IL SOVRAINDEBITAMENTO -POSSIBILI SOLUZIONI

Il sovraindebitamento definizione e fonti normative.

La normativa di riferimento nasce con la Legge 3/2012, che ha introdotto le “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”.

Viene introdotta, dunque, nel nostro ordinamento la definizione di sovraindebitamento come “una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”.

In altri termini, si trova in sovraindebitamento chi, nonostante gli sforzi, non riesce a sostenere i propri impegni economici e a rimborsare finanziamenti o debiti.

Il sovraindebitamento può derivare, per esempio, da diversi acquisti rateizzati o da un imprevisto dovuto a questioni di mercato, di lavoro, familiari o di salute. Per far fronte a queste situazioni e con l’obiettivo di creare le condizioni perché debitori e creditori possano uscire da situazioni di blocco, il Decreto ministeriale 202/2014, con il “Regolamento recante i requisiti di iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento” istituisce gli “Organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento e per la liquidazione del patrimonio”.

Che cosa è un OCC – Organismo di composizione delle crisi da sovraindebitamento e per la liquidazione del patrimonio.

Si tratta di un’istituzione, imparziale ed indipendente, che gestisce le procedure legate al sovraindebitamento, valuta le richieste di chi vuole attivare la procedura e nomina i gestori delle crisi. Solo gli enti pubblici iscritti all’apposito Registro del Ministero di Giustizia possono fornire il servizio e possono farlo solo nel proprio territorio di competenza.

E’ a tali organismi che il debitore imprenditore o cittadino, tra quelli legittimati dalla legge, può rivolgersi, al fine di far fronte all’esposizione debitoria con i propri creditori.

Chi può accedere: solo il debitore che si trova in stato di sovraindebitamento può prendere l’iniziativa di attivare la procedura.

I creditori non possono farlo al posto del debitore. In particolare, secondo la legge i soggetti legittimati sono: il consumatore; l’ imprenditore agricolo; c.d. start up innovativa; imprenditore sotto soglia art 1 LF (negli ultimi 3 esercizi prima del deposito della istanza di fallimento: un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad € 300.000,00 (trecentomila), ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila, ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila); l’imprenditore sopra soglia art 1 Legge Fallimentare ma con debiti inferiori ad € 30.000,00 (trentamila); l’imprenditore cessato; il socio illimitatamente responsabile; i professionisti, gli artisti e gli altri lavoratori autonomi; le società professionali ex L. 183/2011; le associazioni professionali o studi professionali associati; le società semplici costituite per l’esercizio delle attività professionali; gli enti privati non commerciali.

Non possono accedere: l’imprenditore soggetto ad altre procedure concorsuali; chi, nei 5 anni precedenti, ha già fatto ricorso ad una procedura per sovraindebitamento; chi ha subito provvedimenti di revoca, risoluzione o annullamento dell’accordo di ristrutturazione o del piano del consumatore; chi presenta una documentazione incompleta o insufficiente a ricostruire la situazione economica. Per l’attivazione del procedimento è necessario fornire tutti i dati necessari per ricostruire la situazione economica. Il costo complessivo del servizio è determinato sulla base dell’effettivo valore della crisi.

Come funziona il procedimento.

L’Organismo di gestione delle crisi riceve le domande di avvio del procedimento e, valutato il rispetto dei presupposti normativi, nomina un professionista definito dalla legge “Gestore della crisi”.

I Gestori della Crisi sono esperti con una specifica formazione, giuridica ed economica e una concreta esperienza di gestione e pianificazione economico-finanziaria.

Il Gestore ha il compito di studiare la situazione di chi è in sovraindebitamento e trovare, insieme al debitore e al suo consulente, delle possibili soluzioni.

Dunque, a seguito dell’esame della documentazione prodotta, il Gestore affianca il debitore nella ristrutturazione dei debiti e conseguente soddisfazione dei crediti.

L’elenco dei Gestori è stato costituito attraverso una selezione pubblica. Nuovi gestori potranno essere nominati solo attraverso selezioni pubbliche, indette a seconda delle esigenze di servizio.

 

 

Tre possibili procedure e risultati.

Il procedimento si potrà concludere in tre modi diversi o con un accordo di composizione della crisi, o con un piano del consumatore o con la liquidazione del patrimonio del debitore.

L’OCC, il Gestore della Crisi e un Giudice delegato valutano la fattibilità delle soluzioni possibili in ogni caso concreto. In particolare:

1) Accordo di composizione della crisi e ristrutturazione: ai creditori viene proposto un progetto con importi e tempi definiti per saldare in tutto o in parte i debiti. L’accordo è raggiunto se sono favorevoli creditori che rappresentano almeno il 60% del debito.

2) Piano del consumatore: funziona come l’accordo ma non è necessario il parere favorevole dei creditori ed è riservato esclusivamente a debiti che non riguardano una attività professionale.

3) Liquidazione del patrimonio del debitore: il debitore e il Gestore individuano i beni da vendere e destinano il ricavato al pagamento in tutto o in parte dei debiti. All’esito della procedura di gestione della crisi il debitore che abbia operato con impegno e correttezza può beneficiare, previa verifica delle condizioni, dell’esdebitazione.

L’esdebitazione comporta la possibilità di lasciarsi alle spalle i vecchi debiti anche se attraverso la gestione della crisi sono stati pagati solo in parte.

 

Le recenti novità in materia di sovraindebitamento

La L. 176/2020, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, con entrata in vigore dal 25 dicembre 2020, reca la “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, recante ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”.

Il provvedimento, oltre a convertire in Legge, con modificazioni, il c.d. Decreto Ristori (D.L. 137/2020), abroga espressamente i Decreti Ristori bis (D.L. 149/2020), Ristori ter (D.L. 154/2020) e Ristori quater (D.L. n. 157/2020), con salvezza degli atti e dei provvedimenti adottati, nonché degli effetti prodotti e dei rapporti giuridici sorti nel frattempo sulla base degli stessi.

La L. 176/2020 introduce importanti novità in relazione alla Legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012) prevedendo, all’articolo 4 ter, una semplificazione delle procedure di accesso per le imprese e per i consumatori, applicabili anche alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore della stessa Legge.

In particolare, è fornita una definizione più estesa di “consumatore”, sostituendo l’articolo 6, comma 2, lett. b), L. 3/2012: deve considerarsi tale non solo la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta ma anche l’eventuale socio di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III (s.n.c.) IV (s.a.s.) e VI (s.a.p.a.) del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali.

L’articolo 7 L. 3/2012 è stato modificato, in particolare, con la previsione di ulteriori circostanze a causa delle quali il debitore sovraindebitato non può formulare la proposta (comma 2):

  • se ha già beneficiato dell’esdebitazione per due volte
  • se, limitatamente al piano del consumatore, ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode;
  • se, limitatamente all’accordo di composizione della crisi, risulta abbia commesso atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.

È inoltre stato espressivamente previsto che l’accordo di composizione della crisi della società produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili.

La L. 176/2020 prevede l’inserimento nella L. 3/2012 del nuovo articolo 7 bis che disciplina le procedure familiari, di fatto anticipando un istituto innovativo previsto con il Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza.

Il nuovo articolo 7 bis disciplina la possibilità che i membri di una stessa famiglia possano presentare un’unica procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, quando siano conviventi o quando il sovraindebitamento abbia un’origine comune.

Possono essere considerati membri della stessa famiglia, oltre al coniuge, i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, nonché le parti di un’unione civile e i conviventi di fatto.

In questi casi, comunque, le masse attive e passive rimangono distinte.

All’articolo 8 L. 3/2012 è stata prevista la possibilità che la proposta di piano del consumatore preveda la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto, del trattamento di fine rapporto o della pensione nonché quelli derivanti da operazioni di prestito su pegno.

È stata prevista anche la possibilità che la proposta di piano del consumatore preveda il rimborso alla scadenza convenuta delle rate a scadere del contratto di mutuo garantito da ipoteca iscritta sull’abitazione principale del debitore, se lo stesso, alla data del deposito della proposta, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito.

Quando invece l’accordo è proposto da un soggetto diverso dal consumatore e contempla la continuazione dell’attività aziendale, è stata ammessa la possibilità di prevedere il rimborso alla scadenza convenuta delle rate del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all’esercizio dell’impresa, a condizione che il debitore abbia adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo abbia autorizzato al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data.

L’articolo 4 ter L. 176/2020 rivede altresì i contenuti della relazione particolareggiata dell’Occ che deve essere allegata alla proposta di piano del consumatore ex articolo 9, comma 3 bis, L. 3/2012.

La stessa deve indicare:

  • le cause dell’indebitamento, la diligenza del debitore nell’assumere le obbligazioni;
  • le ragioni dell’incapacità di adempiere le obbligazioni assunte;
  • la completezza e attendibilità della documentazione depositata;
  • l’indicazione presunta dei costi della procedura; l’indicazione della valutazione del merito creditizio da parte del soggetto finanziatore.

È stato previsto l’inserimento di un ulteriore comma 3 bis 1 all’interno dell’articolo 9, secondo il quale anche alla domanda di accordo di composizione della crisi deve essere allegata una relazione particolareggiata dell’Occ che deve indicare tra l’altro: percentuali, modalità e tempi di soddisfacimento dei creditori; indicazioni dei criteri adottati nella formazione delle classi ove previste.

All’articolo 12 L. 3/2012 è stato inserito l’importante comma 3 quater, che prevede che il Tribunale omologhi l’accordo di composizione della crisi anche in mancanza di adesione dell’Amministrazione finanziaria, quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali previste dall’articolo 11, comma 2 e quando, anche sulla base di quanto risulta dalla relazione dell’Occ, la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.

Fra le novità di maggior rilievo apportate dalla L. 176/2020 alla L. 3/2012 si cita anche l’inserimento dell’articolo 14-quaterdecies, relativo al debitore incapiente, che anticipa un istituto previsto col Codice della Crisi.

Il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai propri creditori alcuna utilità, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all’esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice, nel caso in cui sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al 10 per cento. A tal fine non sono da considerarsi utilità eventuali finanziamenti ricevuti.

 

Vediamo dunque un riepilogo della Legge in sette punti:

1) Sovraindebitamento familiare. È possibile presentare una procedura unica di composizione delle crisi da sovraindebitamento come membri di una stessa famiglia, se si tratta di conviventi o quando la situazione di crisi ha un’origine comune. Si considerano familiari i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, le parti dell’unione civile e conviventi di fatto. Si evitano così superflue ripetizioni di adempimenti procedurali e si riducono i costi che saranno suddivisi proporzionalmente tra i vari soggetti sovraindebitati, in proporzione ai rispettivi debiti.

2) Socio come consumatore. È incluso nella definizione di “consumatore” anche il consumatore che sia socio di una società di persone, purché il suo sovraindebitamento riguardi solo debiti personali.

3) Potere sostitutivo del giudice. Il giudice, anche quando l’amministrazione finanziaria non aderisce all’accordo, può omologarlo quando l’adesione sia decisiva ai fini della maggioranza e la proposta risulti comunque più conveniente per il fisco rispetto all’alternativa liquidatoria. Si tratta, quindi di un vero e proprio potere sostitutivo del giudice.

