A lezione di smart working

  Che il cielo benedica le persone che, nonostante gli scenari foschi, riescono a conservare il senso dell’umorismo. Come Mattia Carzaniga, autore dell’articolo che segue.

 “Ci hanno stanati. Fanno quello che facciamo noi. Vogliono essere noi. Qualche settimana, e sono tutti smartworker. Vaglielo a dire che noi lo eravamo before it was cool, o almeno safe. Che l’abbiamo ripetuto per anni: stare a casa è bello, è meglio. Ora tutti eroi. Pionieri. Trendsetter. Come all’alba degli italiani su Facebook: un circolino con la selezione all’ingresso. Poi (2008) il boom, e l’umanità chiassosa venuta in massa a bucarci il pallone.

  Con lo smart working sarà lo stesso? Che accadrà alla ripresa? Attendiamo poco fiduciosi, avendo monitorato l’impaccio con cui la maggioranza ha scoperto l’acqua calda. Letteralmente: c’era tempo per un bagno appena alzati, invece del solito rush doccia-caffè in piedi-di corsa fuori. Forse il tele-impiego scatenerà impavide civil action aziendali, in cambio di quel giorno casalingo che per i datori di lavoro è una minaccia a consolidati decenni di fantozziano cartellino. Più facilmente, resterà la magnifica distopia di un momento. Siamo il Paese di Checco Zalone, inteso come archetipo patrio col sogno del posto fisso, in trepidante attesa dell’ente pubblico che gli consegni una scrivania con poltrona ergonomica. Ciò che rimpiange di più chi s’è beccato il mal di schiena per i giorni curvi sul tavolo della cucina – bastava un buon seggiolino svedese: ma voi che ne sapete.

  Ovunque ci porterà il futuro, noi smartworker professionisti liberi (in tutti i sensi) siamo qui per educarvi. A un patto. Primo: la casa non è l’ufficio. Ci avete convertiti – noi che da una vita andiamo avanti a mail (molte) e telefonate (pochissime) – a video-call in cordata, codici d’accesso da decrittare, quesiti oscuri: “Ce l’hai Skype Business?”. Scordateveli. Secondo: basta battute sulla tuta, oggi detta activewear. Noi abbiamo trovato da un pezzo la quadra perfetta per avere indosso capi comodi, ma non da tamarri degli assembramenti domenicali, e possiamo offrirvi lezioni (online, si capisce). Ultimo: la cucina, altra scoperta collettiva (ben svegliati!). Non basta un impasto ben lievitato a rendervi smartworker Dop. Ne dovete passare di ore davanti allo stracotto sul fuoco, per essere davvero come noi”.

Illustrazione di Pier Paolo Rovero

A lezione di smart workingultima modifica: 2020-05-03T16:49:22+02:00da VIOLA_DIMARZO

17 pensieri riguardo “A lezione di smart working”

  1. Le faccio una confessione, da 2 anni sono uno smart-worker. Ergo mi prendo il diritto dii condividere in toto Carzaniga

  2. Smartworker per obbligo, ma ci metterei la firma. Con la fase 2 sarò ‘in presenza’ una volta a settimana, ma ne farei volentieri a meno. Spero che chi di dovere capisca quanto bene si puo’ fare senza le interruzioni continue che si patiscono in ufficio. E poi quel tipo di socialità non mi manca per niente.

  3. Mah…ho una smartworker in famiglia ma sono perplesso. Quello che chiamano così oggi è un surrogato di lavoro, un impegno non previsto ed importante per il lavoratore onesto ma con una resa effettiva dubbia. Va bene scherzarci sopra ,ma una cosa è lavorare online su attività predisposte ed adatte al metodo,altra cosa piegare alla emergenza attività poco o punto compatibili.

  4. Oggi ho avuto una giornataccia e non ho trovato il tempo di commentare. Immaginando quanto vi sia mancato, spero che mi perdoniate.
    Lo smart working? Penso sia la cosa più ovvia visto che sul posto di lavoro passiamo metà del tempo sul web, tanto vale lavorare da casa. Non migliora la produttività, ma riduce l’inquinamento perché non prendiamo la macchina per spostarci.

  5. Sul fatto che non ci consideri nemmeno più di striscio, concordo. Però, più che in smart working, penso che per il tana-liberi-tutti se ne sia andata in giro a fare shopping all’impazzata e, magari, in attesa che ridiano la legalità anche alle palestrate, se ne sia andata pure a correre.

