ANGIOLINO BONETTA 14 anni, Servo di Dio
Vivace e sportivo, allegrissimo, in seguito a “un male” alla gamba, si trova con una gamba sola. Una lunga “via crucis ” vissuta con Gesù. Cigole è un paese che si incontra uscendo da Brescia e inoltrandosi verso Cremona. Qui il 18 settembre 1948, da una buona famiglia di lavoratori, nasce Angelo Bonetta. In casa lo chiamano subito Angiolino.
Appena impara a camminare e ad aprir bocca, si rivela vivace con una grande voglia di correre, saltare, divertirsi, combinare marachelle. Già all’asilo è il capobanda dei bambini e le maestre sono impegnate assai a tenerlo a bada.
In terza elementare, durante l’intervallo, con i compagni, una mattina decide dei incollare le “caramelle” di gomma americana, ormai succhiate, sulla sedia dell’insegnate, il quale poi, senza accorgersi di nulla, vi si siede sopra. Le risate sono fragorose quando al maestro, alzandosi, rimane la sedia appiccicata…
Ha voglia di giocare a pallone, di fare dello sport, i compagni solo a sentire dire “C’è Angiolino” sono tutti attorno a lui per divertirsi, ed è uno spasso.
Ma c’è un fatto importante nella vita: il 14 aprile 1955 Angiolino riceve la prima Comunione. Gli nasce dentro qualcosa di diverso, pur continuando ad essere spensierato ed allegrissimo: Gesù Eucaristico lo attira sempre di più, fino a chiedere al parroco di poterlo ricevere tutti i giorni nella Comunione.
Impara a servire la Messa e lo fa con una grande gioia. Una volta al mese va a confessarsi. I genitori vedono che si fa più generoso, più buono. La marachelle spariscono ad una ad una. Angiolino diffonde attorno a sé bontà e gioia.
Dopo le elementari entra nel collegio Piamarta di Brescia, per continuare gli studi. Si fa subito tanti amici, ma dopo 15 giorni sente fitte al ginocchio destro e comincia a zoppicare.
All’ospedale i medici sentenziano che la gamba non sarebbe più guarita: tumore al ginocchio. Dopo un mese di cure inutili e dolorose, si comincia a parlare di amputazione della gamba. Angiolino è il primo a decidersi: “Così non sentirò più il dolore come sento ora”. Il 2 maggio 1961 si arriva al triste intervento.
Ha solo 12 anni, ma si comporta come un piccolo eroe. Chi gli è vicino comprende dove Angiolino attinge tanta luce e forza. Aveva letto la storia dei bambini di Fatima, che nel 1917 avevano visto la Madonna e che, per suo invito, offrivano le loro preghiere e i loro sacrifici per la conversione dei pecca-tori. Angiolino vuole imitare quei bambini e prega. “Signore, io ti ho offerto tutto per i peccatori, ma tu adesso aiutami”.
La mattina dopo l’intervento, offre un mazzo di rose rosse al chirurgo che lo ha operato: “Queste sono per lei – gli dice con un sorriso – in ringraziamento di quanto ha fatto per me”. Trascorre i giorni in ospedale, pregando e facendo del bene agli ammalati. Proprio in quei giorni conosce il “Centro diocesano Volontari della sofferenza” e capisce che un malato deve offrire i suoi dolori a Dio, per il bene degli altri, con gioia e coraggio.
Subito dopo l’amputazione, una suora gli chiede di pregare per un protestante, molto grave, che l’indomani deve essere operato. Angiolino, per ottenere la conversione di quell’uomo, appena sono spente le luci della camera, scende dal letto, e passa la notte sul pavimento, in preghiera. Il protestante si converte e muore nella fede cattolica, dopo aver ricevuto tutti i sacramenti.
Nella malattia Angiolino scopre la bellezza della preghiera e impara a ricorrere alla Madonna con il Rosario. Si attacca alla corona, prega e fa pregare.
Nell’ospedale c’è un giovane che si dimostra ateo convinto. Angiolino lo sfida a giocare a carte: “Se perdi – gli dice – vai a confessarti”. Il giovane ateo perde diverse partite e, conquistato dalla bontà del piccolo amico, decide di cambiare vita.
Quando torna a casa, organizza una festa con gli amici, diverte tutti con le sue barzellette: “Ora – dice ridendo – faccio prima a lavarmi i piedi e a tagliarmi le unghie”. Periodicamente deve tornare all’ospedale di Brescia per controlli e cure: “Vado – spiega – a far arrabbiare le suore con qualche scherzo terribile”.
