159. la magia del Natale o la poesia del Natale?

Ed ecco tra poco sarà di nuovo Natale. Cerco di difendermi dalla tristezza che mi prende, dalla mancanza di tenerezza; mi ricollego con qualche ricordo, con le pagine in cui viene descritta la nascita di un bimbo in una notte di miracoli, ma sempre mi manca nel cuore la carezza che lo plachi, perché il Natale è la festa per me più bella ma, guardandomi intorno, ormai da molti anni non ho più idea di quale festa si tratti.
Io vedo consumo e istigazione al consumo. E’ il periodo dell’anno in cui ciò che vedo e percepisco somiglia di più al quadro ‘La nave dei folli’ che Hieronymus Bosch dipinse nel 1492. E per questo provo tristezza.

“Noi” festeggiamo il Natale cattolico-cristiano, cioè la nascita in forma umana sulla terra del Figlio di Dio. Per chi ci crede. E anche chi non ci crede festeggia in qualche modo questo Natale, perché sul calendario è un giorno segnato rosso, non si lavora; e anche perché per secoli la religione cattolica è stato il modello che, sempre qui da noi, ha pervaso e informato di sé la rappresentazione dominante del mondo. Nella festa cattolica non c’è nulla che parli di consumo, caso mai di dono gratuito, poiché Gesù è un dono per chi ci crede.
I miei Natale sono stati così: il presepe, la letterina di Natale sotto il piatto del babbo nella cena -parca- della vigilia, qualche piccolissimo regalo tra noi, la messa di mezzanotte, il pranzo –misurato- del giorno di Natale insieme a qualche parente; poi arrivò l’albero, non sapevo da dove, forse dalle città che cominciavano ad addobbarsi, forse da chi voleva festeggiare in modo laico e secondo altri riti religiosi: e il mio babbo andava nei boschi a prendere rametti di ginepro da addobbare e con cui ci pungevamo tutte le dita perché il ginepro ha gli aghi più pungenti di quelli degli abeti; poi i regali si fecero più impegnativi, se ne diffuse la distribuzione tra parenti amici conoscenti colleghi e ciò avveniva spesso più per forma e convenienza che per sostanza e convincimento: si insinuava il consumismo sotto forma di gentilezza. Poi tutto è aumentato in maniera esponenziale, ogni consumo sembra diventato d’obbligo, il Natale non è Natale se non c’è consumo. Il consumismo è entrato nella nostra vita usando ogni maschera.

Io festeggio il Natale cristiano. Fino agli anni dell’adolescenza a casa mia c’erano presepi stupendi grazie anche all’operato di mio padre; e c’era anche l’albero di Natale. Poi vennero gli addobbi in casa: palle argentate e dorate, angeli, nastri rossi, pigne. Gli addobbi erano laici e il presepe non proprio veritiero, perché un bimbo nato a Betlemme lo collocavamo in mezzo al muschio, accanto a ciocchi di edera e felci, e laghetti fatti con pezzetti di specchio; giusto le carte dello sfondo erano dipinte con paesaggi di sabbia e palme e sembrava normale una riproduzione di un paesaggio umbro a ridosso del deserto, anche perché il tutto veniva messo in pace con la carta-cielo fatta di un blu intenso, piena piena di stelline dorate che sembravano la rappresentazione dei nostri sogni. Ci sarà un motivo e più d’uno se a una persona poi, da grande, piace l’armonia, cercare ciò che unisce, andare d’accordo 🙂
Sono un’appassionata del presepe, forse per quegli spazi della mia casa che lo diventavano, forse per la predisposizione di mio padre e mia madre a creare in casa lo spazio che ricordasse un miracolo, forse perché, oltre quelli in casa, ho fatti-inventati tanti presepi in chiesa, forse perché il presepe lo ha inventato San Francesco, forse perché sono umbra, forse perché sono io … non lo so perché, ma lo amo, e ciò penso mi ponga in una posizione di insospettabilità se dico anche che già nella rappresentazione presepiale c’è un certo allontanamento dalla realtà dei fatti o, almeno, di quelli descritti nel vangelo.
Un allontanamento poetico, innocente, fatto addirittura da un santo. Un passo un po’ più in là che ci intenerisce il cuore, con i suoi riti dolci, il Bimbo che non deve essere messo nella grotta prima di mezzanotte, i pastori da decidere dove, “però guarda, questo con la mano alzata e il volto pieno di meraviglia, lo mettiamo sui monti, lontano dalla grotta, anche perché è più piccolo, vedi?” mi diceva il babbo “ e così rispettiamo le proporzioni e tutto sembra più vero” e già si era spostato a fare il fuoco coi bastoncini e la lucina rossa e tutto era insegnamento, tutto era condivisione.
Però era un passo più in là della realtà narrata, un passo che era andato bene per secoli insieme all’immagine di Gesù con gli occhi azzurri e i capelli biondi, ché dispiace anche un po’ scoprire poi che era scuro di occhi di pelle e di capelli, ci si sente un po’ presi in giro,  perché –si pensa- che ci voleva a farmi conoscere il Gesù vero, così diverso da noi? … anzi …
Ma è in quei passi un po’ più in là, è in quello spazio di allontanamento che si può cominciare a mettere ogni cosa, qualsiasi cosa che non corrisponda a quella vera, “tanto che male c’è?”…; e se poi sono cose dolci tenere – il regalo, il panettone, le città addobbate, il maggior consumo – che male c’è? Che male c’è se poi ‘natale non è natale se non consumi un certo prodotto’, se ‘è più natale se consumi un altro tipo di prodotto’, se ‘è natalissimo se ti intabarri nell’ultimo abito alla moda’, se ti fai la vacanza proprio lì, se mangi fino a stare male? Che male c’è se ti trovi chiuso in ferree prigioni dalle quali non puoi uscire, retto da leggi insane che ti hanno reso solo consumatore, spettatore e incapace anche della più evidente delle distinzioni?
Anche nel linguaggio c’è uno scivolamento e un’alterazione per suscitare e indirizzare al consumo attraverso mescolamenti. Nel Natale cattolico si parla di miracolo, si può parlare di poesia; nel natale laico si parla di magia e di poesia. E’ noto che in ambito cattolico non si parli di magia. Però noi siamo circondati di espressioni tipo ’la magia del Natale’ che includono anche la festa religiosa; e il termine-ponte è ‘poesia’. Così che il Natale religioso diventa un fatto magico, e allora ecco che babbo natale le renne gli elfi le fatine svolazzano intorno alla capanna della Natività, in un tripudio di sincretismo che non ha nulla a che vedere con il multi-inter-culturalismo e il sereno abitare insieme delle diversità, e nemmeno l’inevitabile  transculturalismo,, ma è l’ennesimo cavallo di Troia che serve all’avanzare del consumismo. Io non ho niente contro la magia, ma ho molto contro l’interesse personale che si insinua nelle relazioni, ho molto contro il doppio fine che sembra essere diventato l’elemento fondante dei rapporti umani e che si maschera di tenerezza(pseudo), bontà(pseudo) e giustizia (pseudo).