  6. No Mario, ti spiego, non trovo spunti per scrivere uno straccio di post…web, giornali, tv non fanno che parlare di Covid e di tutto ciò che gli gira intorno e che gli girerà intorno…sinceramente ho temuto di ripetermi se avessi proposto quel qualcosa che comunque ho tra le bozze 🙂

  7. C’hai quasi azzeccato…ieri pomeriggio, grazie a quel “tana-liberi-tutti”, sono andata a camminare: ben 6 km e 800 m dopo due mesi di lockdown…per dirla tutta, non erano esattamente quelle le intenzioni ma io e la mia amica, decidendo sul percorso da intraprendere per tornare indietro, ci siamo avventurate per una strada che non conoscevano e abbiamo allungato di molto…io ero una pasqua, mi sembrava di vivere una piccola avventura…e poi la solarità dei campi, gli ulivi in fiore, i prati incolti, le mandorle (acerbe) mangiate solo per il gusto di coglierle dall’albero…non avevo lo smartphone (di proposito) ma la mia amica sì e si è data da fare per ritrovare la strada, purtroppo!.. io invece sarei rimasta seduta su un muretto a secco fino al tramonto…comunque era da tempo che la gioia non mi invadeva in modo tanto incontenibile. È stato come aver imparato di nuovo a respirare. 🙂

  8. E in attesa che torni la Fannì, visto che il post l’ho commentato, provo a commentare l’immagine del post (ah ecco, Fannì è (ben)tornata, ma ormai il commento l’ho scritto e non lo butto via):

    Il mio cielo stasera, terso e sereno, ha un colore dettato da un tramonto che tende all’albicocca e coinvolge anche le case che ho di fronte fino alla cattedrale che si staglia in cima alla collina. Affacciato, fumando la mia Marlboro rossa, posso spiare le finestre e farmi un po’ di cazzi altrui. C’è la finestra bella ampia, quella del docente barbuto che fa lezione sul web; provo ad immaginare cosa insegni e, dalla posizione delle mani, sembra un maestro di musica. Proprio sopra di lui, m’incuriosisce la donna alla finestra centrale. Sembra seminuda e, se fosse così, il pc che ha davanti nasconde il meglio, ma non il seno. Sembra inginocchiata sul letto. Troppo distante però, sia per immaginarle il seno sia per immaginare che lavoro faccia. Sul balcone a destra del professore di musica, c’è una donna in sdraio con un gatto nero dalle orecchie lunghe che le siede sulla spalla. Sembra le accarezzi la testa con la zampa. Dentro c’è il compagno. Più che lavorare mi danno l’impressione che stiano chattando ciascuno per fatti propri. Credo che la loro sia una convivenza destinata a finire presto. La cosa che più m’incuriosisce, però, è l’ombra sul tetto del maestro di musica. Un’ombra che mi fa pensare che c’erano 4 colombi sul muretto (meglio evitare volgarità come piccioni). Il pittore quindi ha disegnato quell’ombra quando c’erano ancora i colombi. Poi ha disegnato il muretto, dimenticandosi di loro.
    Un po’ come le stelle. Tante di quelle che vediamo, non ci sono più.

  9. che bello questo spaccato, ancora più bella la sua chiusura, sorriso compreso: “È stato come aver imparato di nuovo a respirare.

  10. Ma pecché mi taglia i commenti?
    Avevo aggiunto che adesso sappiamo che la misura giusta per stare bene è 6 km e 800 metri. 🙂

  11. Ti piace cimentarti con le figurazioni del possibile, dare contorni netti alle ombre, vero? (I colombi). “Un po’ come le stelle. Tante di quelle che vediamo, non ci sono più”. Un cielo di morte stelle, sed nihil dulcius est.

  12. ohi Cazzus ! vi lascio la sola citazione latina che conosca, tanto per farvi capire che a voi due vi teniamo d’occhio, noi tutti smarfancazzisti nel tempo del tana liberitutti

  13. Ieri dovevo uscire ad Avellino Est ed invece sono uscito ad Avellino Ovest, quando “errare humanum ovest”! Alle volte penso al culo che hanno avuto quei latini che in tutta la loro vita hanno detto una sola cosa interessante, ma anche la sfortuna che all’epoca non c’era il web. Con una frase buona come un babà come quella del dulcius, oggi Lucrezio sarebbe quotato in borsa come la Apple.
    Adesso devo andare, ma torno presto.
    Che Giove, dall’alto dell’Olimpico, Vi protegga.

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