Finnegan Lee Elder e Gabriel Christian Natale Hjorth sono stati condannati all’ergastolo per l’omicidio del brigadiere Mario Cerciello Rega, ucciso nel luglio 2019 a Roma.  I due imputati americani hanno assistito alla lettura di una sentenza che era già nell’aria. L’accusa aveva sollecitato l’ergastolo per entrambi gli imputati, rifiutando le attenuanti che i legali della difesa avevano presentato a causa della loro giovane età e del fatto di essere incensurati. Come se essere giovani e incensurati autorizzasse implicitamente una persona a commettere un delitto atroce, infliggendo a un carabiniere non una o due, ma undici coltellate, squartandolo come un tacchino nel Giorno del Ringraziamento e palesando una chiara volontà non di difendersi da un’aggressione, ma di uccidere. Gli avvocati difensori faranno ricorso in Appello e poi, eventualmente, in Cassazione. Ma a meno che non subentri qualche pressione dagli Usa, che sono sempre pronti a difendere i propri cittadini che all’estero ci cacciano nei guai, i due passeranno il resto della loro vita dietro le sbarre. I giudici hanno stabilito anche un milione di euro a titolo di risarcimento per la vedova di Cerciello e due mesi di isolamento diurno per i due carnefici. Davanti a questa sentenza, che ritengo giusta per l’efferatezza del crimine commesso da due sbandati, drogati e armati di un coltello alla Rambo, c’è da farsi però una domanda: “Se al posto di un carabiniere fosse stato ucciso un cittadino comune, ci sarebbe stato lo stesso l’ergastolo?”. La domanda è maliziosa, lo so, ma pertinente.