“Niente è senza movente. Si tratta solo di guardare abbastanza lontano, scavare abbastanza a fondo.”
Un uomo legato, un altro davanti a lui con un rasoio affilato. Due individui che stanno per morire. Una vittima, un carnefice, apparentemente. La realtà è sempre più complessa.
Michele avrebbe avuto le potenzialità per essere un uomo dal destino brillante ma, come dice lui stesso, fa parte della tipologia 2, quella che non vuole seguire i consigli degli altri. Persone in gamba ma che a un certo punto decidono di voler seguire il demone che ride nella propria testa. Una voce da sirena che ammalia e distrugge al tempo stesso.
Così, avvinghiato a queste pagine come se contenessero ossigeno, segui anche tu Michele nel suo cadere nel baratro del non ritorno.
In un alternarsi fra il presente e il passato, quella del protagonista è una parabola in discesa, verso l’inferno esistenziale che lo ha reso l’uomo in procinto di uccidere un altro. Ma chi ha reso Michele l’individuo che tiene in mano una rasoio e la vita di un altro individuo?
“La follia è una festa con mille invitati, nella quale tu sei l’unico in costume.”
Nelle pagine che si susseguono nel romanzo “Il kamikaze di cellophane” di Ferdinando Salamino (Golem Edizioni), il protagonista si racconta senza filtri, senza paraventi fin dal primo momento in cui il click della follia ha suonato inesorabile dentro la sua anima. Un suono tragico e funesto, nascosto dietro a scelte di salvezza che avevano il sapore della pazzia. Perché chi stabilisce chi è matto e chi è sano? La società, la religione, la morale, la medicina. Tuttavia non sono infallibili, e chiedono un tributo salato per restituirti con le carte in regola al mondo. Ma è sempre tutto così semplice?
“Finché l’incantesimo tiene, possiamo fingere che tutto vada bene, ma li sentiamo di continuo, i rintocchi dell’orologio. Riconosciamo subito quell’ansia, quando la magia si dissolve a poco a poco e la carrozza si trasforma in zucca.”
Questa storia parla di distruzione, di pazzia, di fragilità; racconta l’amore, l’odio, le perversioni. Emozioni buone, paure terribili, tutte racchiude dentro un vaso di Pandora che, come ci insegna la tradizione, non va mai scoperto. Perché i propri demoni, quelli che ci spingono a commettere i più grandi errori, spesso non sono chiusi dentro quel vaso, il cui contenuto è ancora più crudo e terribile.
“C’era una violenza, nella tragedia, che mi suonava rintocchi nell’anima.”
Lo stile di Salamino è come quei secchi di colore buttati sulla tela: l’effetto visivo è immediato, cromatico, suggestivo. E tu sei li a fissare le gocce che colano per capire quale sarà l’effetto finale, e sai già che non sarà possibile, perché il colore prende strade che tu non puoi vedere o intuire. E così anche fra queste pagine l’ovvio viene scalzato dall’imprevedibile e la tela si colora di sfumature che tu non avevi immaginato. E tutto viene messo in discussione, così da coltivare quella specie di affetto verso un carnefice che è capace di uccidere senza rimorsi.
Libri così, in giro, ce ne saranno molti, dirà qualcuno. Eppure la sensazione, appena finisce l’ultimo capitolo, è che hai appena letto qualcosa di scritto davvero dannatamente bene. Non lasciatevi ingannare da ciò che Salamino vi vuole fare vedere, perché ho scoperto essere un bravo prestigiatore di parole e storie.
Quello che occorre tenere presente è che bisogna andare oltre alle apparenze, come quando si guarda un incontro di boxe. Dimenticate i pugni, il sangue, i denti rotti, e godetevi lo sport nella sua eccezione più movimentata. Non importa la tecnica, la bravura, l’impegno. Conta il risultato. Perché basta ricordare che il “pugile perfetto è quello che scende dal ring con la stessa faccia con cui è salito.”
E Salamino, da bravo prestigiatore di parole, compie una vera magia con chi è sul ring.
Buona lettura.