4) Disciplina di favore per il debitore incapiente. È stata introdotta l’esdebitazione (liberazione dal debito) per il debitore incapiente, cioè la persona fisica che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità neppure in prospettiva futura, purché risulti meritevole e fatto l’obbligo di pagamento del debito entro 4 anni qualora sopravvengano utilità rilevanti che consentano di soddisfare i creditori almeno per il 10%.

5) Meritevolezza. Vengono rimarcate le condizioni soggettive: il debitore-consumatore deve essere meritevole, cioè non deve avere determinato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode; mentre il debitore-imprenditore, per accedere all’accordo di composizione, non deve aver commesso atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.

6) Sanzioni per il creditore che ha causato il sovraindebitamento. Si applicano sanzioni agli operatori del credito che lo concedono senza avere verificato il merito creditizio: il creditore che ha colpevolmente determinato o aggravato la situazione di sovraindebitamento non potrà presentare osservazioni al piano né reclamo verso l’omologazione né far valere cause di inammissibilità a meno che non derivino da comportamenti dolosi del debitore.

7) Norme transitorie. Le nuove norme contenute si applicano anche alle procedure di sovraindebitamento pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione.

 

Crisi da Sovraindebitamento indicazioni pratiche.

Indicazioni pratiche per la presentazione dell’istanza per il piano del consumatore, l’accordo del debitore e la proposta di liquidazione del patrimonio ai sensi della Legge 3/2012.

La Legge n. 3 del 27 Gennaio 2012, più conosciuta come “legge cancella debito”, stabilisce norme in materia di soluzione delle situazioni di sovra indebitamento dei soggetti non fallibili. È una legge ormai in vigore da alcuni anni, ma non è ancora ben conosciuta, né dai cittadini, né dagli operatori del diritto. Questo documento vorrebbe consentire di capire se e come ci si può avvalere degli istituti previsti dalla Legge 3/2012 per risolvere la propria situazione debitoria.

Per prima cosa sgomberiamo il campo da alcune false idee:

1) La Legge 3/2012 non è una “legge cancella debito”, non è uno strumento a disposizione di furbetti che vogliono eludere gli impegni presi. È, invece, uno strumento che consente al debitore di fare fronte ai propri debiti in modo coerente con le proprie attuali risorse, sollevandolo dalla pressione psicologica che il sovra indebitamento crea, ma tendendo anche a garantire ai creditori la migliore soddisfazione possibile.

2) La Legge 3/2012 non è uno strumento per contrastare le azioni esecutive dei creditori e, in particolare, non serve per farla in barba ad Equitalia. Può anche servire a interrompere le procedure esecutive in corso, ma non la si può utilizzare solo per questo. Il debitore deve ripensare complessivamente la propria situazione e pianificare la propria gestione finanziaria, in modo coerente con le attuali possibilità.

3) La Legge 3/2012 non può essere utilizzata da chi non ha un patrimonio e/o un reddito, anche piccolo, con il quale fronteggiare la propria situazione debitoria. In alternativa, occorre che un terzo, solvibile, si impegni a finanziare e garantire il debitore.

Tutto ciò premesso, esponiamo in modo sintetico il contenuto della Legge 3/2012 descrivendo gli aspetti operativi che ci interessano.

Chi può utilizzare la Legge 3/2012?

I soggetti non fallibili. Cioè i privati consumatori (vale a dire, soggetti che non svolgono, ne hanno mai svolto, attività professionale o imprenditoriale; oppure soggetti che svolgono tali attività, ma che hanno assunto debiti soltanto per scopi estranei a essa) e gli enti e le imprese che sono esclusi dalle previsioni della Legge Fallimentare (enti che non svolgono attività commerciale e soggetti sotto soglia).

Quali sono le procedure previste dalla Legge 3/2012?

La Legge prevede due procedure che consentono di non liquidare l’intero patrimonio del debitore:

Il piano del consumatore, che può essere presentato dai privati consumatori. Essenzialmente, si tratta di una proposta fatta dal debitore, di pagamento rateizzato dei propri debiti. Può prevedere anche la cessione di una parte del patrimonio e, eventualmente, anche uno stralcio dei debiti. E’ approvato e reso esecutivo, mediante omologa, dal Giudice, con propria autonoma decisione.

L’accordo del debitore, che può essere presentato da enti e imprese non fallibili. Ha caratteristiche simili al piano del consumatore, con l’unica, grande differenza, di richiedere che l’accordo sia accettato da tanti creditori che rappresentino il 60% di tutti i debiti del soggetto. Quindi, non decide soltanto il Giudice, ma votano i creditori.

Infine, la Legge 3/2012 contempla una procedura che prevede la liquidazione del patrimonio del debitore. Con la liquidazione del patrimonio, il debitore (privato o soggetto non fallibile) mette a disposizione tutto il suo patrimonio per il pagamento dei suoi debiti. Un liquidatore nominato dal Tribunale provvederà a vendere tutti i suoi beni e pagare, pro-quota, tutti i suoi debiti.

In questo caso, il debitore, perde tutti i suoi beni, potendo mantenere soltanto:

1) i beni che, per Legge, non possono essere pignorati

2) i crediti di carattere alimentare e di mantenimento

3) i crediti che non sono pignorabili ai sensi dell’art. 545 del Codice di Procedura Civile

4) i frutti derivanti dall’usufrutto dei beni dei figli e i beni costituiti in fondo patrimoniale e i loro frutti

5) gli stipendi, i salari e le pensioni che il debitore guadagna con la propria attività, nei limiti di quanto occorre al mantenimento della famiglia, così come stabilito dal Giudice.

 

Ci sono soggetti esclusi dall’utilizzo della Legge 3/2012?

Si, ci sono. Si tratta dei seguenti soggetti:

  • soggetti sottoposti a procedure concorsuali;
  • soggetti che hanno già utilizzato la Legge 3/2012 negli ultimi 5 anni
  • soggetti che erano stati ammessi ai benefici della Legge 3/2012, ma che, per fatti a loro imputabili, si sono visti revocare il provvedimento
  • soggetti che non hanno fornito tutta la documentazione necessaria a ricostruire la loro situazione patrimoniale e economica.

Quest’ultima categoria è, a nostro parere, la più importante e ci consente di sancire una regola aurea di chi si avvicina alla Legge 3/2012: dire tutto e dire la verità su tutto.

Nel corso delle diverse procedure, infatti, ogni problema può essere affrontato e risolto, se conosciuto.

Se, invece, emergono elementi che erano stati tenuti nascosti, il debitore può veder revocato il provvedimento a suo favore e rendere vano ogni sforzo, correndo anche il rischio di commettere reato.

Come presentare la domanda di ammissione alla Legge 3/2012?

Per rispondere a questa domanda, occorre fare una piccola premessa. L’art. 15 della Legge 3/2012, prevede la costituzione degli Organismi di Composizione della Crisi (O.C.C.), che sono promossi da Enti pubblici, Camere di Commercio o Ordini Professionali e hanno le competenze professionali necessarie ad accompagnare il debitore nella redazione della proposta di composizione della sua situazione di sovraindebitamento e nell’esecuzione della stessa. Gli O.C.C., ad oggi, non sono presenti in tutta Italia ma solo in alcune città. Dove gli O.C.C. non sono ancora stati costituiti, il Tribunale provvede alla nomina di un professionista (avvocato, commercialista o notaio) che ne svolge il ruolo. La domanda deve essere presentata presso il Tribunale di competenza del Comune di residenza o alla sua sede principale (per il consumatore vale la residenza).

Il soggetto, quindi, dovrà verificare se nella circoscrizione del Tribunale competente per il proprio Comune di residenza sono stati costituti uno o più O.C.C.

 In questo caso egli dovrà presentare la propria domanda ad uno degli O.C.C. a sua scelta, altrimenti, dovrà presentare al Tribunale competente (Cancelleria della Volontaria Giurisdizione) una domanda per la nomina di un professionista incaricato di svolgere le funzioni di O.C.C. Con la presentazione della domanda, all’uno o all’altro ente, ha inizio la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.

C’è bisogno di avvocato o commercialista?

La Legge 3/2012 non prevede vincoli e, quindi, niente impedisce al debitore di presentare la propria proposta senza alcuna assistenza tecnica. Un’esperienza ormai pluriennale, però, ha dimostrato che questa non è una scelta molto saggia. Le procedure di composizione, infatti, hanno un contenuto e un linguaggio tecnico molto pregnante, che, quasi mai il debitore è un grado di fronteggiare da solo. Il soggetto sovraindebitato, infatti, può decidere di presentare una domanda molto semplice, oppure, molto più opportunamente, può accompagnare la domanda con una relazione, corredata da documentazione, con la quale fornisce tutte le informazioni generali e delinea i contenuti della proposta di composizione della crisi.

Questa scelta ha molti vantaggi:

1) Consente al debitore di raccogliere con calma tutta la documentazione necessaria, di riflettere sulla propria situazione finanziaria e di calibrare al meglio la proposta;

2) Accorcia i tempi della procedura;

3) Consente al debitore di ricevere dall’O.C.C. o dal professionista incaricato una indicazione attendibile dei costi della procedura;

4) Consente di concentrare il lavoro dell’O.C.C. o del professionista incaricato su una proposta di soluzione della crisi che il debitore ritiene accettabile. È improbabile che un soggetto non esperto sia in grado di fare tutto questo in modo efficiente.

Bisogna tenere conto che la proposta di composizione della crisi da sovraindebitamento richiede di analizzare dal punto di vista giuridico e economico–finanziario, tutte le poste a credito e a debito del patrimonio del soggetto e, inoltre, per il consumatore, richiede anche di esaminare le ragioni che hanno condotto alla situazione di sovraindebitamento al fine di valutare la assennatezza dei comportamenti tenuti e la meritevolezza del debitore.

Tutto questo richiede il supporto di un team che comprenda almeno un legale e un commercialista e, per il consumatore, anche un minimo di sostegno psicologico, perché l’impatto della procedura sugli aspetti della vita privata del soggetto rischiano spesso di essere molto pesanti. Inoltre, nella maggior parte dei casi le poste di debito più rilevanti sono quelle nei confronti degli istituti di credito e delle società finanziarie.

Per questi debiti, è sempre opportuno effettuare una verifica sulla correttezza delle condizioni applicate, infatti, situazioni di anatocismo/usura o, addirittura, di usura, devono essere evidenziate nel corso della procedura per richiedere ed ottenere stralci del debito.

Qual è il contenuto della proposta di composizione della crisi da sovraindebitamento?

Il contenuto della proposta di accordo del debitore o di piano del consumatore prevede, in sostanza, una ristrutturazione dei debiti.

Questa ristrutturazione si concretizza essenzialmente in una rateizzazione del pagamento (è possibile prevedere anche una moratoria per un massimo di un anno) spalmandolo su un periodo di tempo che può essere anche molto lungo.

Lo scopo è quello di ricreare un equilibrio tra le rate mensili dei debiti da pagare e il flusso delle entrate del soggetto. Spesso, per fare questo, è necessario prevedere anche la cessione di alcuni beni (per esempio immobili) e/o crediti (tipicamente il TFR), in modo da ridurre la massa dei debiti da gestire.

