Verrà ricordato come un re delle voci, Elio Pandolfi, morto ieri a 95 anni nella sua Roma, il doppiatore di 500 pellicole, grazie ai suoi straordinari registri, da Stan Laurel a Gielgud e Sellers, da Paperino a Braccobaldo e perfino l’Anita Ekberg di «Boccaccio ’70» che faceva impazzire i fonici della Scalera perché andava sempre fuori sincrono. Uno strumento strepitoso, il suo, un timbro all’origine grave, baritonale che sapeva reincarnare in italiano e in diverse lingue straniere uomini e animali («nei cartoni animati m’hanno fatto doppia’ de’ tutto: sorci, paperi, galline») con impareggiabile versatilità.
In realtà Pandolfi (diplomato alla Silvio D’Amico) è stato molto di più: si può considerare l’ultimo rappresentante di quel genere di teatranti chiamati brillanti che passavano disinvoltamente dalla rivista alla prosa, dal cinema alla tv, dalla radio alla commedia musicale, all’operetta.
Sulla scena con la Wandissima e Dapporto, sui copioni di Garinei & Giovannini o di Amurri, Verde, Faele, Castaldo, dagli show del sabato sera sul piccolo schermo ai varietà radiofonici (in coppia per anni con Antonella Steni che fu sua amatissima partner, in una sintonia di irriverente baldanza). Amatissimo da Visconti, Fellini, Wertmuller, interpretò decine di film dagli anni ’50 in poi, tra cui alcuni titoli entrati nella storia della Settima Arte, ma si doleva che in nessuno fosse stato protagonista. Lascia un figlio adottivo, Natale Orioles, a cui ha affidato l’ultima volontà: niente funerali.