Amore come malattia

Amore come malattia,
la colpa è di Catullo

La Formula dell’Amore come malattia è vecchia come il mondo. Una delle più celebri voci della poesia antica, Catullo (87-54 a. C.), la ripropone (Carme 51, vv. 9-13), riprendendola da Saffo (Ode 31).
Nel 1895 Giovanni Pascoli, citando gli endecasillabi derivati da Saffo, riporta un giudizio di Plinio il Giovine, riassumibile in una formula breve ma efficace: “amamus, dolemus”.
Quanto pesi in questa enunciazione (che da poetica si fa filosofica) l’esperienza di vita di Catullo stesso, ce lo spiega ancora Pascoli: “La sua poesia è ‘vita’ descritta, e la vita ha vicino il sorriso alla lagrima e il sogghigno al dolore”, come appunto riassume Plinio con quel suo “amamus, dolemus”.
Catullo però cerca di superare questa condizione, come quando all’inizio del Carme 51 grida “Vivamus, mea Lesbia, atque amemus”, “dobbiamo vivere ed amare, senza tener conto delle proteste dei vecchi severi, e dammi mille baci, e poi cento, e poi ancora mille ed altri cento”, senza contarli però, perché nessun malvagio porti male sapendo quanti sono stati i nostri baci.
Oggi qualche psicanalista potrebbe suggerire che la terapia del bacio suggerita da Catullo, è il vero tema dell’amore come malattia.
(Le citazioni riportate sono riprese dai “Canti” di Catullo curati da A. Traina, Milano, edd. 1982 e 2016.)
In epoche successive il tema si sviluppa con variazioni che, ignorando tutto quanto la scienza dimostra circa la psicologia femminile, riducono la donna ad immagine negativa e persino ripugnante.
Jeanne C. Granese
Rimini
Pubblicata su “Corriere Romagna”, 27 marzo 2018