Si tenga conto che con il deposito della proposta, sono sospesi gli interessi convenzionali o legati sui crediti non assistiti da ipoteca, pegno o privilegio e che, in molte occasioni è stato possibile ottenere rateazioni lunghissime (anche 30 anni) e senza interessi.

Unitamente alla proposta, devono essere presentati i seguenti documenti:

1) Elenco di tutti i creditori, con indicazione delle somme dovute (serviranno copia di tutti i contratti di finanziamento e di tutti i documenti da cui originino debiti);

2) Elenco di tutti i beni di proprietà del debitore (beni immobili, mobili, crediti), con indicazione di una loro valutazione (serviranno visure ipotecarie e catastali, visure P.R.A., documentazione fotografica dei beni mobili, sintetiche valutazioni dei beni);

3) Elenco eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi 5 anni (vendite, donazioni, ecc…);

4) Dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni;

5) Attestazione sulla fattibilità della proposta rilasciata dall’O.C.C. o dal professionista facente funzioni;

6) Elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e della sua famiglia, come risultante dal certificato di stato di famiglia (servirà copia della documentazione comprovante le spese mensili).

Per il debitore che ha svolto attività di impresa devono essere allegate ancora:

7) Le scritture contabili degli ultimi 3 esercizi, unitamente ad una dichiarazione che ne attesta la conformità agli originali.

Per il consumatore, invece, deve essere allegata:

8) Una relazione particolareggiata, redatta dall’OCC o dal professionista incaricato, che deve:

  • spiegare perché il consumatore ha assunto debiti che non è stato in grado di fronteggiare e se nel farlo ha tenuto un comportamento diligente;
  • spiegare per quale ragione il consumatore non è in grado di far fronte ai propri debiti (magari perché nel frattempo ha perduto il lavoro);
  • dare un resoconto sul comportamento del consumatore negli ultimi 5 anni, in termini di solvibilità e rispetto degli impegni presi;
  • evidenziare se ci sono atti posti in essere dal consumatore e impugnati dai creditori;
  • fornire un giudizio sulla completezza e sulla attendibilità dei documenti presentati dal consumatore;
  • fornire un giudizio sulla probabile convenienza, per i creditori, del piano rispetto alla liquidazione del patrimonio del consumatore.

Gli ultimi due punti dell’elenco ci consentono di fornire altre due precisazioni importanti, che vanno nella direzione della necessità di una assistenza tecnica per il sovraindebitato:

  • i documenti e le dichiarazioni fornite nel corso della procedura debbono essere complete e veritiere. Sono previste ipotesi di reato per dichiarazioni incomplete e/o mendaci.
  • l’interesse principale per la procedura è, e rimane sempre, quello di garantire ai creditori la migliore soddisfazione possibile.

È vero che questo obiettivo deve essere contemperato con la sostenibilità dei pagamenti per il debitore, ma va sempre dimostrato che la proposta presentata consente di soddisfare i creditori meglio rispetto alla vendita di tutti i beni del debitore.

Come si svolge la procedura?

Il Giudice, con proprio decreto, fissa la data dell’udienza che deve tenersi entro 60 giorni dalla data di presentazione della proposta.

Con il proprio decreto il Giudice determina anche i primi elementi della procedura.

In particolare:

1) può disporre che, sotto pena di nullità, non possano essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali;

2) dispone la comunicazione della convocazione dell’udienza ai creditori.

Nel caso dell’accordo del debitore (quando il sovraindebitato non è un consumatore), i creditori devono far pervenire all’O.C.C. (o al professionista facente funzioni), entro 10 giorni da quello fissato per l’udienza, la propria decisione in merito alla proposta. Vale in principio del silenzio assenso: chi non risponde accetta la proposta.

I creditori per i quali la proposta prevede il pagamento integrale, non hanno diritto di voto e non sono computati ai fini del calcolo della maggioranza. Fatte tutte le verifiche in tema di meritevolezza del debitore e di fattibilità del piano (e nel caso dell’accordo del debitore, se è stato ottenuto il voto favorevole del 60% dei crediti) e valutate eventuali opposizioni da parte dei creditori, il Giudice, nel corso dell’udienza, omologa la proposta di composizione della crisi.

In questa sede, il Giudice può prendere provvedimenti aggiuntivi quali, per esempio:

  • stabilire particolari forme di pubblicità degli esiti della procedura (es. pubblicazione sui quotidiani locali);
  • limitare la possibilità del debitore di intrattenere rapporti con il sistema creditizio (es. divieto di apertura di conti correnti bancari non controllati dall’O.C.C. e/o divieto di ricorrere al credito);
  • prevedere particolari modalità operative di esecuzione dell’accordo/piano. Dopo l’omologa, l’accordo del debitore o il piano del consumatore vengono eseguiti sotto la vigilanza dell’O.C.C. o del professionista facente funzione.

Eventuali azioni poste in essere dal debitori in violazione dell’accordo/piano, non sono opponibili ai creditori e possono condurre anche alla revoca del provvedimento omologato, con tutte le conseguenze negative del caso (ripresa delle azioni esecutive, impossibilità di ricorrere nuovamente alla Legge 3/2012).

Mentre, se l’esecuzione dell’accordo/piano diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore (per esempio perché perde il lavoro), quest’ultimo, con l’aiuto dell’O.C.C., può modificare la proposta.

Con la completa esecuzione di quanto previsto nell’accordo/piano, il debitore viene liberato dai propri debiti.

Questo effetto di liberazione dai debiti (esdebitazione) avviene anche se l’accordo/piano non prevedeva il pagamento integrale di tutti i debiti stessi.

Quanto costa il ricorso alle procedure di cui alla Legge 3/2012?

Per prima cosa ci sono dei costi fissi, da sostenere all’inizio della procedura.

Questi costi variano a seconda che la domanda sia presentata a un Organismo di Composizione della Crisi oppure al Tribunale (laddove l’O.C.C. non è ancora stato creato).

Per la presentazione della domanda a un O.C.C. o in Tribunale,, servirà il versamento di un acconto sul compenso del professionista incaricato, che solitamente è non inferiore di € 400,00 oltre al versamento del diritto unificato ordinario di €. 98,00 ed una marca da bollo di €. 27,00.

Ulteriore diritto unificato e marca da bollo all’atto della presentazione della proposta in Tribunale.

Per l’assistenza tecnica, che abbiamo visto essere necessaria, consigliata ma non obbligatoria, per la presentazione della proposta, ci saranno da prevedere i compensi per i professionisti che prestano tale assistenza.

Ovviamente questo può differire secondo il mercato, ma esistono organizzazioni che forniscono questi servizi per costi, che possono variare dalla complessità della proposta e, spesso, dal numero dei soggetti coinvolti, a partire da € 1.600,00 sia per un piano del consumatore che per un accordo del debitore.

Infatti, se ci sono dei soggetti che a qualunque titolo sono co-obbligati con il debitore, essi non vengono liberati dalla definizione della proposta di composizione della crisi e corrono il rischio di vedersi richiedere il pagamento dai creditori garantiti.

In questi casi occorre estendere la presentazione della proposta di composizione anche ai soggetti co-obbligati.

Infine, sono previsti i compensi per l’O.C.C. (o per il professionista facente funzioni).

Tali compensi dipendono dalla massa attiva e passiva della proposta e vengono così:

– Per il piano del consumatore e per l’accordo del debitore e per la liquidazione del patrimonio del debitore sono pari al compenso del commissario liquidatore di un concordato preventivo, ridotto dal 15% al 40%

È evidente, quindi, che le procedure di cui alla Legge 3/2012 possono avere un costo significativo, ma occorre tenere conto del fatto che compensi per assistenza tecnica e compensi per O.C.C. (o professionista facente funzioni) non devono necessariamente essere pagati prima della procedure e in un’unica rata, ma possono essere inseriti nella rateizzazione del piano, all’interno del quale saranno pagati in prededuzione.

 

Il sovraindebitamento e il Piano del consumatore.

Il piano del consumatore ha un ruolo centrale nella risoluzione delle situazioni di sovraindebitamento.

Il Gestore deve consigliare il debitore a formulare una proposta che ritiene omologabile e, laddove le disponibilità patrimoniali messe a disposizione o la situazione concreta non lo consentano, deve proporre al debitore di accedere ad un’altra procedura, oppure rinunziare all’incarico.

Occorre cioè che egli abbia già appurato l’ammissibilità, la diligenza/meritevolezza del debitore e la fattibilità del piano.

In definitiva l’illustrazione del piano del consumatore esposto nella relazione del Gestore conterrà:

  • l’indicazione della proposta in termini di messa a disposizione di elementi patrimoniali e reddituali;
  • l’eventuale intervento di terzi; le garanzie offerte e gli eventuali depositi cauzionali;
  • l’eventuale necessità della nomina del liquidatore, da effettuare col decreto di omologa o successivamente;
  • la tempistica prevista per l’esecuzione degli eventuali atti di liquidazione e dei pagamenti;
  • l’eventuale divisione in classi;
  • le somme che vengono attribuite a ciascun creditore.

Contenuti della relazione particolareggiata nel Piano del consumatore

L’articolo 9, comma 3-bis, della l. 3/2012, prescrive che al piano del consumatore deve essere allegata una relazione particolareggiata dell’OCC.

La relazione dell’OCC (o, meglio, del Gestore) nell’accordo con i creditori, si limita all’eventuale attestazione del minor valore di mercato dei beni rispetto ai crediti muniti di privilegio sui beni stessi (art 7, comma 1) ed alla fattibilità del piano (art. 9, comma 2).

Il contenuto è costituito da:

  1. Dichiarazioni preliminari
  2. Narrazione di fatti e notizie, desumibili dall’esame della documentazione prodotta dal debitore e da quella acquisita dal Gestore della crisi
  3. Valutazioni del Gestore
  4. Elenco dei creditori indicati dal debitore nel ricorso per l’apertura della procedura
  5. Dichiarazioni fiscali degli ultimi tre anni – contenzioso pendente – ricostruzione della posizione fiscale del richiedente
  6. Atti di disposizione patrimoniale compiuti negli ultimi cinque anni
  7. Composizione del nucleo familiare del debitore – spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia

 


 

Di seguito esaminiamo nel dettaglio i punti che il Gestore è chiamato a relazionare.

Dichiarazioni preliminari.

Fanno parte delle dichiarazioni preliminari:

  • l’indicazione del numero di procedimento iscritto al Registro degli affari ex art. 9 del d.m. 202/2014;
  • il richiamo degli estremi del provvedimento di nomina del Gestore della crisi da parte del Referente dell’OCC (o del Tribunale);
  • se il Gestore è iscritto da un OCC, la sua dichiarazione circa il possesso dei requisiti di professionalità e di onorabilità; l’indicazione degli estremi della polizza a copertura dei rischi di responsabilità civile professionale;
  • il richiamo dell’accordo sul compenso, raggiunto dall’OCC col debitore;
  • la dichiarazione del Gestore che sia nei confronti del debitore che dei suoi creditori, non versa in una situazione prevista dall’articolo 51 c.p.c., che ne comprometta la propria indipendenza, imparzialità o neutralità rispetto all’incarico conferitogli.

Narrazione di fatti e notizie, desumibili dall’esame della documentazione prodotta dal debitore e da quella acquisita dal Gestore della crisi.

