Stallone: ero una star planetaria ma nessuno sapeva il mio nome

Sylvester Stallone e Rocky Balboa - Keblog

Se è vero che bisognerebbe avvicinarsi alle vite altrui sospendendo il giudizio, è altresì incontestabile che le grandi fortune suscitano un sedimento di invidia difficile da eliminare per chi da quelle si sente escluso. Però, se certe pulsioni rientrano nell’ordine naturale delle cose, lo stesso non può dirsi degli individui che arrivano a invidiare non il parente o l’amico fortunato ma “il personaggio famoso”, e lo fanno con un’acrimonia tale da convincersi dell’esistenza di un’urgenza divina che premia i prescelti ed esclude aprioristicamente chi pure non mancherebbe di talento. Peccato che parabole esistenziali come quelle di Marylin Monroe e John Lennon insegnino altro, ovvero che non esiste una legge metafisica che governa il mondo, ma che lo stesso si stratifica e si sgretola ad opera del caso. E non risparmia le star. In  tal senso, ma con i dovuti distinguo, è illuminante una dichiarazione resa da Sylvester Stallone a Costanza Rizzacasa D’Orsogna, a proposito del “suo” Rocky.

Era ingombrante, non lo sopportavo più. Non era solo il fatto che mi mettesse in ombra, ma avendolo creato io stesso, ero come intrappolato dalla mia stessa creazione. Tutti volevano Rocky, nessuno Stallone. Ero una star planetaria ma nessuno sapeva il mio nome. Dopo il successo dei miei film venni invitato alla Casa Bianca, dove conobbi Jimmy Carter, Ronald Reagan. Entrambi, stringendomi la mano, mi dissero: “Ciao, Rocky”. Per la stampa ero una specie di scimmione: uno che tirava pugni e conosceva solo la strada. Pensavano che Rocky fosse l’unico ruolo che potessi interpretare perché credevano che io fossi Rocky. E hai voglia a dirgli che non ero un personaggio, che di Rocky avevo scritto la sceneggiatura. Niente da fare“.