161. il periodo natalizio nell’interpretazione della psicologia junghiana

CLAUDIO WIDMANN,  La simbologia del presepe, Edizioni Magi, 2014

Oltre il tempo, pp. 7-9

Più o meno consapevolmente, in un periodo compreso fra gli inizi di dicembre e gli inizi di gennaio, celebriamo autentici riti di rinnovamento, talvolta con religiosa partecipazione, talaltra con laica, ma non meno rigorosa, osservanza.
Il ciclo delle feste Natalizie (lo si chieda ai bambini in attesa di regali), il clima di Natale (lo si chieda ai commercianti del centro) comincia già agli inizi di dicembre con il ponte di S. Ambrogio, con la festa di Santa Lucia, con Sankt Nikolaus e Knecht Rupert che portano i regali. Culmina con le due maggiori feste di Natale e Capodanno, accomunate nell’augurio unico di “buon Natale e felice anno nuovo”. Termina, infine, con l’Epifania, “che tutte le feste si porta via”.
I prodromi di questo ciclo si possono rintracciare già nella notte di Halloween, punteggiata di lumini e popolata di fantasmi. Nei cortei di bambini e nelle zucche illuminate sopravvivono, difatti, gli echi dell’antico Capodanno celtico, quando i morti riemergevano dai sepolcri per proteggere, oper spaventare, i vivi. Gli epigoni di questo ciclo celebrativo si estendono fino alla festa delle candele, la Madonna Candelora, che cade il 2 febbraio; da quel momento, secondo un detto popolare veneto, si può guardare con maggior fiducia alla fine dell’inverno, perché “alla Madonna Candelora de l’inverno semo fora” (siamo fuori). Contemporaneamente falò agresti ardono nelle nostre piazze e nei campi nel cuore del Carnevale, secondo una tradizione ampiamente diffusa nelle culture rurali e variamente denominata “pan e vin”, “segavecchia” ecc.
Una sequenza di ritualità, concentrata fra gli inizi di novembre e a fine di gennaio, accompagna lo spegnimento del sole, l’ibernazione della vita vegetale, la decomposizione dei frutti, il seppellimento dei semi, la preparazione della nuova nascita.
Le celebrazioni natalizie entrano così in un contesto che le assimila ai più antichi riti di rinnovamento, quali ci sono noti in molte culture arcaiche. Per cogliere il loro carattere rituale e il loro senso simbolico è opportuno quindi dilatarne la collocazione cristiana e rintracciarne la matrice più genericamente solstiziale.
Il punto nodale è che, per il pensiero religioso arcaico (così come per il pensiero inconscio non solo arcaico, ma anche attuale), esistono singolarità temporali in cui l’eterno irrompe nel presente; il tempo storico viene annullato e l’uomo accede a un tempo metastorico.
Il grande antropologo rumeno Mircea Eliade ha illustrato con dovizia di documentazioni che “l’uomo religioso sbocca periodicamente nel tempo mitico e sacro, ritrova il tempo originario, che non passa perché non fa parte della durata temporale profana, ma è costituito da un eterno presente, indefinitamente recuperabile (Eliade, 1973, ed. it. P. 59). Le celebrazioni solstiziali di ogni genere, e quelle natalizie in specie, si collocano entro lo scenario archetitpico di questo Tempo Sacro, che è mitico e primordiale, che è ontologico e sempre uguale a se stesso, che non muta e non si esaurisce, che si ripresenta ciclicamente e che riattualizza la cosmogonia.
Esso si inserisce in una concezione del tempo che, in luogo della sequenza lineare passato-presente-futuro, immagina un circolare susseguirsi di stagioni, di ritmi, di cicli che si avvicendano all’infinito. Il tempo circolare è un tempo uroborico che, al pari del serpente che si mangia la coda (ouroborus), rincorre eternamente se stesso e si perpetua senza fine.
All’interno di questo ciclico rigenerarsi, esistono singolarità temporali dove la fine coincide con l’inizio, dove il tempo riacquista la sua dimensione mitica di tempo della fine e degli inizi. Si tratta di  momenti dal sapore emotivo forte, di cui si percepisce la paradossale atemporalità, in cui si vive una sorta di sospensione del tempo, in cui si coglie un sotterraneo fermento creativo, in cui si intravedono opportunità uniche, difficili tuttavia da catturare. I greci davano a questi momenti il nome di kairos.
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Infrangendo il flusso usuale del Tempo Profano per irrompere nel Tempo Sacro, i riti solstiziali non attualizzano solo la fine del mondo, ma anche il tempo favoloso della creazione. L’uomo si trova così ad essere contemporaneo della cosmogonia, partner della creazione cosmica. Illo tempore, difatti, gli dei raggiunsero e manifestarono l’apogeo della loro potenza, essendo la cosmogonia “la suprema manifestazione divina, il gesto esemplare di forza, di sovrabbondanza, e di creatività” (ibidem, p. 54). Quando l’uomo riattualizza il tempo primordiale, diventa contemporaneo degli dei e partecipa alla loro potenza creatrice.
In maniera del tutto coerente, quindi, i riti del solstizio invernale scandiscono l’annullamento del tempo storico e la distruzione deli eventi passati, ma anche l’apertura d un ciclo nuovo e la possibilità di una nuova creazione. Illud tempus è, per sua natura, tempo di creazione e di creatività; è un accumulo di pienezza, è una condensazione di potenza vitale, è una dimensione forte, fresca e pura, in cui è possibile un inizio. Dal punto di vista psicologico, il tempo eterno è proprio dell’inconscio collettivo e i momenti del kairos, i cui il tempo sacro irrompe nel tempo empirico, sono momenti di contatto intenso e profondo con il mondo degli archetipi.