La narrazione dei fatti e delle notizie emerse dall’esame della documentazione che è stata consegnata al Gestore, o da lui acquisita successivamente nell’ambito della sua attività di indagine, è finalizzata all’espressione delle sue valutazioni e delle attestazioni finali circa i presupposti di ammissibilità del debitore al piano, l’inesistenza di cause ostative, le cause dell’indebitamento, l’incapacità del debitore di adempiere alle sue obbligazioni, la solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni, l’eventuale esistenza di atti impugnati dai creditori, la completezza e attendibilità della documentazione, la convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria e l’assenza di atti in frode ai creditori.

La narrazione deve fornire al giudice delegato gli elementi che gli consentano di valutare l’iter adottato dal Gestore per giungere alle sue conclusioni e la completezza della relazione, affinché possa assumere il provvedimento sull’ammissibilità del ricorso, l’apertura della procedura e la fissazione dell’udienza prevista dall’articolo 12-bis della l. 3/2012.

 

Valutazioni del Gestore.

Le valutazioni del Gestore riguardano i fatti e le notizie esposti nella sua relazione ed hanno per oggetto:

  • elenco dei creditori indicati dal debitore nel ricorso per l’apertura della procedura;
  • dichiarazioni fiscali degli ultimi tre anni;
  • contenzioso pendente;
  • ricostruzione della posizione fiscale del richiedente;
  • atti di disposizione patrimoniale compiuti negli ultimi cinque anni;
  • composizione del nucleo familiare;
  • spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia;
  • cause dell’indebitamento e diligenza spiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni;
  • ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere alle obbligazioni assunte;
  • solvibilità del debitore nel quinquennio anteriore alla presentazione del ricorso;
  • atti del debitore impugnati dai creditori;
  • completezza e attendibilità della documentazione;
  • piano del consumatore proposto dal debitore;
  • convenienza del piano rispetto all’ alternativa liquidatoria;
  • giudizio professionale sulla fattibilità del piano;
  • attestazione dell’assenza delle cause ostative previste dall’articolo 7, comma 2, della l. 3/2012.

 

Esdebitazione del sovraindebitato incapiente.

Una norma del nuovo Codice della Crisi che sta sollevando un ampio dibattito in dottrina è quella rubricata come “Esdebitazione del sovraindebitato incapiente” contenuta nell’art. 283 del D.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019.

Come per la maggior parte delle norme del Codice della Crisi anche l’articolo 283 dovrebbe entrare in vigore il 1 settembre 2021.

La dottrina più attenta ha affermato che l’istituto in questione presenta una notevole conformazione di carattere sociale, poiché permetterà al debitore ormai “bruciato” dal punto di vista economico e lavorativo di “ripulirsi” e di rimettersi competitivamente sul mercato, potendo produrre nuovi redditi, fondamentali, anche, per adempiere, nel quadriennio successivo, al pagamento dei creditori concorsuali.

Venendo all’analisi dettagliata dell’istituto, si evidenzia come il primo comma dell’articolo reciti: “Il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all’esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice laddove sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore complessivamente al dieci per cento.

Non sono considerate utilità, ai sensi del periodo precedente, i finanziamenti, in qualsiasi forma erogati”.

Dalla lettura si evince immediatamente come l’istituto sia fruibile esclusivamente dal soggetto persona fisica. Il legislatore ha voluto escludere, pertanto, società, associazioni ed enti di qualsiasi natura o genere.

Il debitore incapiente persona fisica deve essere in una situazione tale da non poter mettere a disposizione dei propri creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura.

La valutazione circa l’impossibilità di porre a disposizione dei creditori un’utilità diretta o indiretta dovrà avere necessariamente una stima ex ante, svolta al momento del deposito della domanda.

Come si vedrà nell’analizzare il secondo comma dell’art. 283, l’assenza di utilità dirette o indirette non deve essere interpretata come la mancanza assoluta di reddito o patrimonio in capo al soggetto incapiente.

Il debitore, infatti, non dovrà necessariamente essere privo di qualsiasi reddito o patrimonio ma, seppur presenti, non dovranno essere tali da costituire alcuna utilità, nemmeno in prospettiva futura, per i creditori.

Fermo, quindi, quanto si dirà in merito al secondo comma del citato articolo, una lettura corretta della norma pare ammettere che anche un soggetto titolare di un modesto ed irrilevante patrimonio immobiliare potrebbe richiedere l’applicazione della norma, ma sempre a condizione che lo stesso non produca alcuna utilità diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, ai propri creditori.

Si pensi ad esempio, comune nella pratica, ad un debitore titolare di una quota, insieme ai propri fratelli e sorelle, di un immobile completamente diroccato ubicato in uno sperduto borgo di montagna precedentemente di proprietà dei genitori defunti del sovraindebitato.

La quota del citato immobile non avrebbe alcuna utilità per i creditori, i quali, anche se venduto all’asta, proprio a causa del valore pressoché nullo dell’immobile e della quota, non vedrebbero nemmeno coperte le spese della procedura liquidatoria. Il secondo periodo dell’art. 283 fa salvo comunque l’obbligo per il debitore di pagare i propri debiti se, entro quattro anni dal decreto di esdebitazione, sopraggiungano utilità, comunque denominate, che se liquidate consentano il soddisfacimento dei creditori nella misura non inferiore, complessivamente, al dieci percento dei propri debiti. Tale assunto è ovviamente una precisazione di buon senso, poiché non è detto che un debitore che ad oggi risulti totalmente incapiente non possa, anche per effetto dello stesso decreto di esdebitazione, conseguire utilità che gli permettano di pagare almeno in parte i propri debiti.

Il primo comma si conclude poi con un inciso che evidenzia come non possano considerarsi utilità, finanziamenti in qualsiasi forma erogati. Tale disposizione appare quanto mai opportuna, ma forse sarebbe stato più utile vietare al debitore incapiente di sottoscrivere nuovi finanziamenti nell’arco del periodo cosiddetto “di controllo” dei quattro anni previsti dalla normativa Il secondo comma dell’articolo 283 precisa, invece, che “La valutazione di rilevanza di cui al comma 1 deve essere condotta su base annua, dedotte le spese di produzione del reddito e quanto occorrente al mantenimento del debitore e della sua famiglia in misura pari all’assegno sociale aumentato della metà moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza dell’ISEE di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159”.

Il citato comma offre due chiavi di lettura dell’istituto dell’esdebitazione del debitore incapiente.

Da un lato, infatti, precisa che le utilità rilevanti che sopraggiungano nel corso del periodo di controllo devono essere valutate su base annua e che alle stesse devono essere dedotte le spese per la produzione del reddito e quanto necessario al mantenimento del debitore stesso e della sua famiglia nella misura, preordinata per legge, dell’assegno sociale aumentato della metà e moltiplicato per il parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza dell’ISEE.

Dall’altro lato, invece, conferma che un soggetto che in futuro sarà titolare esclusivamente di un reddito da lavoro o da pensione potrà accedere all’istituto e che le somme percepite dovranno essere messe a disposizione dei creditori, al netto delle spese per la produzione del reddito e nella misura eccedente quanto necessario per il mantenimento proprio e della propria famiglia secondo il calcolo previsto dalla norma stessa.

Al comma 3 l’articolo in commento evidenzia le modalità di accesso all’istituto. Il legislatore precisa che la domanda dovrà essere presentata tramite l’OCC al giudice competente, escludendo in questo modo la necessaria assistenza di un avvocato e dovrà allegare la seguente documentazione:

  • elenco di tutti i creditori con l’indicazione delle somme dovute;
  • elenco degli atti di straordinaria amministrazione compiuti negli ultimi cinque anni;
  • copia delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni;
  • l’indicazione degli stipendi, pensioni, salari e di tutte le altre entrate del debitore e del suo nucleo famigliare.

L’elenco dei documenti previsti dalla normativa da allegarsi alla domanda presuppone che l’OCC abbia previamente svolto un’approfondita istruttoria circa le passività e le attività del debitore.

Tale attività, se svolta in maniera corretta, richiederà comunque del tempo e ciò fa sì che venga escluso che questo istituto possa ritenersi un possibile stratagemma mediante il quale i debitori possano meramente giungere a bloccare eventuali azioni esecutive già pendenti in attesa di verificare l’effettiva meritevolezza dell’incapiente.

Al comma 4 la norma richiede che l’OCC alleghi, oltre alla documentazione che abbiamo appena visto, anche una relazione particolareggiata con la quale si indichi la causa dell’indebitamento e la diligenza del debitore nell’aver assunto le obbligazioni; le ragioni dell’impossibilità per il debitore di adempiere alle obbligazioni assunte; l’esistenza di atti del debitore impugnati da creditori; una valutazione sulla completezza ed attendibilità della documentazione depositata con la domanda.

Come poco sopra accennato, l’attività richiesta all’OCC e la redazione della relazione di accompagnamento necessitano un’istruttoria completa della posizione del debitore così che possa essere accertata la complessiva situazione attiva e passiva dello stesso. Il comma 5 prevede, inoltre, che l’OCC non si limiti a verificare la meritevolezza del debitore e la sua posizione attiva e passiva, ma che valuti anche se l’eventuale soggetto finanziatore (Banca e/o finanziarie), al momento dell’erogazione del credito ad un soggetto in gravi difficoltà finanziarie, avessero tenuto conto del merito creditizio del soggetto richiedente, mediante una valutazione del reddito disponibile dello stesso al netto delle spese per la sua produzione, unitamente a quanto necessario per il mantenimento proprio e della propria famiglia, secondo i parametri previsti nel secondo comma.

Seppur non si possa negare che la previsione del legislatore sia innovativa e interessante anche al fine di stigmatizzare il comportamento di quegli enti creditizi, soprattutto finanziarie, che per troppo tempo hanno concesso finanziamenti a soggetti del tutto incapaci di restituire il credito, non risulta aver previsto una sanzione nel caso in cui tale condotta venga concretamente accertata.

A differenza dell’art. 69 in tema di ristrutturazione dei debiti del consumatore, che espressamente esclude per il creditore che abbia colpevolmente determinato o aggravato la situazione di sovraindebitamento la possibilità di proporre opposizione o reclamo in sede di omologa del piano, l’art. 283 tace completamente sul punto.

Non sono state previste dal legislatore nemmeno sanzioni pecuniarie e/o “pubblicitarie” per quei soggetti finanziatori che non abbiano tenuto conto del merito creditizio del debitore nella concessione del finanziamento. Una sanzione che di certo avrebbe indotto gli enti finanziatori ad una maggiore cautela nell’erogazione del credito sarebbe stata quella di una segnalazione presso l’ABF per l’avvio di una decisione dello stesso e una pubblicazione sul sito istituzionale.

Al comma 6 il legislatore pare manifestare un orientamento di sfavore nei confronti dei professionisti che dovranno seguire queste procedure in quanto, a spregio della comunque elevata attività che l’OCC è chiamato a svolgere e della sua complessità, ritiene di dimezzare i già non elevati compensi dell’OCC.

Il comma 7 evidenzia, invece, l’attività che dovrà compiere il giudice una volta presentata la domanda con i relativi allegati e la relazione di accompagnamento dell’OCC.

