50. limen e limes e la benedizione degli animali del 17 gennaio

Era comunque difficile dire se fosse un limen o un limes. Se fosse inclusa la possibilità che quelle forme non umane potessero attraversare la soglia del sacro o se dovessero restare per sempre fuori, nella piazza.

Era il 17 gennaio, il giorno di Sant’Antonio Abate e c’era l’usanza di benedire gli animali.
Ero piccola piccola e quel giorno a me sembrava magico. La piazza davanti alla chiesa si riempiva di asini agnelli cani gatti mucche galline maiali oche caprette: ogni animale che era utile nelle campagne o che viveva insieme agli umani veniva portato a prendere quella benedizione. Anche i non credenti erano lì, a capo chino, col cappello in una mano, timorosi e un po’ spaesati, ma erano lì.
Che meravigliose differenze di forme, che corpi diversi! Li guardavo incantata come fosse la prima volta che li vedevo. Mi sembrava di stare dentro un momento della creazione del mondo. Guardavo incuriosita gli animali muoversi con piccoli movimenti, ma stavano in silenzio, percependo chissà cosa.
Forse la  bellezza della benedizione. Perché benedire è una gran bella cosa. Bene-dire, quante volte lo facciamo al giorno? Dire bene, dire il bene, indirizzare le nostre parole al bene e dentro il bene: che fantastici momenti di connessione. Forse gli animali lo sentivano, e tacevano in attesa della grazia delle parole bene-dicenti.

L’incanto del momento era aumentato dal fatto che il sacerdote e noi che avevamo partecipato alla messa uscivamo dalla chiesa e ci fermavamo appena fuori il portale.  Noi, gli umani appena usciti dalla chiesa e gli animali nella piazza, potevamo sembrare due eserciti schierati le cui armi e le cui divise erano per l’uno paramenti sacri e per l’altro multiformi nudità.
Provavo tanta tenerezza per tutti quegli animali fermi nella piazza.
Io ero piccola, con facilità li immaginavo dentro la chiesa, insieme a noi, in un canto completo di tutte le voci del creato aperte verso il loro creatore. Ero piccola, e Dio per me era buono, e se qualche volta si arrabbiava, poteva farlo, perché tanto c’era Gesù che s’era arrabbiato una sola volta, e caso mai poi c’era la Madonna che lei, davvero, non si era arrabbiata mai. E allora, tra me, chiedevo a tutti e tre se si poteva far entrare in chiesa gli animali, anche perché, a dirla tutta, la scena così com’era non mi sembrava proprio cristiana mentre invece per me, piccola piccola, la scena degli animali in chiesa lo diventava.
Da adolescente avrei saputo che Tommaso Moro coniò il termine ‘utopia’ giocando e includendo il duplice senso di outopia-non luogo ed eutopia-bene luogo, dando al termine il significato di ‘luogo bene che non esiste’. Avrei dedotto, sempre da adolescente, che invece il nostro modo di pensare pensava più possibili le distopie, e le realizzava pure.
Invece in quei momenti magici, io piccola piccola sapevo che il ‘luogo bene’ esiste, anzi che ne esistono molti e uno di essi sarebbe stato la nostra chiesa piena delle creature viventi in quella zona. Amavo così tanto il termine “creatura”, io ero felice, piccola piccola com’ero, di sentirmi creata e voluta da un amore grande e di sapere che per tutti era così.
Ecco perché in quella piazza così divisa sentivo anche un forte senso di sospensione temporale e spaziale, perché c’era un’attesa. La piazza piena di animali, il sacerdote appena fuori la porta della chiesa, i chierichetti, gli incensi, l’aspersorio, i gesti, le parole, i silenzi: tutto in pieno inverno, quando le coltivazioni erano ferme, le riserve cominciavano a scarseggiare e la primavera appariva lontana.
Aspettavo o di entrare tutti in chiesa o che quella piazza diventasse spazio sacro. Già lo era, bisognava soltanto accorgersene, e trattarla come tale, uno spazio sacro, uno spazio comune per l’interezza dell’essere.

