Il film tratto dal capolavoro di De Filippo, andato in onda ieri sera sulla RAI, sembra badare esclusivamente ad un aspetto: lo share, il numero di ascolti. 5 milioni di persone, secondo un articolo su Repubblica Napoli che pero’, democristianamente, si guarda bene dall’entrare nel merito della critica. Giuseppe Montesano, più arditamente, parla di una scintilla che non è mai scattata, riferendo la sua argomentazione quasi esclusivamente alla scelta degli attori. Considerata buona ed importantissima, per carità, ma qui l’analisi dovrebbe essere un tantino più approfondita: non parliamo degli interpreti di una partita di calcio, in fondo. Parliamo della riduzione TV di una delle commedie più celebri al mondo del drammaturgo ed attore napoletano, che è quasi sempre collegata implicitamente alla sua cristallizzata e ben nota edizione d’epoca.
De Angelis dirige con cura ed attenzione ai dettagli, ma alcune scelte sono discutibili: la scelta dell’interprete di Ninuccia (Pina Turco), ad esempio, in certi momenti da’ l’idea di un personaggio assente dalla scena, quasi estranea all’amore familiare tanto da minimizzare la celebre caduta della madre in seguito al capitone che è saltato via dalla finestra. Tommasino (Adriano Pantaleo) è un personaggio autonomo, anarchico ed efficace, forse il migliore di tutto il film, che si allontana sensatamente dalla tradizione, rielaborandola – così come il personaggio di zio Pasqualino (Tony Laudadio), degno di nota per la sua compostezza e coerenza, con un personaggio sottovaluto, difficile e spesso travisato.
Il teatro classico di De Filippo, in questa sede in particolare, si scontra per definizione con la tendenza degli attori moderni (e non parliamo solo di teatro) a drammatizzare ogni cosa all’estremo, anche quando non è prettamente necessario, oltre a rappresentare personaggi che sono duali, quasi dissociati, dai comportamenti a volte improbabili (la performance di Castellitto nella parte di Luca, per intenderci convince fino ad un certo punto: soprattutto quando passa da reazioni di rabbia ad atteggiamenti benevolenti, senza una vera e propria continuità). Il tutto, per assurdo, a prescindere dalla sostanza, come se ogni opera teatrale potesse o dovesse essere interpretata provocando lo straniamento di memoria brechtiana. La verfremdung, l’alienazione, tipica delle espressioni del teatro moderno e soprattutto di quelle dell’assurdo, resta difficilmente applicabile ad un contesto di commedia come quello di De Filippo, a nostro avviso.
Non è così, ed è forse la lezione più fuorviante che ha insegnato il teatro moderno, anche in considerazione di come ad esempio Carmelo Bene rese seria (per quanto, in quel caso, validissima) la favola di Pinocchio, l’esempio più mite e didascalico di storia per ragazzi, che lui stravolse e rilesse in maniera magistrale facendolo diventare un delirio di suggestioni e di verfremdung. Il fatto che il teatro rappresenti tipi dissociati, difficili da comprendere e via dicendo, non dovrebbe mai essere visto come un vezzo da intellettuali: ed il rischio di questo film di De Angelis, certamente non da bocciare ma assestato su una “media” mediocre o imprecisabile, è proprio quello di provare ad essere ciò che non può essere.
Riproporre in TV l’opera in una versione riveduta e corretta, in parte osteggiata e vista con scetticismo da chi ha amato il sapore dell’opera teatrale in sè, sembra già, di per sè, un successo: perchè oggi nessuno parla davvero di teatro e tutti badano alla share (la pagina Wikipedia del film è stata già aggiornata, in tempi record, coi dati dello share). Bene o male, insomma, purchè se ne parli.