Il magistrato assunte, anche d’ufficio, le informazioni che ritiene utili, valutata la meritevolezza del debitore, l’assenza di atti in frode e la mancanza di dolo o colpa grave nell’indebitamento del soggetto ricorrente concede con decreto l’esdebitazione.

Il decreto dovrà contenere anche le modalità e il termine annuale per la presentazione della dichiarazione sulla sopravvenienza di utilità rilevanti pervenute.

Tale dichiarazione è considerata necessaria a pena di revoca del decreto di esdebitazione, ma dalla lettura attenta del comma sembrerebbe non essere necessaria nel caso in cui non vi siano state sopravvenienze nel corso dell’anno. A parere di chi scrive sarebbe stato più utile imporre in ogni caso il deposito di una relazione annuale attestata dall’OCC in merito all’assenza di utilità sopravvenute, ma tale verifica è – a oggi – rimessa ai sensi del comma 9 esclusivamente nel caso in cui il Giudice lo ritenga necessario nel corso dei quattro anni.

Il Decreto del Giudice dovrà poi essere comunicato si presume, nel silenzio della legge, dall’OCC, ai creditori e al debitore i quali potranno proporre opposizione nel termine di trenta giorni.

Anche in questo caso parrebbe che l’opposizione possa essere presentata senza l’ausilio di un avvocato.

Il secondo periodo del comma 8 rimane, invece, in parte ambiguo poiché non si comprende, sebbene così sembrerebbe, se lo stesso disciplini il procedimento di opposizione. Il predetto comma recita: “[…] decorsi trenta giorni dall’ultima comunicazione, il giudice, instaurato nelle forme ritenute opportune il contradditorio tra i creditori opponenti ed il debitore, conferma o revoca il decreto […]”.

Non si comprende l’inciso “decorsi trenta giorni dall’ultima comunicazione” in quanto non è detto che opposizioni vi siano. In ogni caso, la decisione è soggetta a reclamo ai sensi dell’art. 50 del Codice della Crisi e, anche in questo caso, parrebbe non essere necessaria l’assistenza di un avvocato: diversamente non si comprenderebbe il motivo per cui se la difesa tecnica non sia stata considerata utile e necessaria fino a questa fase del procedimento dovrebbe esserlo in questa fase finale, dove ormai tutta la documentazione è già stata prodotta ed è, pertanto, immodificabile. Due considerazioni conclusive.

La prima riguarda la novità intrinseca dell’istituto che non ha precedenti nell’ordinamento italiano. L’orientamento del legislatore, ormai quindicinale e consolidato, che propende per offrire una seconda chance o un free restart al debitore onesto, ma sfortunato, si è spinto fino ad ammettere, per ora solo sulla carta, una completa esdebitazione per il debitore che non abbia alcuna utilità da offrire ai creditori per il soddisfacimento dei propri debiti.

Quanto previsto dall’art. 283 potrebbe avere un ambito di applicazione vastissimo e permettere ad una serie di debitori di liberarsi dai propri debiti, ma affinché tale rivoluzione sia veramente compiuta sarà necessario attendere le effettive applicazioni pratiche dell’istituto.

Un esempio su tutti: ci si chiede se l’esdebitazione del debitore incapiente varrà anche per tutti i debiti tributari e per quelli da fatto illecito extracontrattuale, oggi esclusi dall’esdebitazione ex art. 142 e ss L.F.

Una prima lettura della norma farebbe propendere per l’esclusione dei debiti da fatto illecito contrattuale trovando applicazione all’istituto dell’esdebitazione del debitore incapiente quanto previsto nell’art. 278 CCI. Sarebbe, viceversa, certamente un importante ausilio per il debitore il poter liberarsi da debiti provenienti da responsabilità extracontrattuali o per sanzioni amministrative non derivanti da mancati pagamenti di tributi ma da violazioni di norme amministrative.

Solo in quest’ultimo caso l’istituto potrebbe esplicare tutta la sua forza. In caso contrario rimarrà imbrigliato e la sua portata, seppur innovativa, verrà certamente ridimensionata.

La seconda considerazione riguarda il ruolo dell’OCC che viene chiamato ad un compito gravoso e a un’istruttoria completa affinché si scongiurino abusi dell’istituto da parte di debitori immeritevoli.

Dalla lettura della norma, però, il ruolo di questo organismo, quale ausiliare imprescindibile del Tribunale e dei debitori, ne viene “mortificato” sancendo che, i già obbiettivamente bassi compensi previsti dalla normativa, vengano ulteriormente dimezzati.

Nella siffatta ottica sorge il dubbio che molti professionisti competenti e preparati rinunceranno a svolgere un ruolo all’interno degli OCC in quanto, da un lato, gli adempimenti da svolgere risultano complessi, gravosi e non privi di responsabilità e, dall’altro, vedranno il loro lavoro sminuito con compensi che nulla hanno a che vedere con quell’equo compenso che da più parti si chiede venga riconosciuto.

Equo compenso che altro non è che il legittimo riconoscimento a non vedere sminuite le competenze acquisite nel corso di svariati anni di studi, approfondimenti e di pratica concreta.

 

DOCUMENTAZIONE

Sistemi-di-informazioni-creditizie

Nuove Regole di definizione di Default

legge-3-12

la-difesa-tecnica-nelle-procedure-di-composizione-della-crisi-da-sovraindebitamento-a-cavallo-tra-la-l-n-3-del-2012-e-il-codice-della-crisi-di-impresa-e-dellinsolvenza

Importanti novità sulla disciplina del sovraindebitamento

il-sovraindebitamento-e-il-piano-del-consumatore-pdcdecreto-ristori-nuove-norme-sul-sovraindebitamento

Circolare n. 34 del 29 dicembre 2020 (2)

Legge-18-dicembre-2020-n176

La_Centrale_Rischi_buddybank-Nuova-Guida-Centrale-Rischi_IT

guida operativa crisi da sovraindebitamento

2021-01-13_le-recenti-novita-in-materia-di-sovraindebitamento

 

NOZIONI BASE

Ecco una lista delle principali fonti di finanziamento adatte, a quelle persone con difficoltà economiche che, per problemi vari, non hanno accesso al credito tramite le consuete vie bancarie. Attenzione trattandosi di operazioni di finanza innovativa applicata a situazioni complesse, le stesse vanno poste in essere con l’aiuto di consulenti seri, esperti e del settore.

