Perchè

Perchè del misero il core
acuta un di trafisse
sottil sagitta d’amore?
Perchè del relitto indegno
tal sentimento
l’alma scosse e turbò l’ingegno?
Ahimè lasso!
Consola oh eterno,
che in angoscia cado come sasso.
Ma tosto ineffabil vento
dal recondito spira,
a lenir paterno il mio tormento.
Neccesse est
che il tuo soffrir d’eletto,
qual prezioso,
nel gran mosaico sia perfetto.
Ita est
e più non indagar
che a funesto approdo
mena il tuo crucciar.
Cheta fili mi,
che di tua vita
il naufrago veliero,
all’eterno faro duce
provvido Nocchiero.

PL.S.

Perchèultima modifica: 2020-03-30T21:12:17+02:00da Ilgabbiano_Jonathan
    • Affranto dal dolore,angosciato nell’anima e nel corpo,il suo percorso già predestinato ad un naufragio completo,respinto certamente da forze positive che lo circondano..==trafisse sottile sagitta d’amore?== un interrogativo esistenziale,un pensiero assiduo ed incessante che assilla tutto il suo essere scuotendo altresì
      il suo ingegno,capacità di riflettere ed orientarsi.Cadendo come un …corpo morto cade..(avrebbe detto Dante) in angoscia profonda,trae sollievo tuttavia da un momentaneo,soffice ed indicibile alito di vento,ma tutto comunque e’ stato destinato==Necesse est== ad una nobile e fatale sofferenza da aggiungere ad altre per ben completare in definitiva il mosaico della sua vita,ahimè tanto amara..==Ita est==così è e più non domandare..perchè il dolore approda ad una angoscia maggiore..Bellissimi e significativi i versi finali nei quali si nota un segno di speranza:nocchiero della sua vita,pur naufragando,nella oscura notte intravede da lontano un bagliore di luce:il faro

  1. Nove marzo duemilaventi

    Questo ti voglio dire
    ci dovevamo fermare.
    Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
    ch’era troppo furioso
    il nostro fare. Stare dentro le cose.
    Tutti fuori di noi.
    Agitare ogni ora – farla fruttare.
    Ci dovevamo fermare
    e non ci riuscivamo.
    Andava fatto insieme.
    Rallentare la corsa.
    Ma non ci riuscivamo.
    Non c’era sforzo umano
    che ci potesse bloccare.
    E poiché questo
    era desiderio tacito comune
    come un inconscio volere –
    forse la specie nostra ha ubbidito
    slacciato le catene che tengono blindato
    il nostro seme. Aperto
    le fessure più segrete
    e fatto entrare.
    Forse per questo dopo c’è stato un salto
    di specie – dal pipistrello a noi.
    Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
    Forse, non so.
    Adesso siamo a casa.
    È portentoso quello che succede.
    E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
    Forse ci sono doni.
    Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
    C’è un molto forte richiamo
    della specie ora e come specie adesso
    deve pensarsi ognuno. Un comune destino
    ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
    O tutti quanti o nessuno.
    È potente la terra. Viva per davvero.
    Io la sento pensante d’un pensiero
    che noi non conosciamo.
    E quello che succede? Consideriamo
    se non sia lei che muove.
    Se la legge che tiene ben guidato
    l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
    non sia piena espressione di quella legge
    che governa anche noi – proprio come
    ogni stella – ogni particella di cosmo.
    Se la materia oscura fosse questo
    tenersi insieme di tutto in un ardore
    di vita, con la spazzina morte che viene
    a equilibrare ogni specie.
    Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
    guidata. Non siamo noi
    che abbiamo fatto il cielo.
    Una voce imponente, senza parola
    ci dice ora di stare a casa, come bambini
    che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
    e non avranno baci, non saranno abbracciati.
    Ognuno dentro una frenata
    che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
    delle antiche antenate, delle madri.
    Guardare di più il cielo,
    tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
    il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
    piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
    stringere con la mano un’altra mano
    sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
    Un organismo solo. Tutta la specie
    la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.
    A quella stretta
    di un palmo col palmo di qualcuno
    a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
    noi torneremo con una comprensione dilatata.
    Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
    la nostra mano starà dentro il fare della vita.
    Adesso lo sappiamo quanto è triste
    stare lontani un metro.

    Mariangela Gualtieri