Come cambia il Dna degli animali che abitano le città

  Impresa ardua, da un paio di mesi a questa parte, sperare di leggere un settimanale che non dedichi il 90% degli articoli a Covid-19;  ma per una felice coincidenza mi sono imbattuta in un articolo di Fabio Deotto, pubblicato su La Lettura di domenica 26 aprile. Scientifico in primis, ma altresì poetico se rapportato a questo tempo di attesa.

 “[…] Se passiamo agli uccelli, le differenze si fanno ancora più interessanti. Basti pensare al junco occhi scuri, un passero della città di San Diego che canta su frequenze più alte (per contrastare il rumore cittadino), nidifica in luoghi più elevati ed è apparentemente monogamo; o ai cardellini dell’aeroporto di Madrid che hanno imparato a cantare a un’intensità maggiore e in orari diversi, per non farsi schiacciare dal rumore degli aerei. La lista continua: ci sono piccioni che hanno sviluppato ali grazie alle quali predono quota più rapidamente; falene che hanno preso un colore più scuro per mimetizzarsi meglio in ambienti inquinati; vedove nere che depongono uova più piccole e più numerose per aumentare le probabilità di sopravvivenza in un ambiente rischioso”.

 “[…] Quello della cosiddetta contemporary evolution è un terreno di ricerca accidentato, dal momento che non sempre è facile distinguere tra gli adattamenti evolutivi veri e propri e quelli resi possibili dall’elasticità comportamentale delle varie specie. Ad esempio, in molte città sono stati osservati (e filmati) corvi che lasciano cadere noci sulla strada per poi aspettare che passi un’auto a romperne il guscio. Non è ancora chiaro come abbiano sviluppato questo comportamento, ma è possibile che si tratti di una pratica appresa con l’esperienza, o tramandata da esemplari più anziani”.

 “[…] Negli ultimi dieci anni, Menno Schilthuizen e altri ricercatori olandesi hanno mostrato a più riprese come gli esemplari di un particolare tipo di chiocciola (Cepaea memoralis) prelevati in città tendano ad avere un guscio più chiaro e giallastro, mentre quelli prelevati dalle foresti circostanti tendano ad averlo più rosaceo e opaco, in alcuni casi marroncino. Poiché il colore del guscio è determinato da geni specifici, questo indicherebbe come le chiocciole di città si siano evolute per ridurre la quantità di calore assorbito, ritrovandosi per la maggior parte del tempo in ambienti esposti alla luce”.

Con buona pace del pathos apocalittico che ci sommerge.

Illustrazione di Pierpaolo Rovero

Come cambia il Dna degli animali che abitano le cittàultima modifica: 2020-05-01T10:13:42+02:00da VIOLA_DIMARZO

6 pensieri riguardo “Come cambia il Dna degli animali che abitano le città”

  1. Così a lume di naso non mi pare che in pochi decenni si possano constatare mutamenti se non quelli meramente comportamentali o una casistica fortuita .Interessante invece come bastino poche settimane traffico ridotto perché molti selvatici si intrufolino fino dentro i centri storici, in attesa che ritornino gli animali veri ,i bipedi a rivendicare lo spazio di manovra. Baci

  2. E’ proprio vero, strano periodo questo e ben venga che non solo scientifici in primis ed in modo poetico si distraggano dei bipedi che, diciamocelo, hanno abbastanza rotto e si soffermino sui passeracei. Poco importa che sia un junco o una Averla piccola.
    Interessante la faccenda dei corvi. Direi che sono più intelligenti dei piccioni che, invece, o sono troppo stupidi o hanno un concetto dell’igiene tutto loro. Ricordo che quando ero ancora in libertà vigilata, ero fermo davanti ad una pizzetteria. Davanti ad essa c’erano 4/5 piccioni che mangiucchiavano i pezzetti di pizza che qualcuno gli buttava. Ora è chiaro che se vuoi mangiare il pezzetto di pizza e speri di farlo prendendolo solo col becco, ci passerai una vita perché, in qualche modo, devi tenerlo fermo in modo che col becco puoi strappare la briciola che ti serve. E, dico, dopo qualche milioncino d’anni, ancora non hai capito che ti basterenne tenerlo fermo mettendoci la zampetta sopra e col beccuccio puoi fare colazione senza innervosire chi ti sta osservando e vorrebbe dirti: “ma tienilo fermo con la zampa, cazzo!”.
    A meno che non ti faccia schifo mangiare aiutandoti con i piedi.
    Mah.

  3. Le lumache invece mi hanno riportato in mente un mio amico che dovendo sposarsi, povero lui, fittò una casa che aveva di lato un ampio giardino e, quasi al centro del giardino aveva un fico che a mio avviso aveva qualche centinaio d’anni. Un giorno, sempre in attesa di sposarsi ovvero prima dell’insano gesto, m’invitò a vedere quella casa ed entrammo proprio dal giardino. Quindi vidi il fico. La casa era abbastanza malandata e lui mi disse che avrebbe dovuto farci qualche lavoro. Io gli dissi, visto che ti trovi, taglia via quel fico.
    “Ma sei matto? Quello d’estate sarà un’oasi d’ombra. Ci parcheggio la macchina sotto”
    “Sotto al fico?”, gli faccio.
    “Certo”
    Gli sorrisi.
    “E’ evidente che non ti sei mai arrampicato su un fico per coglier fiche”
    “Io le fiche non le ho mai prese sugli alberi”, mi fa.
    “Ed hai fatto bene. Comunque, dopo non dirmi che non te l’avevo detto”, gli dico.
    “E queste lumache?”
    “No, le lumache le trovi solo dopo che è piovuto”
    “Ma sono centinaia”
    “Sì, ma quelle non ti rovineranno l’oasi d’ombra”.
    Dopo un mese dall’insano gesto, seppi che un fulmine gli aveva preso in pieno il fico che stramazzò sulla macchina. Tetto, parabrezza e cofano. Ovviamente mi dispiacque, ma tanto, dopo la fioritura, se non l’avesse fatto il fulmine, gliel’avrebbe massacrata il fico.

  4. A proposito di piccioni…dalle mie parti per indicare una ragazza giovane e bella, i maschi poco ortodossi dicono: “Che piccione!”; è molto volgare come espressione ma rende l’idea 🙂

  5. Mai avrei creduto di poter assistere a uno spettacolo del genere, animali che generalmente vediamo nei boschi o al limite di notte, che se la spassano nei nostri centri abitati. Che goduria 🙂

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