Prestiti tra Privati.
I prestiti tra privati, con o senza garanzie ed in varie forme, sono oggi una realtà sempre più diffusa ed apprezzata, soprattutto perché permettono, anche a chi non può offrire le solite garanzie, richieste da banche e finanziarie, di ottenere un finanziamento.
Fondamentalmente si possono riassumere i diversi tipi di prestiti tra privati in 3 categorie principali:
• Prestito con scrittura privata
• Prestito con cambiali
• Social lending online
Prestito con scrittura privata.
Chi non può offrire le classiche garanzie (busta paga, reddito costante nel tempo, introiti fissi o contratti a tempo indeterminato) ha spesso difficoltà ad ottenere credito, per non parlare poi di chi è protestato o inserito nella lista dei cattivi pagatori. Il prestito tra privati può essere una soluzione. I prestiti personali tra privati in Italia sono legali, a condizione però, che si rispettino le regole prestabilite. La legge, non impone di redigere un contratto ma lo stesso, protegge dal rischio che i soldi prestati non vengano restituiti, quindi fa da garanzia, oltre a dimostrare all’Agenzia delle Entrate la natura e la motivazione del prestito concesso, pena l’accusa di evasione fiscale.
Prestito con interessi. Se il mutuatario è tenuto al pagamento di una quota di interessi, il prestito si definisce “oneroso” ed il valore del tasso di interesse può essere liberamente stabilito tra le parti. Attenzione però, l’art 2 della Legge 108/96 stabilisce un valore dell’interesse pagato oltre il quale si entra nel campo dell’usura. Il valore non è fisso, ma dipende da una serie di parametri che variano di mese in mese. Online esistono tanti calcolatori utili per conoscere la soglia oltre la quale l’interesse richiesto diventa usura. Se si ricevono degli interessi da un prestito personale tra privati, non è presente l’obbligo di registrazione del contratto presso l’Agenzia delle Entrate, ma è necessario la dichiarazione del valore degli interessi generati nella dichiarazione dei redditi. Quindi, anche se avviene in via del tutto occasionale, anche nel caso in cui sia presente un tasso di interesse minimo.
Prestito senza interessi. In questi casi, per evitare guai con l’Agenzia delle Entrate ed il Fisco, è bene certificare la natura dello spostamento di denaro mediante bonifico con una causale appropriata “prestito infruttifero”- in questo modo dimostreremo all’Agenzia delle Entrate la natura esclusivamente amichevole del versamento di denaro, quindi un’operazione non soggetta a tassazione, una scrittura privata e l’utilizzo della raccomandata con ricevuta di ritorno incrociata tra le parti, per certificare la natura non finanziaria del prestito privato senza garanzie effettuato. In pratica, si invia la scrittura privata al beneficiario mediante una raccomandata con ricevuta di ritorno, il beneficiario firmerà il contratto, la scrittura privata, e quindi farà la stessa cosa, inviando al creditore il tutto con raccomandata con ricevuta di ritorno.
Redditometro. Se si riceve una somma di denaro da un parente o da un amico e con quella somma si effettua una spesa incoerente con le nostre entrate, il Fisco e anche la Guardia di Finanza possono chiederci conto della cosa, grazie al redditometro uno strumento messo a punto dall’Agenzia delle Entrate per scovare le incongruenze tra stile di vita (entrate e uscite in conto corrente) e reddito dichiarato. L’obiettivo è ovviamente quello di trovare gli evasori fiscali. Nel caso di un prestito tra privati senza interessi, una scrittura privata, con data, entità e motivazione del versamento ricevuto, nei modi che abbiamo visto, ci mette al riparo dall’accusa di essere evasori fiscali.
Tassazione. Nel caso in cui la scrittura privata venga registrata come vero e proprio contratto di prestito tra privati, richiede un’imposta di bollo di 16 euro per ogni 4 facciate del contratto. È prevista anche un’imposta di registro equivalente al 3% dell’importo prestato, che va pagata entro 20 giorni dalla stipula del contratto. Se il prestito personale risulta fruttifero, l’imposta di registro si calcola sul totale del capitale più gli interessi generati. Oltre all’imposta di registro, è prevista anche una imposta dello 0,50% sulla garanzia ipotecaria e fidejussoria, con l’aggiunta di un’imposta ipotecaria del 2% sul valore dell’ipoteca, nel caso in vengano scelte queste soluzioni.
La Scrittura Privata. Il rapporto intercorrente tra creditore e debitore può essere regolato con una scrittura privata che obbliga il debitore a riconoscere quanto dovuto nei confronti del creditore e quindi la promessa di pagamento (art. n° 1988 del Codice Civile, ricognizione di debito e promessa di pagamento). La scrittura privata per legge non deve essere autenticata dal notaio nè registrata vanno inseriti: la data del documento, i dati anagrafici e di residenza, oltre al codice fiscale dei soggetti coinvolti, l’eventuale rapporto di parentela, le ragioni del finanziamento (opzionale, ma meglio precisare tutto), la somma erogata e le modalità di versamento (bonifico bancario, assegno e così via). Vanno aggiunte le date, se presenti, attestanti il periodo di rimborso del prestito e quindi la natura, fruttifera o meno, del finanziamento, compreso un eventuale piano rateale, le scadenze e se presenti gli interessi. Il contratto va completato con l’assegnazione del carico delle spese per la registrazione del contratto e la firma dei contraenti. Nel caso di mancato pagamento del debito, il creditore avrà in mano un titolo con valore legale che lo autorizza a chiedere il rimborso di quanto dovuto. Rispondendo all’articolo 1813 del Codice Civile, il contratto per un prestito tra privati con scrittura privata prevede le stesse regole del mutuo, nel caso in cui il capitale prestato non venga restituito. Dicitura obbligatoria. In testa al documento deve essere obbligatoriamente presente la dicitura “Contratto di mutuo ex art. 1813 C.C.”. Nel caso di prestito privato senza interessi, ad esempio tra parenti, va invece inserita la dicitura “Scrittura privata di prestito infruttifero tra familiari ex art. 1813 C.C”. Prestito tra coniugi. Questa particolare tipologia di finanziamento tra privati non prevede l’obbligo del beneficiario alla restituzione del capitale ricevuto, se non su base volontaria, in quanto il caso rientra nella tipologia cosiddetta “espressione di mutuo aiuto tra solidali”. Termine di prescrizione. Nella sostanza, anche nel caso di prestiti tra privati, valgono i tempi di prescrizione stabiliti per tutti i rapporti contrattuali. Quindi, il creditore può chiedere la restituzione dei soldi prestati al debitore entro e non oltre i 10 anni, sia nel caso che si tratti di persone a lui vicine, come parenti o amici, che estranei.
Prestito con cambiali.
I prestiti tra privati senza garanzie con cambiali hanno un costo non indifferente, oltre che presentare caratteristiche che espongono il beneficiario a misure immediate di riscossione del credito concesso. Certamente, tra le varie tipologie, i prestiti tra privati con cambiali sono la soluzione più adottata per chi non ha garanzie patrimoniali o di reddito, quindi protestati, cattivi pagatori, disoccupati e chiunque non possa adeguatamente garantire il creditore, come per esempio chi è senza busta paga oppure non ha adeguati introiti se è lavoratore autonomo. Non è necessaria nessuna scrittura privata, nessun contratto per intenderci, perché la cambiale offre tutte le garanzie possibili al prestatore. Una cambiale, nel caso in cui il debitore non onori il suo impegno a restituire il capitale ottenuto, permette di passare subito alla procedura di richiesta di pignoramento ed esproprio dei beni del soggetto insolvente. La cambiale è un vero e proprio titolo esecutivo, che dà la possibilità di saltare la normale trafila a cui devono sottostare banche e finanziarie quando il debitore non ripaga il finanziamento ricevuto. Nella sostanza non è necessario un decreto ingiuntivo del giudice, a patto che il documento cambiario sia stato compilato in tutte le sue parti essenziali e che sia presente l’imposta di bollo prevista per legge, diversa a seconda che si parli di tratta o pagherò, altrimenti la cambiale non è protestabile. Questo è un aspetto fondamentale. Una cambiale senza il bollo applicato sul retro non è considerata valida. Il valore della marca da bollo, da applicare al momento della firma, corrisponde al 12 per mille dell’importo della cambiale stessa, arrotondato per eccesso. A differenza di quanto avviene con i normali finanziamenti, i prestiti cambializzati risultano decisamente più flessibili. Se non si può o non si vuole pagare una rata mensile, se è stata scelta questa soluzione per il rimborso del prestito, si può semplicemente rinnovare la cambiale. Ovviamente la cosa non è gratuita, il creditore, in cambio della sua disponibilità a posticipare il pagamento, chiederà certamente un interesse aggiuntivo. I prestiti cambializzati si basano sul rimborso mediante le classiche cambiali, un tempo molto più diffuse rispetto ad oggi. Si tratta, in pratica, di veri e propri “pagherò”, con scadenze in genere mensili. La richiesta del prestito cambializzato può essere fatta anche online. Un consiglio importante, è quello di recarsi comunque prima presso la filiale della propria banca e chiedere come è possibile ottenere un prestito cambializzato, con o senza garanzie. Se guardiamo alle finanziarie, come Agos, Compass e così via, difficilmente si potrà richiedere un prestito con cambiali, in quanto queste aziende in genere rilasciano finanziamenti solo in presenza di garanzie ben precise, prime fra tutte una busta paga o un reddito costante se si è una partita iva. Diverso il discorso degli istituti di credito.
Prestito cambializzato per lavoratori dipendenti. Il requisito più richiesto per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, al fine di ottenere un prestito cambializzato, anche se sono protestati o cattivi pagatori, è il Tfr, il Trattamento di fine rapporto. Negli ultimi tempi le banche hanno cominciato a richiedere anche il modello Cud. In assenza di questo documento, a meno di impegnare qualche bene, difficilmente si potrà ottenere un prestito cambializzato da una finanziaria o banca che sia. In questi casi un qualcosa che garantisce l’istituto erogante il finanziamento è sempre richiesto come requisito, a differenza di quanto avviene tra privati.
Prestito cambializzato per lavoratori autonomi e ditte individuali. Nel caso di lavoratori autonomi viene richiesto il modello Unico, o comunque la dimostrazione di un reddito con una certa continuità. Alcune banche richiedono come requisito anche la sottoscrizione di un’assicurazione a garanzia del debito contratto.
Prestito cambializzato per pensionati. Il pensionato deve presentare il cedolino dell’ultima pensione o la certificazione INPS, oppure cercare un’alternativa nel caso in cui il credito richiesto ecceda, nel pagamento delle rate, il valore della sua pensione.
Prestito cambializzato per Disoccupati e lavoratori atipici. In questo caso, in genere, l’unico modo per ottenere un prestito cambializzato è quello di offrire la garanzia di un garante oppure di impegnare l’abitazione di proprietà, se esiste, ipotecandola. Una soluzione può essere quella del prestito tra privati, ma certo non ci si può aspettare di ottenere grandi cifre.
La cambiale pagherò. E’ un titolo di credito molto semplice nella sua struttura. Per definizione, si tratta di una promessa di pagamento che un soggetto, l’emittente, si assume nei confronti di un altro soggetto, il beneficiario. Il pagherò prevede, naturalmente, una scadenza indicata nella cambiale. Il beneficiario può o riscuotere quanto dovuto alla scadenza, oppure ha la possibilità di trasferire il pagamento ad altro soggetto effettuandone la girata. I soggetti interessati dal pagherò sono quindi due: l’emittente ed il beneficiario. La marca da bollo, va messa sul retro della cambiale al momento dell’acquisto. Di per sé il bollo non è obbligatorio, nel senso che non invalida il documento, ma ne vanifica la natura esecutiva del titolo, che è il suo maggior beneficio. Il costo da sostenere per la marca da bollo, quindi, consente di avere tra le mani un titolo di credito esecutivo, che in caso di insolvenza del debitore risulta essenziale per cercare di recuperare quanto dovuto, in quanto lo stesso risulterà protestabile. La marca da bollo si compra presso le tabaccherie che vendono valori bollati, autorizzate quindi anche alla vendita delle cambiali. Attenzione alle date: valgono le marche da bollo con data antecedente o corrispondente a quella della cambiale, non successiva. Il bollo della cambiale pagherò corrisponde all’11 per mille della somma indicata nel documento (il 12 per mille nella tratta), con un importo minimo di 0,50 euro ed un arrotondamento corrispondente a 10 centesimi per frazioni pari o superiori a 5 centesimi. Nel caso di pagamento della marca da bollo errato, il pagherò conserva la sua natura di titolo esecutivo se l’importo pagato è superiore a quanto dovuto, mentre perde questa caratteristica se l’errore è in difetto, in pratica se il costo del bollo è inferiore all’11 per mille della cifra da pagare indicata nella cambiale. Da tenete presente che il pagherò cambiario prevede la presenza obbligatoria di alcuni requisiti formali, vale a dire elementi della compilazione, che devono essere inseriti pena la mancata validità del documento esecutivo, con il rischio di non poter protestare la cambiale in caso di mancato pagamento e chiedere di escutere i beni del debitore. Gli elementi essenziali alla compilazione sono: il titolo, deve essere presente la dicitura “Cambiale”, la promessa di pagamento, va completata la formula “pagherò per questa cambiale” ed espressa la somma da pagare sia in cifre che in lettere, i dati dei soggetti contraenti, vanno inseriti nome e cognome dei soggetti coinvolti nel documento cambiario, vale a dire debitore e creditore e gli estremi identificativi del debitore, le date, è necessario inserire sia la data di emissione del pagherò che quella della scadenza del pagamento (a giorno fisso, a certo tempo data e a certo tempo vista). Se manca la data di scadenza, la cambiale si considera a vista, il luogo di pagamento, va indicato il luogo in cui avverrà il pagamento, che può essere sia il domicilio del debitore che un istituto bancario e la firma, il trattario deve apporre la sua firma.
