Gli aneddoti de Paulì – N.3

 

Disposizione mediche

 

Correva l’anno… Boh, chisse-lo-ricorda…

Correva l’anno in cui una delle mie cugine più giovani fece (ricevette, ma qui non famo i guzzi(*1)) la cresima, circa una decina di anni fa.

Poi scoprirete anche perché la memoria in merito non è troppo limpida.

 

Sorvolo la parte della messa che non apporta elementi significativi al nostro aneddoto.

Parliamo comunque di un evento importante, che va quindi festeggiato con una bella mangiata in famiglia.

Ristorante, tavolata a ferro di cavallo, cresimata al centro, genitori ai lati, nonni lì appresso e zii e cugini sulle fasce laterali.

Lo schema perfetto.

 

Io ed i miei cugini della “prima sfornata”, tutti maschi (loro), ci sediamo vicini.

 

Pranzo a base di carne, vino rosso che viene distribuito in bottiglie a temperatura ambiente,

a distanza tutt’altro che eccessiva, una delle quali davanti a mio nonno Paulì.

Bianco, Paulì beve solo vino bianco, mejo(*2) se de casa, ma non ce stamo a impuntà(*3), dai..

Il cameriere porta una bottiglia di vino bianco a mio nonno che era già seduto, mentre gli altri continuavano ancora i convenevoli.

Paulì non ne voleva tante, voleva magnà… e beve. No l’acqua, eh.. che fa ‘rrugginì(*4)!

 

Il vino bianco va servito fresco, ed infatti la bottiglia davanti a mio nonno sudava la sua bella condensa.

Mio babbo alla cameriera:

Mi scusi signorina, cortesemente

solleva la bottiglia di bianco e gliela fa vedere,

potrebbe portare gentilmente una bottiglia a temperatura ambiente a mio babbo,

sa… è anziano, poi magari gli da fastidio allo stomaco..”.

e riappoggia la bottiglia.

La cameriera cortesemente esegue. E affianca la nuova bottiglia, a temperatura ambiente, accanto all’altra, davanti a mio nonno.

 

Beh, non sto a dirvi… il pranzo inizia, si ride e si scherza, il tempo passa velocemente e gioiosamente,

mangiando cospicuamente

e, giunti ormai ai secondi, ridendo e scherzando,

io ed i miei cugini ci siamo ormai scolati una bottiglia di rosso a testa.

Tre teste, tre bottiglie, questo me lo ricordo.

 

Sentiamo a lato il silenzioso Paulì che prende la parola:

Quanno c’aveo quarant’anni…” 

 

Notiamo nel frattempo che la bottiglia di bianco a temperatura ambiente era evidentemente difettosa, infatti è vuota.

Paulì attacca l’altra bottiglia, quella che ERA fredda e che ovviamente nel frattempo è diventata a temperatura ambiente

e solleva il calice:

 

Quanno c’avevo quarant’anni…

el dottore mia,

m’avea detto che doveo smette de beve el vi’.”

                “Ade’, io, c’ho più de ottant’anni.

E beo el vi’.”

                “Lu… è morto!”(*5)

 

Le pause nei discorsi sono fondamentali, come nella musica.

Il rumore del silenzio sottolinea delle grandi verità.

 

Non fatelo a casa.

 

…ma per Paulì era giusto così, c’è arrivato alla soglia degli 87 anni.

Il dottore no, buonanima, ma magari dava consigli che non seguiva neanche lui, chissà.. Non l’ho mai conosciuto.

 

 Glossario:

*1 – famo i guzzi: letteralmente “non facciamo gli aguzzi”, usato dalle nostre parti per indicare un linguaggio fine, raffinato, ricercato.

*2 – mejo: meglio, era facile dai!

*3 – non ce stamo a ‘mpuntà: non stiamo ad impuntarci, inteso come puntare i piedi, fossilizzarsi su dettagli inutili

*4 – ‘rrugginì: arrugginire. “Magnà” ritengo non sia necessario tradurlo.

*5 – “Quando avevo 40 anni, il mio dottore, mi aveva detto di smettere di bere vino.

         Adesso io ho più di 80 anni, ed ancora bevo vino (era evidente), lui è morto.”

Gli aneddoti de Paulì – N.1

“Pizzigà e nu’ ride”

 

Mio nonno paterno, Paolo, per tutti da sempre Paulì, suonava l’organetto.

Lo suonava ad orecchio, ma soprattutto con il callo a punta sul polpastrello del pollice destro.

In realtà, in quasi quarant’anni l’avrò sentito suonare una o due volte,

forse giusto mezza…

ma l’ho sentito raccontare talmente spesso, che è come se ci si accompagnasse tutte le volte.

 

Mio nonno non parlava tantissimo, ma se lo faceva era con ironia, era un burlone dalla faccia seria, che se la rideva sotto i baffi.

Baffi intinti di vino, ma questo è un altro aneddoto, lo lascerò per un’altra volta!

Paulì era dispettoso, ma davvero davvero tanto, di quel dispettoso che a dir la verità… a ricordare bene, faceva venire i nervi…

Era un genio, una genio del male (fisico)… lui giocava a “pizzigà e nu ride”.

 

Ci ho messo anni per capire la sottile ironia di questa piccola frase dialettale.

Immaginate di essere bimbi dalla carne tenerella e delicata

e di avere un nonno che, seppur non proprio una scheggia (anzi piuttosto claudicante in verità),

vi rincorre per pizzicarvi strigendo la vostra bella ciccetta, tra il suddetto callo e l’incavo creato dall’indice messo ad uncino.

Insomma, per intenderci, non premendo i polpastrelli tra di loro come per fare un OK, ma premendo il pollice sul resto del pugno semichiuso.

Quel callo era talmente grande che sarebbe stato corretto dargli un nome.

Che poi secondo me non era un callo, ma proprio un osso creatosi tra la pelle e la carne sottostante.. Mah

 

Vie’ qua! Vie’ da Nonno… Giogamo a pizzigà e nu ride!

Eh caro nonno, penso di non aver mai corso così tanto come quando giocavo con te, da bambina… Neanche ai Giochi della Gioventù, alle elementari!

Che poi sono cresciuta e fortunatamente, essendo la prima nipote, è toccato alla carne più fresca dei miei cuginetti!

 

Non so se è chiaro, miei cari lettori, che il gioco di mio nonno dura praticamente una vita…

e poteva chiamarsi anche: “Giogamo a pizzigà e poi ridi dopo”,

perchè in effetti allora, coi lividi che rimanevano per qualche giorno, si rideva ben poco…

ma col senno di poi, ripensando a quel sorrisetto furbo, ce la spassiamo ancora.

 

Ciao Paulì 😉

PS: Ho sempre pensato che il callo derivasse dal suonare l’organetto, così mi è sembrato fosse sempre stato sottinteso, ma in effetti a pensarci bene, sarà vero? Mah…