ORZO

L’orzo è un cereale, impiegato come alimento, ottenuto dalle cariossidi dell’Hordeum vulgare (Graminacee), utilizzate come tali oppure trasformate.
L’Hordeum vulgare, da quanto ne sappiamo, era già coltivato in Medio Oriente nel VII millennio a.C. e poi fu diffuso, grazie ai commerci, in tutto il mondo. La resa di questo cereale della famiglia Poaceae, genere Hordeum, è in forte aumento anche se risente ancora della bassa resistenza all’allettamento.
Questo cereale è impiegato previa decorticazione o brillatura per preparazione di zuppe da solo o con altri cereali e/o legumi non solo ma è utilizzato, trasformato in farine, nella panificazione, da solo o miscelato con altre farine, ma anche per piatti tipici, dolci e pasticcini. Macinato grosso si ottengono delle semole grosse adatte a piatti tipici nordafricani simili al cuscus.
Previa tostatura e macinato molto finemente, fino ad ottenere una polvere simile alla farina, l’orzo è impiegato per preparare il caffè d’orzo e come componente base per la produzione di altre bevande con sapore simile al caffè ma prive di caffeina (tra cui lo yannoh); Aggiungendo acqua o latte caldi, le bevande vengono anche usate come sostitutivi del caffè.
Il caffè d’orzo si è diffuso in Europa durante la seconda guerra mondiale, ma con il passare del tempo questa bevanda ha perso un po’ d’interesse nel resto del Vecchio Continente mentre è rimasto ancora forte in Italia, dove si conferma una soluzione molto apprezzata da chi soffre di ipertensione ed ha bisogno di una bevanda mattutina che non influisca sulla pressione sanguigna, infatti uno dei principali benefici offerti dal caffè d’orzo è senz’altro l’assenza di caffeina.
Al caffè d’orzo è inoltre associata un’azione di controllo del glucosio nel sangue, il che rende questa bevanda benefica per chi soffre di iperglicemia.
L’assenza di colesterolo è un altro dei punti a favore del caffè d’orzo, che si presta inoltre al consumo da parte di molte delle persone affette da patologie metaboliche o alimentari, eccezion fatta chiaramente per chi soffre di celiachia, in quanto l’orzo contiene glutine.
Ad ogni 100 grammi di caffè d’orzo in polvere corrispondono circa 80 grammi di carboidrati (perlopiù complessi), 5-6 grammi di proteine e 2,7 gr. di lipidi (perlopiù acidi grassi polinsaturi). Sono presenti inoltre in buone quantità potassio (1840 mg) e fosforo (580 mg), mentre le fibre sono appena lo 0,1%.L’apporto calorico per 100 grammi di prodotto è stimato in circa 350 kcal, mentre sono presenti anche altri sali minerali (oltre a potassio e fosforo) quali sodio (73 mg), calcio (52 mg), ferro (4,6 mg) e zinco (0,5). Presente in una discreta quantità (16,9 mg) la niacina anche nota come vitamina PP o B3. Risultano invece assenti la caffeina e il colesterolo.
Da Noi di Nobile Passione il caffè d’orzo lo puoi trovare disponibile nella versione in cialde ese 44mm e in capsule compatibili con i sistemi più diffusi sul mercato quali: Lavazza Point*, Lavazza Modo Mio*, Nespresso*, Nescafè Dolce Gusto*, Uno System*, Caffitaly* e Bialetti*.

la storia del caffè

Infiorescenza di Coffea canephora (“robusta”) all’orto botanico di Madeira.

L’inizio della storia del caffè risale molto probabilmente al Medioevo, attorno al X o più presumibilmente verso il XV secolo, ma con possibili precedenti in tutta una serie di relazioni e leggende che circondano il suo primo utilizzo.

L’albero di Coffea (la specie nativa non domesticata) è originario dell’antica provincia di Kaffa/Kefa (da cui trae il nome) situata nel Sudovest dell’Etiopia, attorno a Gimma; la leggenda più diffusa narra che un pastore dell’Abissinia notò l’effetto tonificante di quest’arbusto sul proprio gregge di capre che stavano pascolando nei suoi pressi. La coltivazione si diffuse presto nella vicina penisola arabica, dove la sua popolarità beneficiò del divieto islamico nei confronti della bevanda alcolica; prese il nome di “K’hawah”, che significa “rinvigorente”.