La girata. Il pagherò cambiario si può girare utilizzando il retro della cambiale. In questo caso il beneficiario diventa il “girante” ed indirizza quanto gli spetta ad un terzo soggetto, il “giratario”. Si può effettuare questa operazione solo per l’intero importo della somma dovuta, non parzialmente. Il beneficiario deve naturalmente apporre la sua firma sul retro della cambiale, dove effettua la girata. L’avallo. Anche il pagherò può essere garantito da una terza persona, esattamente come un prestito o un mutuo. Nel caso di mancato pagamento del debito sarà il soggetto avallante ad accollarsi l’onere di pagare quanto dovuto. La marca da bollo. La mancata applicazione del bollo sul retro del pagherò, oppure una marca di costo inferiore a quanto dovuto, non inficia la validità della cambiale, ma ne invalida la natura esecutiva, quindi non si può più protestare.
Social Lendig online.
Il significato di social lending è “prestito sociale”, dove per sociale si intende una comunità di persone, privati e imprese, che salta l’intermediario finanziario e permette di accedere a risorse con un metodo peer to peer, punto per punto, dove domanda e offerta si incontrano direttamente. In Italia troviamo società come Smartika e Prestiamoci che garantiscono i loro servizi a investitori e richiedenti un prestito, su piattaforme online appositamente dedicate. Internet è infatti il terreno di conquista del social lending, in pratica non ci sono filiali e sportelli, ma comunità online. Tutto questo contribuisce a creare delle condizioni diverse dal solito mercato creditizio, il grande vantaggio, consiste nel fatto che, non essendoci dei mediatori, i tassi di interesse sono generalmente più convenienti rispetto a quelli richiesti da una banca o da una finanziaria, così come i tempi di erogazione del prestito, spesso molto veloci, anche immediati in certi casi e questo per molti è particolarmente importante. Attraverso una comunità online, ognuno può lanciare un’idea o un progetto che vuole realizzare, ed ogni investitore decide liberamente su quali progetti puntare, oppure lascia fare alla piattaforma con un sistema completamente automatizzato.
Leggi e normative. Dopo un iniziale periodo di vuoto di normative, cosa che ha portato anche ad abusi, il legislatore e la Banca d’Italia hanno deciso di occuparsi del settore dei prestiti personali tra privati online, anche se solo a grandi linee, in modo da dare garanzie ai creditori e stabilire diritti ai debitori. Per lo più si tratta di regole che le piattaforme online di p2p lending devono rispettare, mentre la normativa riguardante la restituzione delle somme erogate è quella classica dei prestiti tra privati.
Bankitalia sottolinea che per ora in Italia non esiste una normativa specifica per il mercato p2p lending, anche perché allo stato attuale non è richiesta dalla Comunità Europea. Ci sono però delle regole generali a cui il social lending deve rifarsi che normano l’operato delle piattaforme on line, dei finanziatori e dei debitori. In particolare, la Banca d’Italia ha messo in chiaro come il settore vada equiparato alle seguenti attività, ereditandone quindi leggi, regole e normative: raccolta del risparmio tra il pubblico – attività bancaria – erogazione di finanziamenti – mediazione creditizia – prestazione di servizi a pagamento – regole per le piattaforme online.
Tutte le piattaforme on line di social lending sono autorizzate dalla Banca d’Italia ad operare come istituti di pagamento veri e propri, di conseguenza con la specifica separazione tra il patrimonio dell’azienda e quello degli investitori. Inoltre, Bankitalia ha emanato una direttiva ad hoc relativa alla raccolta del risparmio di soggetti diversi dalle banche, delle regole da rispettare affinché l’attività di finanziamento, definita “collettiva”, avvenga con coerenza rispetto alle normali regole sulla raccolta del risparmio fra il pubblico. Quindi, l’equiparazione del social lendin, con il classico sistema di raccolta del risparmio tra il pubblico, inserisce il contesto dei prestiti tra privati online in un settore dove le regole e le normative sono ben presenti e chiare, sia per quanto riguarda gli investitori che i beneficiari, oltre naturalmente alle piattaforme online.
Piattaforme online Italiane autorizzate da Bankitalia.
Smartika Spa https://smartika.it/ diretta e coordinata da Banca Sella.
Prestiamoci SpA https://www.prestiamoci.it/ con ha sede a Milano, in Italia è ai primissimi posti tra le piattaforme online di social lending ed è una delle più performanti in Europa.
Prestiamoci è infatti una vera e propria piattaforma on-line di prestiti personali tra privati, dove ognuno può motivare le ragioni del capitale richiesto a seconda dei suoi bisogni. Da questo punto di vista è bene essere molto chiari e convincenti. Infatti, i Prestatori possono decidere sia di far lavorare in automatico la piattaforme sulla base di parametri scelti precedentemente (interessi, durata e tipologia del prestito, tra gli altri), che decidere personalmente a chi affidare i propri soldi.
Crowdfunding.
E’ una forma di finanziamento collettivo senza garanzie, utilizzato per finanziare nuove iniziative imprenditoriali, culturali, sociali, appartenenti al settore privato, publico o al campo del no-profit. E’ un sistema con cui più persone (folla o crowd) conferiscono somme di denaro (funding) attraverso una piattaforma online, senza quindi l’ausilio di consueti e intermediari, al fine di finanziare un progetto imprenditoriale o altre iniziative in una moltitudine di settori (immobiliare, artistico, culturale, scientifico o altruistico), ricevendo in cambio, un utile sperato o, comunque, un riconoscimento. In genere il crowdfunding, nel mondo delle imprese e delle startup, è molto legato all’innovazione tecnologica, con una forte componente ambientalista sviluppatasi negli ultimi anni.
Come funziona il crowdfunding. Non esiste un solo tipo di crowdfunding, ma sono disponibili varie forme di finanziamento collettivo, ognuna più adatta ad un contesto piuttosto che ad un altro e con un diverso funzionamento. Gli elementi che differenziano tale fenomeno dai canali tradizionali (es.: Venture Capital e Business Angels) possono essere individuati da un lato nella prevalente partecipazione di investitori non professionali e, dall’altro, nel mezzo scelto, ossia il ricorso a piattaforme on-line in cui si verifica l’incontro tra la domanda e l’offerta. Esistono diverse piattaforme, il cui numero è in continua crescita, alcune specializzate in determinati settori, chiamate “verticali” o “tematiche”, altre invece, dette “generaliste”, non specializzate in un singolo settore ma aperte a progetti di varia natura.
I diversi tipi di Crowdfunding.
Reward Crowdfunding (finanziamento collettivo per ricompensa). Si tratta in assoluto del sistema più diffuso e utilizzato per raccogliere risorse. Il significato del termine inglese “reward” è appunto “ricompensa” e prevede per chi investe, vale a dire chi contribuisce alla raccolta fondi lanciata per esempio, da una startup, una ricompensa, in genere di tipo “emozionale”, come un ringraziamento particolare o un richiamo al finanziatore con il proprio nome, in proporzione a quanto investito. Chiamata anche reward-based (tradotto dall’inglese: basato sulla ricompensa), questa soluzione offre un funzionamento con due alternative per il richiedente il finanziamento, sulle piattaforme di crowdfunding. La differenza la fa il raggiungimento dell’obiettivo o meno mediante due schemi: Keep-it-all e All-or-nothing. Keep-it-all, che significa “tieni tutto” e All-or-nothing, significa “tutto o niente”. Sono le piattaforme di crowdfunding a decidere quale schema adottare.
Keep-it-all. Lo schema “tieni tutto” prevede che il richiedente il finanziamento possa incassare quanto raccolto con il crowdfunding anche nel caso in cui l’obiettivo economico prefissato non abbia avuto successo, quindi anche se non è stata raggiunta la soglia di finanziamento richiesto. Lo schema keep-it-all prevede la percentuale corrisposta alla piattaforma (success fee) più alta in assoluto.
All-or-nothing. Lo schema “tutto o niente”, invece, dà la possibilità di incassare materialmente i fondi raccolti con il crowdfunding solo al raggiungimento dell’obiettivo economico che il richiedente si era preposto. Nella sostanza, nello schema all-or-nothing, come si evince dallo stesso significato letterale del termine, o si raggiunge la cifra richiesta sulla piattaforma oppure la raccolta fallisce ed al richiedente non spetta nulla.
Donation Crowdfunding (finanziamento collettivo per donazione). Generalmente utilizzato dalle organizzazioni senza scopo di lucro, questo sistema di crowdfunding si basa sul desiderio di un certo numero di persone di contribuire ad un progetto di carattere sociale, ambientale, umanitario o quant’altro. Per questa ragione il funzionamento del finanziamento collettivo per donazione non prevede una ricompensa. Non viene utilizzato come investimento, ma semplicemente per il piacere di dare un contributo ad una giusta causa.
Finanziamento collettivo civico. Questa tipologia di crowdfunding si sta diffondendo sempre di più e permette a vari soggetti istituzionali, come comuni, enti provinciali e altri, di raccogliere risorse per finanziare opere pubbliche, servizi al cittadino, infrastrutture e tutto quello che può essere di interesse generale. Attraverso il crowdfunding civico si può trasformare un’area dismessa in un parco pubblico, magari con annesso il parco giochi per bambini, oppure migliorare le strutture scolastiche o restaurare aree metropolitane di valore artistico.
Equity Crowdfunding (finanziamento sotto forma di capitale di rischio). Le società non quotate possono raccogliere risorse finanziarie adottando un modello di crowdfunding di questo tipo, il preferito dalle startup. Il funzionamento è relativamente semplice: l’investitore viene ripagato con una quota azionaria della società, o startup che sia, richiedente le risorse. Nella sostanza, se il Reward Crowdfunding è la soluzione migliore per le startup che cercano donatori disinteressati all’aspetto economico, l’Equity Crowdfunding è invece una soluzione valida per aziende già strutturate alla ricerca di risorse finanziarie al di fuori del classico circuito bancario, ma non mancano startup soprattutto impegnate in contesti particolarmente legati all’innovazione. Per capire meglio il discorso, riportiamo per intero la definizione di Equity-based Crowdfunding della Consob, la Commissione nazionale per le società e la Borsa. “Si parla di Equity-based Crowdfunding quando tramite l’investimento on-line si acquista un vero e proprio titolo di partecipazione in una società: in tal caso, la “ricompensa” per il finanziamento è rappresentata dal complesso di diritti patrimoniali e amministrativi che derivano dalla partecipazione nell’impresa.”
L’Equity Crowdfunding si avvale dello stesso sistema adottato dalle altre forme di finanziamento collettivo, quindi piattaforme online che permettono al richiedente, in questo caso una società, di raccogliere risorse dagli utenti iscritti alla piattaforma, gli investitori, anche sotto forma di piccoli finanziamenti da parte dei singoli prestatori. Una differenza importante, rispetto ad altre forme di crowdfunding, è che in questo caso, poiché assimilate ad aziende operanti nel settore della gestione del risparmio pubblico, le piattaforme web sono regolamentate nell’ambito MiFID, la direttiva dell’Unione Europea per il mercato finanziario integrato. Inoltre Consob, per quanto riguarda l’Italia, ha emanato nel lontano ormai 2013 apposito regolamento, che richiede agli operatori, in questo caso le piattaforme di Equity Crowdfunding, di possedere i requisiti necessari ad operare nel settore. Le offerte di sottoscrizione dell’investimento, sulle piattaforme di Equity Crowdfunding, possono essere presentate da soggetti societari appartenenti alle seguenti categorie: Start-up innovative – PMI (Piccole e Medie Imprese) innovative – OICR e società che investono prevalentemente in startup o PMI innovative
