336. l’amicizia, il dolore e “chi sono io?”, “chi sei tu?”

Tu hai degli amici.

Uno di loro ti fa battute, ironiche e un po’ pungenti. A tal punto che ti chiede anche “Quando mi manderai a quel paese per queste battute?”. Tu sorridi alla domanda come hai sorriso alle battute, ma un che di pungente ti arriva.
Se si parla dei rapporti di coppia, l’amico, sempre scherzando, si schiera col tuo ex, e ti ripete la domanda “quando mi manderai ecc.?”.
Tu vuoi bene all’amico, per molti aspetti lo stimi, e sorridi, sempre sentendo quelle punturine.
Accade che si debba andare insieme ad altri amici in un certo posto, e gli altri amici poi recedano per precedenti e dimenticati impegni presi. L’amico dice che, vista la loro assenza, per lui non vale la pena spendere i soldi per spostarsi, come tu fossi nulla e senza nemmeno chiederti scusa di tale ‘facezia’.
Tu senti più che una punturina, anzi, proprio un pugno nello stomaco, ma taci.
Accade che l’amico una sera ti chieda come stai e tu, che non stai bene per niente, né fisicamente né psicologicamente, anzi, stai proprio male, rispondi sincera e l’amico, alla fine del tuo sfogo fiducioso, ti dica “e io ti rido in faccia”. Tu senti più che un pugno nello stomaco, ma taci, abbozzi un mezzo sorriso, e pensi che lo abbia detto per sdrammatizzare, chissà, forse, e che si sia solo espresso male.
Tempo dopo, si decide di trascorrere una festa insieme e si va. Tu non ti senti bene, non vorresti andare, anche i tuoi sesti sensi si mettono in moto per suggerirti di non andare, ma tu ami i tuoi amici e le tue amiche, e vai.
Resisti ai dolori finché puoi, tacendoli, finché a un certo punto, a ridosso del clou della festa, te ne devi andare e lo comunichi agli amici. E te ne vai, accompagnata dal tuo ex, con un sentimento di solitudine che, se possibile, è ancora più forte del dolore. Ma non pensi che sei sola perché i tuoi amici sono rimasti alla festa , che si stava concludendo; non pensi che potrebbero o dovrebbero essere lì con te, pensi ad altro per quello che te lo permettono i dolori.
È solo la mattina dopo, sotto la doccia, che pensi a questo, che senti note stonate, ma pensi ancora che nulla ti è dovuto.
Rivedi gli amici a colazione, e sentendo la loro leggerezza e allegria con cui parlano della serata precedente, ti scappa la pazienza e, contro ogni tua abitudine, alzi anche un po’ la voce e li rimproveri, sì, li rimproveri di averti lasciata sola la sera prima. E’ il tuo dolore, è il tuo grido di dolore, forse anche una richiesta di aiuto.
L’amico, quello di cui si diceva prima , si allontana e dopo un po’ torna.
Tu ti allontani, vai in camera.
Lì ti raggiungono due amici, con i quali vi spiegate, vi dite, vi chiarite.
L’amico, invece, da allora non lo vedi e non lo senti più, finito ogni affetto , ogni amicizia? Non vedi e non senti più nemmeno la sua compagna.
Tu non lo chiami più, lui non chiama più te.
Pare che potrebbe essere disponibile per un ‘confronto’ e che abbia pure detto, lui, come dovrebbe avvenire l’incontro.
L’amico, mesi prima, a fronte di una grave perdita subita dagli altri amici e del loro grande dolore, aveva detto, a proposito della necessità di essere presenti come amici in quei momenti dolorosi, aveva detto, con una metafora, che se una persona sta affogando tu non stai a farti domande o pensieri , bensì ti tuffi e vai a salvarlo, altrimenti “cosa stiamo costruendo, come amici?”. In realtà, queste cose, molto belle, le aveva dette la sua compagna, ma lui era d’accordo. E lo erano tutti, d’accordo.
CI SONO MODI MIGLIORI PER ESPRIMERE UN DOLORE, UNA DISPERAZIONE?
Forse si, non nel senso assoluto, ma nel senso della capacità di accoglienza del dolore, del giudizio sulla persona che lo sta esprimendo, e di chissà quanti altri fattori.
Ci sono dolori che da fuori sono comprensibili, comunemente classificati come grandi, terribili, e altri no.
Poi ci sono dolori che da fuori non solo non sono comprensibili, ma sono giudicabili in modo molto negativo. Non puoi soffrire se muore un tuo gatto, un tuo cane: questi sono tra i dolori derisibili, per esempio.
Ricordo che molti molti anni fa lessi un elenco di fattori causa di stress, un classifica in ordine di gravità; al primo posto c’era il lutto, al secondo la separazione. Dopo un po’ di tempo la classifica vide al primo posto la separazione, al secondo il lutto, e questo perché le separazioni erano aumentate ed aumentavano, dando così ulteriori elementi di lettura delle cause dello stress.
Niente è assoluto, quando si riesce a vedere tutti gli elementi di un fatto.
E così, dopo aver ascoltato la storia di quella persona di cui ho parlato, di quel “tu” posto come esempio, le domande, le solite , ricorrono silenziose e pressanti.
CHI SONO IO? CHI SEI TU?
E L’AMICIZIA, COS’È?
amicizie-silenzio-1658998544“Ringrazio il vaso che trabocca, l’ultima goccia, il braccio che mi ha spinta sotto, il passo lungo del dolore, nell’istante in cui ha raggiunto la forcella, il bivio. Senza di loro, avrei indugiato, tappandomi gli occhi con le mani, perseverando nella fuga, nel nascondimento. Ringrazio il punto di rottura, l’umiliazione più cocente, lo strappo immedicabile. Ringrazio le scuse mai arrivate o arrivate per procura, il rispetto sconosciuto, ogni forma di bene clandestino. Ringrazio l’arte della sutura e del ricamo, con cui ho fatto ammenda di ferite. Ringrazio la punteggiatura e l’elemosina, la questua, il disonore del poco cui ho preferito la dignità contegnosa del niente. Più di ogni altra cosa, ringrazio il male immeritato. In sua assenza, sarei rimasta ferma, illesa ed incorrotta ma senza aria, dormendo un sonno di commedia, di facciata, tragicamente destinata a ripassare una lezione che rifiutavo d’imparare: l’amore per me stessa e la sua carestia.”
(Antonia Storace, fonte web)
336. l’amicizia, il dolore e “chi sono io?”, “chi sei tu?”ultima modifica: 2024-02-19T20:15:00+01:00da mara.alunni