Era limen, ma veniva resa limes, sebbene in qualche modo si sapesse che invece poteva essere un limen e che ci invitava, tutti insieme, a varcare le soglie delle separazioni, ognuno col proprio essere al mondo, ringraziando ogni alterità dell’arricchimento che può portare alle altre vite. Probabilmente allora vinceva la paura di perdere potere e vinceva la difesa dello spazio sacro inteso come spazio irraggiungibile e invalicabile -il limes-, invece che ispiratore di nuovi comportamenti per poter entrare a farne parte -il limen-.

Ogni limes che diventa limen è una conquista dell’intero sistema, della collaborazione di ogni agente di quel sistema. Non avviene con le lotte, con la vittoria di alcuni su altri, non c’è guerra e contrapposizione in questo cammino. E’ una crescita e, come tale, necessita della maturità collettiva, di forte consapevolezza e responsabilità. E si esprime anche con i bene-dire.

E’ una delle benedizioni più grandi quando “noi” ci bene-diciamo reciprocamente.

(17 gennaio 2016)

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50. limen e limes e la benedizione degli animali del 17 gennaioultima modifica: 2019-01-19T21:37:08+01:00da mara.alunni

2 pensieri riguardo “50. limen e limes e la benedizione degli animali del 17 gennaio”

  1. Un privilegio aver vissuto l’evento che descrivi; bambina, a quanto pare, lo sei rimasta comunque.
    Ti vedo ancora lì in questa istantanea subliminale, a trasformare il limes in limen finché ogni confine diventi soglia.
    Buona domenica Mara.

    1. Da bambina ho vissuto momenti magici in cui la natura e il sacro erano sempre co-presenti, sia nelle occasioni delle festività religiose che nella quotidianità. Ai miei occhi e al mio cuore tutto sembrava limen, era molto spesso evidente il passaggio da confine a soglia. Lì dove invece mi sembrava ci fosse un confine insormontabile era proprio durante la festa in cui si benedivano gli animali: esseri umani ed esseri animali nettamente divisi nello spazio della piazza, uniti solo da quelle goccioline in cui si frantumava l’acqua benedetta nel momento in cui il sacerdote tracciava nell’aria il segno della croce con l’aspersorio. Gli animali avevano i loro umani che li tenevano, è vero, e che stavano nella parte non-sacra della piazza, e a me affascinavano quegli esseri umani là in mezzo allo spazio degli animali, ma rimaneva netta la divisione tra i due spazi – per non parlare della chiesa che sembrava diventata inaccessibile con tutto lo schieramento del sacerdote dei chierichetti e dei cristiani appena usciti dalla messa. Non riuscivo a sovrapporre quel momento a quello che immaginavo fosse stato quello della Creazione del mondo raccontato nella Genesi, in cui ogni cosa creata si aggiungeva, veniva progressivamente inclusa in ciò che già era stato creato, fino al finale compimento.
      Sicuramente la festa cristiana si sovrappone e include un momento precedente molto importante, molto forte e marcato nel mondo “pagano” ed è un aspetto che mi affascina molto e che va a integrare ciò che è venuto dopo, in epoca cristiana.
      Eh sì, il mio immaginario è costituito anche dalle narrazioni bibliche, dai cartelloni che riempivano le pareti della sala parrocchiale e dove venivano illustrati episodi della bibbia, come è costituito anche dalle grandi carte geografiche appese alle pareti della scuola elementare: tutto era mondo fuori di me dove io desideravo andare, in un costante stato di soglia, come penso vivano tutti i bambini.
      Certo, le esperienze vissute in un piccolo paesino avevano facilmente molti aspetti magici agli occhi di una bambina, potrei raccontare episodi che sembrano tratti da un romanzo di Marquez 🙂 Sono nati allora gli interessi che ho coltivato per tutta la vita e da cui sono nati poi successivi interessi, come rami di un albero cresciuto su un terreno di anima-corpo. E’ nata allora l’idea che si possano superare i confini, che si possa intendere il confine come il luogo magico dell’incontro. Sono felice di essere rimasta, per certi aspetti, la bambina che ama la creazione, che “fa soglia”: spero di arrivare così, completa di tutto ciò che ho vissuto, al confine ultimo e di saperlo ancora trasformare-creare in soglia.
      Buona domenica a te 🙂

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