Lending Crowdfunding (Finanziamento collettivo per prestito). Si tratta di un’alternativa al social lending, di cui abbiamo parlato precedentemente, ma con un funzionamento leggermente diverso e più mirato alla raccolta fondi per la realizzazione di un progetto e non per un semplice prestito personale. Detto anche “peer to peer lending”, permette a persone fisiche e giuridiche di finanziarsi a vicenda senza una garanzia per il rimborso del prestito, ma solo sulla base della credibilità del progetto proposto, caratteristica distintiva del crowdfunding. Si tratta di una delle forme di finanziamento collettivo maggiormente in crescita e più adatte alle startup personali, all’avvio di una piccola attività imprenditoriale.
Invoice trading. In questo caso il richiedente garantisce il rimborso del finanziamento ottenuto mediante l’emissione e lo sconto di fatture.
Esistono poi dei modelli ibridi spesso caratterizzati da una via di mezzo tra reward e donation crowdfunding, questi modelli di finanziamento collettivo propongono la realizzazione di un progetto con la possibilità di ottenere anche una “ricompensa” dalla concessione di fondi necessari alla realizzazione di un progetto, ma permettono allo stesso tempo donazioni spontanee, senza un ritorno di nessun tipo. Il crowdfunding funziona anche sulla base di una forte componente emotiva, che porta molte persone ad effettuare finanziamenti senza scopo di lucro, non solo per tematiche sociali, ambientali e così via, ma anche per singoli progetti nei settori più disparati. Del resto, il significato stesso di crowdfunding, raccogliere finanziamenti dalla folla, tradotto letteralmente, richiama ad un impegno di una moltitudine di persone nei confronti di un singolo soggetto, di un sostegno non necessariamente legato ad un ritorno economico.
Per riepilogare, il crowdfunding migliore per una startup, dipende da una serie di fattori, ma se vogliamo capire quale crowdfunding conviene di più, possiamo sintetizzare il discorso nel modo seguente:
Reward Crowdfunding. Particolarmente adatto alle startup di settori culturali, come ad esempio case di produzione indipendenti nel settore cinematografico. In genere, il finanziatore è un appassionato di cultura e viene ricompensato con il suo nome nei titoli di coda, per esempio.
Equity Crowdfunding. La soluzione migliore per le startup fortemente votate all’innovazione e che hanno bisogno di risorse ingenti.
Lending Crowdfunding. Per chi vuole aprire una piccola attività imprenditoriale, quindi una startup nel senso di giovane azienda, il Lending Crowdfunding può essere la soluzione più conveniente per reperire le risorse necessarie, ma bisogna presentare un progetto convincente ed offrire un buon interesse al finanziatore.
Cosa rischia il debitore insolvente. Quando non si riesce ad onorare il proprio debito, si rischia il pignoramento dei beni, mobili o immobili che siano, il tutto preceduto da alcune procedure stabilite da leggi e normative, messa in mora del debitore, azione esecutiva che precede il pignoramento e l’espropriazione forzata dei beni del soggetto insolvente. Nel momento in cui contraiamo un debito, il nostro patrimonio fa automaticamente da garanzia al prestito ricevuto. Parliamo di beni come l’automobile, i mobili e gli elettrodomestici, di una quota dello stipendio o della pensione, i nostri risparmi e addirittura la casa di proprietà, anche se con una trafila burocratica piuttosto complessa, come è ovvio. La possibilità di pignorare i nostri beni, o una parte di essi, va a garantire il creditore di fronte all’insolvenza del debitore. Nel caso di debiti non pagati con banche e finanziarie, inoltre, c’è il rischio concreto di essere inseriti nelle liste dei cattivi pagatori delle banche dati che poi renderanno praticamente impossibile, almeno per un certo numero di anni, la concessione di prestiti e finanziamenti. La possibilità di pignorare i beni del debitore, è prevista dal Codice Civile, così come l’ereditarietà dei debiti. I figli sono responsabili dei debiti dei genitori se accettano un eventuale eredità, nei confronti della quale può scattare il pignoramento, parziale o totale a seconda dei casi. Se invece si rifiuta l’eredità, allora non si è responsabili dei debiti contratti dal genitore.
Se non si riesce a pagare il mutuo. Prima di arrivare al punto di non riuscire a pagare le proprie rate, occorre valutare la possibilità di surrogare il mutuo su un diverso istituto bancario, un diritto stabilito dalla legge (Legge Bersani) per ridurre il tasso di interesse, migliorare le condizioni contrattuali o aumentare la durata del mutuo per ridurre l’importo delle rate e la loro incidenza. Chiedere la surroga del mutuo può spingere anche la banca che lo ha concesso, a rivedere le condizioni del contratto esistente con la loro rinegoziazione. Due problemi diversi, quando parliamo di mancato pagamento del mutuo intendiamo due situazioni distinte, ognuna capace di generare conseguenze diverse: il salto di una o più rate oppure la sospensione totale del pagamento del mutuo. Le conseguenze variano a seconda della condizione in cui ci troviamo e saranno determinate anche dalla nostra capacità o volontà di ricominciare a pagare, ovviamente non ci sono solo automatismi, in quanto le banche cercano, nel loro interesse, di recuperare il mancato pagamento del mutuo e quindi valutano le azioni da intraprendere in modo differenziato a seconda del contesto che ha portato a sospendere il pagamento delle rate. Il ritardato pagamento del mutuo scatta solo superati i 30 giorni dal momento della scadenza. Sulle rate pagate in ritardo le banche richiedono in aggiunta al tasso del mutuo un interesse di mora. Diverso il discorso del mutuo non pagato per più mesi consecutivi. Per legge la banca può rescindere il contratto dopo 180 giorni di mancato pagamento, in pratica 6 mesi non saldati. La legislazione in materia stabilisce infatti che il cliente possa essere considerato moroso solo dopo questo periodo e che quindi l’istituto di credito possa chiedere a quel punto, conseguentemente, il saldo delle rate del mutuo non pagate con tanto di interessi di mora, che come è ovvio saranno più elevati del tasso stabilito in fase contrattuale per la stipula del mutuo.
Rata non pagata per più mesi. Nel caso in cui non viene pagato il mutuo per più di 6 mesi le conseguenze possono essere serie, in quanto per legge la banca può risolvere il contratto stipulato dal cliente mancato pagatore, quindi procedere alla richiesta immediata di quanto dovuto e se la situazione di insolvenza si protrae può esercitare il diritto di ipoteca sulla casa oggetto della stipula del mutuo, messa a garanzia del debito contratto. Attenzione, i 6 mesi che possono portare a queste conseguenze non devono essere necessariamente consecutivi, basta saltare 6 rate, anche in momenti differenti, per andare incontro alla possibile richiesta di pignoramento della casa, cioè all’inizio della procedura di pignoramento, non della messa all’asta della casa vera e propria. Questa, come stabilito dal Decreto Mutui 2017, può avvenire solo dopo 18 mesi consecutivi di mancato pagamento del prestito ricevuto, in quanto in questo caso la banca può diventare automaticamente proprietaria dell’immobile sul quale è stato stipulato il mutuo. Ovviamente le banche tendono a risolvere la questione in modo meno drastico, almeno in genere, quindi a stabilire magari un piano di rientro dilazionato nel tempo, come vedremo in seguito. Tutto però dipende dalle ragioni del mancato pagamento. Se il problema è momentaneo, la perdita temporanea del lavoro, una spesa improvvisa, un problema di salute, i mesi di stop a causa di Covid 19 e così via, la cosa migliore da fare è andare in banca ed avvisare che si è nell’impossibilità di pagare una o più rate, garantendo naturalmente che al più presto si potrà ricominciare a pagare. Il fatto di avvisare del problema comporterà una maggiore disponibilità della banca ad attendere un breve periodo prima di avviare la procedura di messa in mora, soprattutto se state agli accordi presi. Da controllare anche la possibilità che in contratto di mutuo siano state già previste dei servizi atti a risolvere determinate situazioni come ad esempio di ridurre le rate per un certo periodo, piuttosto di sospendere o altro. Se il problema non è momentaneo ad esempio una riduzione del reddito, la cassa integrazione, un nuovo lavoro che rende meno del precedente, una diminuzione del reddito per i lavoratori autonomi o per le attività d’impresa, essendo tutte situazioni che comportano l’impossibilità di sostenere le rate di un mutuo per la casa, in questo caso la soluzione migliore è quella di ricontrattare il debito con la banca, mettendo naturalmente in conto un aumento degli interessi dovuti in seguito all’allungamento del piano di ammortamento. Nel caso in cui si perda completamente il reddito, la soluzione migliore per evitare conseguenze molto gravi, spesso anche l’unica disponibile, è quella di vendere la casa. Vediamo allora quali sono le conseguenze del mancato pagamento del mutuo? I problemi seri nascono dopo 6 mesi di morosità, con la possibilità per la banca di mettere all’asta la casa di chi non paga il mutuo trascorsi 18 mesi, quindi un anno e mezzo, dal pagamento dell’ultima rata. Tra l’altro, se il cliente ha sottoscritto la “clausola di inadempimento”, che va detto non è obbligatoria, allora la banca può vendere l’immobile senza bisogno di sottostare al passaggio dell’asta giudiziaria. Una volta completato il processo di vendita della casa il mutuo verrà completamente estinto, anche nel caso in cui l’istituto di credito abbia realizzato dalla cessione dell’immobile una cifra inferiore a quanto dovuto dal cliente. Come funziona la clausola di inadempimento. Introdotta il 20 aprile del 2016 a recepimento della Direttiva Europea sui mutui, la clausola di inadempimento non è obbligatoria e può essere inserita nel contratto solo a condizione che ci sia l’accordo da entrambe le parti. Viene prevista per la banca la possibilità di procedere alla vendita dell’immobile, per cui è stato stipulato un mutuo, dopo la diciottesima rata non pagata. Le mensilità per cui si risulta morosi non devono essere necessariamente consecutive. La novità, rispetto alla legislazione passata, è che il processo di vendita può essere diretto e quindi l’istituto di credito non deve necessariamente aspettare un processo esecutivo da parte di un giudice e l’avvio di un’asta pubblica. Insomma, per le banche meno burocrazia e tempi più brevi. Se non si applica questa nuova clausola valgono le regole precedenti, quindi vendita della casa all’asta dopo 7 rate non pagate ed il mutuatario che continuerà ad avere un debito nei confronti dell’istituto di credito se dalla cessione dell’immobile si realizza una cifra inferiore al suo valore. Se invece viene sottoscritta la clausola di inadempienza si prospettano due ipotesi. Ricavo inferiore al valore dell’immobile, il debitore viene completamente esonerato dal pagamento della parte rimanente ed il muto si estingue. Ricavo superiore, la banca deve versare al mutuatario moroso il valore del surplus ottenuto.
Segnalazione alla Crif e al Sic. Una delle conseguenze più gravi e dannose, per chi non è in regola con la restituzione di un prestito, è quella dell’iscrizione in una delle banche dati esistenti in cui vengono inseriti i clienti morosi. In questo caso si avranno molti problemi ad ottenere un nuovo finanziamento da una banca o da una finanziaria, in quanto si viene considerati soggetti ad alto rischio. Una della banche dati più utilizzate dagli istituti di credito è la CRIF, acronimo di Centrale Rischi di Intermediazione Finanziaria, fondamentalmente una società privata che gestisce il SIC (Sistema di Informazioni Creditizie), indicato anche come Eurisc. In questa banca dati le finanziarie e gli istituti di credito inseriscono i dati dei loro clienti, che quindi vengono valutati e associati ad un preciso profilo creditizio. Cosa succede quindi per un mutuo non pagato? Rate non pagate, la prima segnalazione al Sic avviene dopo due rate del mutuo consecutive non onorate, quindi dopo due mesi di morosità. Tenete conto che la banca ha l’obbligo, per legge, di informarvi preventivamente dell’iscrizione al Sic, con un tempo minimo di 15 giorni. Se salderete le rate per cui risultate morosi entro i 15 giorni di preavviso la banca non procederà oltre. Ritardi successivi al primo, nel caso in cui il cliente risulti moroso nel pagamento delle rate del mutuo più volte la segnalazione come cattivo pagatore può avvenire senza un avviso preventivo ed il cliente viene avvisato semplicemente nella normale comunicazione periodica della banca. Tempo di permanenza dei dati, il tempo di cancellazione dei dati dal Sic dipende dalla durata della morosità. Ritardo di 1 o 2 rate, il tempo di permanenza dei propri dati nel Sic è di 12 mesi dal momento in cui si è ricevuta la comunicazione di regolarizzazione della posizione debitoria, a condizione però che tutte le altre rate del mutuo siano state pagate regolarmente. Da 3 a più rate, in questo caso la cancellazione della segnalazione avviene 24 mesi dopo la comunicazione di regolarizzazione, sempre a condizione che si paghino regolarmente le mensilità dovute nel frattempo. Mutuo non rimborsato, se il cliente ha smesso del tutto di rimborsare il prestito ottenuto per l’acquisto della casa, allora la segnalazione al Sic viene cancellata dopo 36 mesi dalla regolarizzazione della propria posizione, vale a dire dal momento in cui si estingue il debito.