Un giorno, all’ospedale, Angiolino, incontra Fausto Gei, già laureando in medicina, poi dal 1947 malato inguaribile. Ne nasce un’amicizia intensa. Il ragazzo gli confida: “Dicono che siamo dei poveri disgraziati, invece siamo i più ricchi del mondo”. Fausto risponde. “Amare, soffrire ed offrire è il nostro impegno quotidiano!”.
“Tutto per te, Gesù”
Nell’agosto del 1961, Angiolino va a fare gli esercizi spirituali nel Santuario di Re (Novara) con i “Volontari della sofferenza”. C’è anche Fausto Gei. Qui conosce Padre Aldo Giachi, sacerdote gesuita che era stato ordinato nel 1957, per speciale concessione di Papa Pio XII, sacerdote, sulla carrozzella. “Talvolta – ricorda P. Giachi – Angiolino suggeriva, nel recitare il Rosario, intenzioni di preghiera che commuovevano tutti”.
Diventava l’amico, l’esempio di vita per molti, sani e ammalati. Nonostante la mutilazione, si dimostrava disinvolto, con lo sguardo sereno e gli occhi di chi ha voglia di combinarne qualcuna. Alla stazione di Re, quando gli offrono un posto in aiuto, preferisce salirvi a piedi, reggendosi sulle sue stampelle. Ad una signora, stupita, risponde: “Non sa che ad ogni passo posso salvare un’anima?”.
Nel maggio del 1962 al raduno dei malati ad Offlaga (Brescia) si incontra con Mons. Novarese, il fondatore dei “Volontari della sofferenza”. Il sacerdote si accorge che il ragazzo è maturo e che la sua salute declina sempre più. Gli propone di entrare tra i “Silenziosi Operai della Croce”. Il 21 settembre del 1962, Angiolino offre a Dio i voti di castità, povertà e obbedienza, secondo lo spirito dei “Silenziosi Operai della Croce”: ha compiuto solo 14 anni!
Quel giorno è festa grande per lui che si offre tutto al Signore. “Ora davvero – scrive Angiolino – sono tutto tuo, o Gesù, tutto per te, per la tua Mamma, per la conversione dei peccatori, la vita, la sofferenza, la morte”.
Il suo unico progetto è ormai il messaggio della Madonna a Fatima: lavorare, pregare, soffrire, offrire tutto a Dio, perché, come diceva la Madonna. “molte anime vanno all’inferno perché non c’è chi preghi e si sacrifichi per loro”.
Torna a Cigole. La vita ormai è davvero “la via della croce”, tra l’ospedale di Brescia e la sua cameretta. Alle suore dell’ospedale continua – dice lui – a fare brutti scherzi, ma insieme le stupisce per le parole piene di fede che dice. Chi va a trovarlo ne esce consolato, sereno. Il 2 ottobre si mette a letto per non alzarsi più. Ottobre, novembre, dicembre, gennaio… quattro mesi lunghi di martirio, di preghiera, di offerta, di meriti per il Paradiso.
Una notte, Angiolino dice alla mamma: “Se io ti dicessi che presto morirò, tu che cosa faresti?”. La mamma risponde: “Compiremo insieme la volontà di Dio”. Da quel momento si fa più lieto, perché i suoi genitori accettano ciò che Dio sta permettendo per il loro figlio.
Ai primi del gennaio 1963, il male precipita verso la fine: sofferenze e dolori… Un uomo di Cigole, lontano da Dio, da anni, vedendo quel ragazzo soffrire così, comincia a pregare con lui, nella sua cameretta, poi va difilato a confessarsi. è uno degli ultimi miracoli che Angiolino compie su questa terra.
Ad alcune persone confida: “Ho fatto un patto con la Madonna: quando sarà ora, ella verrà a prendermi”. Il 27 gennaio viene il parroco, ascolta la sua ultima confessione, gli dà Gesù come viatico per la vita eterna, gli amministra l’unzione degli infermi. Al termine del rito, Angiolino dice: “Grazie!”.
Alla mamma spiega: “Te lo dico io quando morirò”. Guarda ad uno ad uno i presenti e comincia a contare sulle dita fino a quattro. Sono passate da poco le 22 e tutti comprendono che ha ancora quattro ore di vita. Fino a mezzanotte prega nominando le persone per cui intende offrire. Poi si assopisce.
Alle ore 2, nella notte gelida, gremita di stelle, del 28 gennaio 1963, apre gli occhi, guarda la mamma ed esclama: “Ecco la mia ora!”. Saluta tutti con uno sguardo, si volta verso la statuetta della Madonna e si spegne sereno. è in corso la causa di beatificazione. (Tratto da: “In braccio a Gesù” – Profili di ragazzi esemplari – Paolo Risso)