattedra, non un intellettualoide, ma un intellettuale che, guarda caso, non sta parlando, ma sta ascoltando. (Vabbè, basta così sennò vado contro i miei interessi. Già ha detto che ora leggerà tutto quello che scriverà, anche la lista della spesa, e per me sarà la fine)

  4. Bene, vedo che non sei arrivato fino in fondo al mio commento e allora lo ribadisco qui: “hai stile ed è proprio del tuo stile che all’occorrenza sa essere anche rock…” Io l’ho capito, sai, la tua è stata pura strategia, volevi che mi ripetessi, e ti ho accontentato. Per convinzione 🙂

  5. Avevo letto tutto, mica ti lascio a metà. Era questa che me la sono cercata:
    “Io l’ho capito, sai, la tua è stata pura strategia, volevi che mi ripetessi, e ti ho accontentato”
    :))

  6. “Quello in cui intendo biasimare il fatto che un paio di tette, belle quanto vuoi, straccino a livello di visualizzazioni, un articolo tanto bello come questo.

    E’ anche vero, però, che ci sono articoli che, per quanto belli, non possono raggiungere certe tette… oops certe vette di bellezza. Certo anche la scrittura è geometria. E la geometria è armonia. Anch’essa deve avere una sua fluidità. Lati più lunghi, lati più brevi, ma sempre raccordati o raccordabili. Dev’essere incisiva, avere qualche spigolo come, sotto le tette, le due pieghe che le raccordano col petto. La scrittura è un continuo raccordare un periodo con l’altro, un personaggio con l’altro, un luogo geografico del pianeta o del corpo con un altro. Uniti o vissuti assieme dalla linea lunga o breve della vita. Magari solo sfiorata dalla tangente involontaria di una mano oppure presa a dita aperte e tenuta stretta. Storie che si dipanano, scorrono e fluiscono con la dolcezza della mano che accarezza o con la forza della mano che stringe, della bocca che bacia, succhia o morde, della lingua che lecca o penetra. Quello che conta è che tutto l’articolo o la storia restino incentrati e coerenti intorno al capezzolo di quello che raccontano.

  7. Al volo. Quando ho commentato il 3 agosto su Trevi ho pensato a Calasso e ora so, e nemmeno dalla prima pagina di un giornale: ma è stato così? Comunque ben 80 anni e ci può stare, ma di artisti e scrittori non si è mai sazi. Quindi e dunque a me, in sua memoria, La tavoletta dei destini (2020).Buon 11

  8. Purtroppo Calasso è passato a miglior vita…ma lo sai cosa mi piaceva particolarmente di lui, oltre ai fin troppo evidenti meriti letterari? l’espressione del suo viso. P.S. Ti ho pensata recentemente perché ho letto un altro libro di Paolo Di Paolo. E non me ne sono pentita, anzi 🙂
    ops, sono Viola

  9. Non mi intrometto, chiedo solo perché si dice “Purtroppo è passato a miglior vita”, capirei il “purtroppo” se si passasse “a peggior vita”. Mah, certo che siamo proprio strani.
    🙂
    Oggi, sono _blue.

  10. Hai ragione, è una contraddizione in termini…chi ha coniato l’espressione “passare a miglior vita” doveva essere decisamente in mala fede. Oggi sei blue? Ne vogliamo parlare?

  11. Si?:) Roberto Calasso era un bellissimo giovane per di più intellettuale, quasi esageratamente bello per il suo stereotipo; da Olimpo insomma:) Quella bellezza gli è rimasta nell’espressione adulta, serena, empatica, paterna. I miei fondamentali di Calasso sono Ardore e La letteratura e gli dèi; del giovane Paolo di Paolo, conosciuto in tempi non sospetti, non sto leggendo altro al momento. Forse si tratta di uno scritto su figure femminili? Forse con delle illustrazioni, se quello è coinvolto anche un mio caro amico fotografo in bianco e nero. Ciao

  12. “Roberto Calasso era un bellissimo giovane per di più intellettuale, quasi esageratamente bello per il suo stereotipo…”; allora non mi sono sbagliata, mai visto in foto da giovane, ma rimedierò 🙂 Di Paolo Di Paolo ho letto in questi giorni Lontano dagli occhi (Economica Feltrinelli), e no, niente illustrazioni…

  13. Certo, quando sono _blu sono in veste lettore impegnatamente serio. Me lo sto leggendo tutto e sto saltando dal blog a wikipedia. La cosa più incredibile che ho scoperto è l’elenco di tutti i personaggi della recherche. Pazzesco. Visto che m’incuriosiva, solo per capire che rapporto di parentela ci fosse fra Odette e Gilberta ci ho impiegato mezzora e non ci ho capito una mazza.

  14. p.s.: Ah no, ho capito. E’ come se Gigi D’Alessio, anziché Gigi si chiamasse Alessio e uno dice: D’Alessio D’Alessio ho tutti i dischi.
    Significherebbe aver buttato via un bel po’ di soldi, però sintattisticamente sarebbe corretto. Giusto?

  15. E’ proprio la foto che ha colpito anche me, bello e di classe 🙂 il libro mi è piaciuto sì, ma confesso che inizialmente lo avevo abbandonato perché non mi piaceva il soggetto, e invece…proprio bravo quel ragazzo.

  16. Allora, quando fai così mi confondi :)) lo scrittore in questione si chiama Paolo Di Paolo, quindi scrivendo “Di Paolo Di Paolo”, intendevo dire “del signor Di Paolo”. Ti ha fuorviato il punto che precede il tutto, per cui la preposizione “di” l’ho dovuta scrivere con la maiuscola [e poi mi vengono a parlare di teatro dell’assurdo] 🙂

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