“Ciliegie di caffè” nel Minas Gerais (Brasile).

La prima prova dimostratasi valida dell’esistenza di una caffetteriae della relativa conoscenza della pianta risale al XV secolo, nei monasteri del Sufismo nell’attuale Yemen[1]. Nel XVI secolo aveva già raggiunto il resto del Medio Oriente, l’India meridionale (il distretto di Kodagu), la Persia, l’odierna Turchia, il Corno d’Africa e il Nordafrica. Attraverso l’impero ottomano si diffuse poi ai Balcani, alla penisola italiana e al resto del continente europeo, al Sudest asiatico e infine alle Americhe[2].

La sua rarità lo rese molto costoso in Europa almeno fino al primo terzo del XVIII secolo. In seguito se ne sviluppò la coltura sia nei possedimenti francesi che in quelli olandesi d’oltremare, a cui seguirono i grandi produttori nella Capitaneria generale di Cuba, nel regno del Brasile, in Venezuela, nelle Indie orientali olandesi e a Ceylon britannico nel corso del XIX secolo.

Una raccoglitrice di caffè in Etiopia.

Nell’America meridionale i periodi di crisi fecero aumentare la quota delle aziende agricole contadine a scapito delle aziende basate sulla schiavitù e il lavoro forzato[3]. Il desiderio di recuperare le terre che erano state derubate alla popolazione locale provocò un’appropriazione della caffeicoltura[3], diventando così elemento costitutivo dell’identità degli “andini” venezuelani e della regione “Paisa” in Colombia[3].

Nel continente africano ha permesso ai Baulé della Costa d’Avorio, ai Bamiléké del Camerun, ai Kikuyu del Kenya e ai Chaga della Tanzania di svolgere un ruolo fondamentale nei loro paesi[3]. Assieme al Venezuela, Ceylon e Cuba, Haiti e la Colonia della Giamaica sono stati tra i 20 maggiori paesi produttori di caffè durante il XIX secolo. L’esportazione perdette in parte la sua influenza nel corso del XX secolo, quando le grandi aziende cominciarono a basarsi sulle nuove infrastrutture per ottenere il controllo commerciale, fissare i prezzi, ma anche contribuendo ad un’enorme crescita del volume di caffè venduto[4].

Crescendo in alta quota, lontano dai porti, il Coffea è particolarmente sensibile alle variazioni di temperatura, ma anche alla densità forestale (ad esempio l’ombra creata dagli altri alberi); l’apporto di pesticidi e fertilizzanti ha causato il progressivo impoverimento del suolo (e ciò con costi imprevedibili), poiché l’arbusto installato a seguito dell’opera di disboscamento dona il proprio frutto solamente dopo 4 anni di crescita e si esaurisce dopo due decenni.

La produzione mondiale è salita da 100.000 tonnellate nel 1825 a 8.9 milioni nel 2013, moltiplicandosi in tal modo più di 89 volte in meno di due secoli[5]. All’alba del XX secolo il commercio mondiale del caffè costituiva il terzo più grande per valore, dietro ai cerealie allo zucchero[4].

Nel XXI secolo è il prodotto maggiormente commercializzato a livello mondiale, preceduto solamente dal petrolio, con un importo di 11,23 miliardi di euro[6]; per una fornitura di 400 miliardi di tazzine annue al consumo, pari a circa 12.000 al secondo. La coltivazione permette la sussistenza a 125 milioni di persone in oltre 75 paesi tropicali[6], con 5 milioni di grandi produttori[6] e 25 milioni[6] di piccoli produttori indipendenti[7]. Il caffè rappresenta il 61% delle esportazioni del Burundi, il 37% dell’Etiopia, il 35% del Ruanda, il 21% dell’Uganda, il 18% del Nicaragua e il 17% dell’Honduras[3].

Il caffè contiene caffeina – un alcaloide naturale – e fa parte delle cosiddette “bevande nervine“.

Infine il caffè d’orzo e il caffè decaffeinato sono privi del principio attivo di base. La Coca-Cola invece contiene anch’essa caffeina, seppur in quantità variabile (generalmente 100 mg/l)[8].