Lo stesso vale anche per chi vuole riproporre i riti celtici del risveglio della natura, del ritorno della luce. Amo conoscere le diversità anche in questo senso, e conosco i riti pre-cristiani e mi affascinano. E sia nel Natale cristiano che nelle festività pre-cristiane la festa era ricordata anche mangiando, tanto più che si viveva in povertà e la festa doveva fare la differenza, ma fino ai tempi della mia adolescenza –per lo meno nel mio mondo- si conosceva la misura. E la misura non era una legge esterna ed imposta, era una legge di connessione, cioè data dal conoscere le cose e dal sapersi rapportare. Era quella che la madre, insegnando alla figlia a cucinare, sulle dosi le diceva: ‘ti regoli’, chiamandola ad essere regina nel mondo, come ho scritto in altri precedenti blog, regina nel senso dell’archetipo della regina.

Trovo nella mia cassetta postale un dépliant che pubblicizza le iniziative natalizie organizzate dal comitato festeggiamenti del mio paese: vi si parla di cene, di alberi, di messa di mezzanotte, di vin brulè distribuito dopo la messa di mezzanotte, di tombole, di funzioni religiose, tridui e rosari, e si parla di comunità e di altro. Il titolo del depliant è “La magia del Natale”…. 🙁

E allora, poiché mi va di rispettare sia il Natale cattolico che quello laico-celtico-antico o qualsiasi altro Natale, io desidero quest’anno parlare di poesia, poesia del Natale. E di etica. E disegnare limen-superamenti con le parole, in questo mondo di parole-limes-consumistiche che ci illudono di convivenze mentre ci separano sempre più tra ricchi e poveri sul piano del consumo.
Nel mio calendario dell’avvento su questo blog parlerò, anzi, trascriverò parole di due personaggi umbri che amo da sempre, l’uno ateo l’altro credente, seppure di una religione ‘libera’; grandi nella loro cultura e nella loro vita, etici nella pratica quotidiana. Perché questo è il mio Natale: dopo e in mezzo a tante “belle” parole di tante “belle” persone che nella pratica hanno sferzato e sferzano colpi davvero bassi, ho bisogno di altezze e profondità, serietà e comportamenti diretti senza doppio fine.

Buon Avvento. Buon Tempo dell’Attesa, e mettiamoci dentro l’attesa come nel più bell’abito, viviamola, godiamocela , abitiamola fino all’ultimo secondo dell’Attesa prima dell’Evento.
Buon Tempo del Buio, e lasciamolo lì, ad essere buio fino al suo massimo; non lo tormentiamo con le lucine prima che finisca.
Sono tempi preziosi quelli dell’Avvento e del buio prima del ritorno della luce. Io una volta regalai il buio a un mio amico, non so se ha mai capito la preziosità del dono che gli feci,  ma io intanto gliel’ho regalato, è nella sua vita, pronto per ogni attimo in cui serve saper restare nel buio. Anche per me, per tutti noi, fa bene rispettare questo tempo del buio.
Non facciamo come i negozi e i centri commerciali che, col secondo-primo fine di vendere, si accendono di lucine false prima che il tempo della natura ci regali il primo secondo in più che dà inizio al ritorno della luce.
O prima che nasca un Bimbo lucente come l’universo.
E’ proprio in quegli ambiti che i simboli alberodinatale-renne-ecc. si evidenziano; e, davvero, ci vorrebbe una poderosa e arrogante incoscienza a mettere nelle vetrine-luoghi del consumo un presepe, che invece ci invita a ben altri tipi di ricchezza.
Atei, laici e/o credenti, difendiamolo il nostro Natale dall’assalto del predatore-consumo.
Insomma, è Natale, mica cose da poco.

E questo Natale parco e silenzioso, dolce e tenero e potente è la carezza tutta per me, quella che mi salva dalla tristezza e mi placa il cuore; è l’abbraccio che mi scalda a mezzanotte, la canzone d’amore che non è mai tardi che arrivi, il bacio sulla bocca che ci salva, come dice Fossati, e … guarda ‘quanto tempo nuovo che arriva con te’.

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https://www.redacon.it/2013/12/18/il-fascino-e-lincanto-dei-presepi-di-carta/

 

 

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