della misericordia e di immigrati

preghiera

ribera

 

Oh, come Amor trasforma
i tuoi soavi e leggiadri occhi
quando l’innocente tuo pargoletto
ammiri in estasi – che ometto!
Oh, qual incantevole creatura generasti,
che ora, con la croce sul petto,
la Comunione in Cristo
accoglie a mo’ di cherubino,
che dolce bambino!
Lo guardi, tra i cori e l’incenso,
e lui, piccino, con languido sguardo
come una Madonna ti rimira.
E tu proprio la Misericordiosa, invero,
hai come fisso traguardo,
come unico pensiero.
Bontà e amore
son ciò che daresti al mondo intero.
Genuflessa, in preghiera, ringrazi
l’Altissimo e Onnipotente,
e da cristiana zelante
confessi quei tuoi sparuti e veniali peccati,
tu, che il mondo intero direbbe
pura e innocente più di un lattante.
Ah! ma il Fato non ti fu amico
fino all’ora tarda, fino al tramonto,
ché macchiò quel così candido evento
con disdicevole inusitato affronto,
quando volse, il tuo dolce fanciullo,
sensibile lo sguardo al pavimento
ove immondo giacea discinto e fetente
il nero immigrato, un pezzente.
Povera te, offesa da quell’essere
impudente
Povera te, sfiorata da quel lezzo
indecente.
La tua anima votata a Dio
non sopportò oltre quella sconcezza
di insozzare il sagrato di tale mondezza,
e proferisti sante parole accorate,
dicesti “il suolo italico lasciate!
Voi qui venite non per lavorare
ma per far gozzoviglia e stuprare,
e non paghi di questo
avete l’ardire di protestare
lui per l’insipido rancio con poco sale
e tu, musulmano, perché contiene maiale.
Ma quale guerra, ma quale tragedia,
torna al tuo lido, o marrano, e dunque rimedia
a questa vergogna. Non vi vogliamo!
Nostra è la terra che state usurpando
col tergicristallo e poi mendicando.
Altro che diritto del suolo! Questo mai!
Grandi e bambini, questo è sicuro,
vi prenderei volentieri a calci nel…”
“Din don din don” le dolci campane
copriron con santi rintocchi
ciò che l’alma devota lasciossi sfuggire
per umano errare e sacro furore.
Ma fu un secondo e subito dopo
la brutta parola era stata abbuonata.
Tre colpi sul petto e un’avemaria,
“Sicuro che Dio mi ha già perdonata.
Orsù, pace e amore e così sia”.

 

 

immigrati italiani .                           immigrati

Ricordati di ricordare: ricordare Henry Miller

images-8Chi conosce Big Sur? Per chi non sa chi sia Henry Miller, Big Sur è semplicemente una località della California, una splendida regione degli StatiUniti che si affaccia sull’Oceano Pacifico nel tratto di costa compreso tra San Francisco e Los Angeles. Per chi conosce Henry Miller, invece, Big Sur è molto di più, è luogo reale e mentale allo stesso tempo, è il “buen retiro” in cui visse per più di vent’anni lo scrittore, la meta di pellegrinaggio per i giovani della Beat generation, ed è anche quell’universo milleriano dove abitano uomini grandiosi nella loro semplicità, sogni, visioni, illuminazioni surreali e amori “millenari”, viaggi immaginati e reali. Big Sur e le arance di Hieronimus Bosh è, inoltre, il titolo fantastico ed evocativo di un libro di Miller: un libro che può essere per molti una rivelazione, l’iniziazione ad una nuova concezione della vita. Big Sur dunque può essere il punto di partenza per conoscere lo scrittore e la sua opera (che spesso coincidono).

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Miller nacque a New York il 26 dicembre 1891, e scrisse per tutta la sua vita libri che per la maggior parte sono autobiografici in modo scabroso, cosa che gli valse dalla critica benpensante il titolo di “pornografo”, “osceno”, “indecente” e persino l’incriminazione per offesa al pudore e la censura per moltissimi anni. L’oscenità, in realtà, è estrema sincerità, cruda, a volte violenta e scioccante. Tutta la sua opera, tutti i suoi libri, sono una lunga violenta e felice confessione di un uomo che ama la vita in maniera esuberante, e per questo ne accetta tutti gli aspetti: “la ragione per cui ho parlato tanto del perverso, del brutto, dell’immorale e del crudele – scrive Miller _ è che volevo si sapesse quanto importanti siano queste cose: importanti almeno quanto il bene”.