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Natale, un rito solstiziale, pp. 38, 39, 40

Si prospetta così una lettura solstiziale della simbolica natalizia, che sembra godere di un respiro più ampio.
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Ma a un livello più ampio e più propriamente simbolico la psicologia analitica si interroga sulla risonanza emotiva che possiede il concludersi dei cicli stagionali, sul senso psicologico ed esistenziale che riveste l’attenuazione del sole e il prevalere delle tenebre, sul significato archetipico della luce e della circolarità del tempo.
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E’ vero che il Natale si iscrive nel contesto simbolico delle esperienze solstiziali, che celebra il rinnovarsi dei tempi, il persistere della vita nell’eterno avvicendarsi dei cicli, il ritorno della luce. Ma nella prospettiva della psicologia analitica la luce non viene intesa in maniera concretistica, come luce del sole che si offusca e che rinasce. La luce viene intesa nel suo significato simbolico.
Molti autori hanno diffusamente argomentato che essa è simbolo della coscienza, allo stesso modo in cui il buio è simbolo delle situazioni di incoscietà. In questo senso il Natale è festa della luce: esso celebra ritualmente il sorgere del lumen conscientiae dalle tenebre dell’inconscio.
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La luce celebrata durante il ciclo natalizio non è immagine della luce solare che progressivamente ridimensiona il buio invernale, ma della coscienza che progressivamente rischiara i fantasmi dell’inconscio.
In questa prospettiva il Natale sviluppa un tema simbolico specifico e universale, quello della natività. Esso allude dichiaratamente alla nascita, ma non a quella biologica, bensì alla nascita della coscienza nella psiche umana. Dal punto di vista psicologico questo evento costituì un passaggio evolutivo di portata immensa nella storia dell’evoluzione collettiva e costituisce sempre il passaggio decisivo nella formazione di ogni personalità.
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L’avvio del processo di individuazione richiede che si condensi una forma particolare di consapevolezza, così che la nascita della coscienza viene a coincidere con il progetto e la promessa di un nuovo individuo o di una nuova dimensione dell’individualità. Questo motivo archetipico si proietta sul tema della nascita eccezionale, della venuta di un puer aeternus, un neonato portatore di nuova luce.
La consuetudine del presepe ripresenta e rappresenta le fasi iniziali di ogni processo di individuazione.

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161. il periodo natalizio nell’interpretazione della psicologia junghianaultima modifica: 2019-12-14T14:21:03+01:00da mara.alunni