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Anais Nin ed Henry Miller

Certamente la sua opera non è garbata, ma senza dubbio è “uno sforzo onesto e sincero” per liberare se stesso come scrittore e come persona, e per cercare di liberare allo stesso modo i suoi lettori: liberarli dai pesanti condizionamenti della società (specialmente quella tecnologico-industriale americana, definita “l’universo della morte”) che conducono all’alienazione e alla massificazione, mortificando l’individuo e le sue potenziali capacità espressive. Da qui nasce la potente prosa di Henry Miller, che si serve dell’osceno non per scandalizzare, ma per denunciare il decadimento morale del mondo borghese contemporaneo, per ridicolizzare il perbenismo e i falsi miti, e più spesso per esprimere la violenza con cui guarda dentro se stesso, alla ricerca di un senso, di una risposta al meraviglioso mistero della vita. La sua oscenità, che non è pornografia, non è morbosa, guarda oltre se stessa, “è un tentativo di spiare i segreti processi dell’Universo”. Il sesso è vissuto come gioia, piacere, anche come disperazione; ma mai (tranne in alcuni libri degli inizi commissionatigli proprio con questo intento) perversione o peccato o degenerazione. Il sesso è parte della vita come l’amore, l’arte, la morte, il sublime, il sordido.images-3

Henry Miller è morto nel 1980, e di lui si parla poco o niente; non si parla dei suoi libri scandalosi come Tropico del Cancro, Tropico del Capricorno, Sexus, Plexus, ecc., e tanto meno si parla di quelli meno conosciuti ma ugualmente indimenticabili come Il sorriso ai piedi della scala, storia poetica e lieve ispirata ai circhi di Juan Mirò, di Chagall e Léger; o Ricordati di ricordare e L’incubo ad aia condizionata, apertamente polemici nei confronti della mostruosa società in cui gli uomini sono ridotti ad esseri grigi e amorfi; e ancora Dipingere è amare di nuovo, Big sur e le arance di Hieronymus Bosh, I libri della mia vita,  Primavera nera e tutti gli altri libri in cui Miller ha cantato un inno alla vita, “con la sua gioia di vivere, le sue esplosioni di energia vitale, la sua serenità di vecchio saggio, la sua sapienza di chi rispetta il corpo, lo conosce e lo ama almeno tanto quanto conosce, rispetta e ama i valori della mente”.

bianco

Il mio spirito inquieto –

impermeabile di gomma bianca –

giace disfatto

in questa fredda stanza

bianca di gelido marmo.

La profondità del vuoto

si moltiplica nei riflessi

umidi e levigati

del bianco tetto di marmo

dei bianchi muri di marmo

del bianco pavimento di marmo.

E freddo è il vetro della grande finestra

anch’esso bianco

perché fuori tutto è ghiaccio

Quando nel silenzio totale

Quando nel silenzio totale

del profondo sogno marino

i tuoi occhi umidi e dolci

cercheranno suoni di parole superflue

esisterà solo l’immensa vibrazione

del mio muto desiderio.

E divorerò silenzioso,

nel nostro abisso personale,

il tuo odore di mare e di sole

e il tuo sorriso leggero.

Mi nutrirò del tuo colore

e respirerò il tuo respiro.

Ecco, siamo già

in un abisso cristallizzato

dove il sibilo del silenzio

è poesia

dove i muti poeti di carta sfilano

come fossero ombre cinesi.

In fondo a questo nostro mare

viviamo l’eterno miracolo

viviamo senza tempo

adesso che possiamo farlo.

Perdersi in abissi personali

smarriti in azzurri oceani di piacere

è quello che rimane

alla fine di un lungo

pesante viaggio solare.

E’ l’ora del tramonto

Tra fragranze pungenti al benzolo

trascorro ore a meditare

in questo afoso recinto

di lamiere.

E’ l’ora del tramonto.

Tra riflessi giallo ocra

di metalliche ramificazioni

contemplo la morte di un altro giorno.

E nasce la calda sera

che sopisce lontani echi titanici

di mostruose macchine.

Tutto è fermo, tutto è quiete.

Sibilo lacerante

il silenzio mi diviene

per paradossale sovvertimento

insopportabile lamento

di una natura che muore.