Nel 1950 Proust è un autore citato con riverenza, oggetto di culto per una piccola cerchia di appassionati, ma decisamente fuori moda. Se negli anni Venti si è ritenuto che avesse rivoluzionato la forma romanzo, altre rivoluzioni sono poi arrivate a distogliere da lui l’attenzione del pubblico: le avanguardie storiche, l’esistenzialismo di Sartre, il teatro dell’assurdo. L’immagine stessa di Proust è ormai, nella Parigi del jazz e della letteratura engagée, una sorta di icona della belle époque: lo si vede come l’esteta innamorato del “tempo perduto” che, dopo anni di dispersiva mondanità, si è votato a un’ascetica esistenza di recluso per riportare in vita i ricordi della sua giovinezza.
Come si arriva, nel decennio successivo, a una lettura di Proust di segno opposto, che fa di lui una delle figure centrali della modernità? Come si arriva al Proust di Maurice Blanchot e di René Girard, di Deleuze e di Genette, di Jean Rousset e di Roland Barthes? La chiave di questo colpo di scena sta nella scoperta del giovanile romanzo incompiuto Jean Santeuil, la cui pubblicazione, nel 1952, riporta prepotentemente al centro della scena letteraria l’autore della Ricerca. E dimostra che il suo capolavoro non è la trascrizione fedele della sua vita – frivola in un primo tempo e poi consacrata alla vocazione letteraria – ma una complessa ed elaborata costruzione intellettuale.
Lo scopritore del Jean Santeuil è uno studioso nato nel 1926, Bernard de Fallois, che a quindici anni, nel pieno della Seconda guerra mondiale, si è innamorato dell’opera di Proust. Nel 1949 è naturalmente tra i primi lettori della bella biografia di André Maurois, che mette per la prima volta a disposizione dei non specialisti qualche pagina dai quaderni inediti dello scrittore. Contatta l’autore e ottiene uno straordinario privilegio: quello di accedere alla soffitta della nipote di Proust – la figlia del fratello Robert – che ne ha ereditato i manoscritti. Tra quelle carte, Fallois si muove guidato da una precisa intuizione: non crede alla leggenda di un giovane Proust totalmente assorbito dalla mondanità e dallo snobismo. Dalle testimonianze degli amici ancora viventi dello scrittore, si è persuaso che il futuro autore della Recherchesia arrivato alla creazione del suo capolavoro attraverso una lunga serie di tentativi rimasti inediti e segreti, ma ancora recuperabili in forma manoscritta: la pubblicazione di Jean Santeuil nel 1952 e quella del Contre Sainte-Beuve nel 1954 coroneranno la sua ricerca con un successo superiore ad ogni aspettativa.
In un’intervista del 2013 a Nathalie Mauriac-Dyer, pubblicata dalla rivista francese «Genesis», Fallois ha raccontato l’incredibile emozione provata nel 1950 agli inizi del suo lavoro. Se i quaderni della Ricerca, che il fratello del romanziere aveva utilizzato per la pubblicazione postuma degli ultimi volumi, erano in ordine perfetto, le altre carte erano nel caos più totale: abbozzi e frammenti erano mescolati a partecipazioni, fatture e lettere che forse attendevano una risposta da cinquant’anni. Con incredibile pazienza e grande perizia filologica, in quel caos Fallois identificò un filo da seguire. In molti abbozzi ricorreva il nome «Jean»: era il primo indizio di un continente tutto da scoprire, un corposo romanzo in terza persona intrapreso da Proust tra il 1896 e il 1900 e lasciato da parte quando l’autore aveva deciso di dedicarsi invece allo studio e alla traduzione dell’estetologo inglese Ruskin. Fu Bernard de Fallois a battezzare quel romanzo con il nome del protagonista, Jean Santeuil, e a suddividere in capitoli la massa amorfa dei frammenti che Proust, verso il 1900, aveva abbandonato al loro destino, disperando di riuscire a trarne un’opera all’altezza delle sue aspirazioni. Nel 1971 la Bibliothèque de la Pléiade accolse poi una nuova edizione, a cura di Pierre Clarac, che si fondava sulla ricostruzione di Fallois aggiungendo qualche frammento inedito e rispettando più scrupolosamente il carattere incompiuto di alcune pagine.
Tempestivamente tradotto da Franco Fortini per Einaudi, Jean Santeuil torna ora in libreria per Theoria in una nuova, attenta versione di Salvatore Santorelli, introdotta da un saggio esauriente e bellissimo di Andrea Caterini. È il destino dei classici, quello di venir ripensati da ogni generazione in una nuova veste linguistica, e la collana in cui Theoria ha inserito Jean Santeuil si chiama proprio «I classici della letteratura mondiale». Potrebbe sembrare un paradosso annoverare tra i classici un romanzo mai giunto alla sua forma definitiva, ma è un paradosso soltanto apparente; Jean Santeuil è in realtà, come ha scritto Gianfranco Contini, «l’infanzia della Recherche», la forma imperfetta e originaria di un classico di cui ogni variante è carica di significato.
La vita di Jean Santeuil, che il romanzo segue dall’infanzia alla maturità, ha molto in comune con quella che sarà la vita del protagonista-narratore della Ricerca. Come il protagonista della Ricerca, Jean è un bimbo ipersensibile che i famigliari cercano di rendere più adatto alla lotta per l’esistenza. Nell’infanzia, le sere in cui la mamma, occupata a intrattenere qualche ospite, gli nega il bacio della buonanotte, sono per lui il momento più doloroso, archetipo di tutte le sofferenze successive legate a un bisogno d’amore mai appagato sino in fondo. Il solido ambiente alto-borghese da cui Jean proviene lo destinerebbe a una qualche carriera, ma, senza avere una precisa vocazione artistica, lui è attratto piuttosto dalla poesia, dalle suggestioni e dagli incanti della natura e dell’immaginazione. Tanto la vita mondana quanto l’amore, reso torturante dalla gelosia, lo deludono; i momenti migliori della sua esistenza sono quelli nei quali una sensazione casuale – per esempio, il riflesso del sole sulla superficie di un lago – fa risorgere un ricordo del passato sottraendolo all’opera distruttiva del tempo.
Tutte le esperienze fondamentali di Jean torneranno nella Ricerca, dal bacio della buonanotte negato alle resurrezioni della memoria involontaria, dal rifiuto di una carriera conforme alle aspettative famigliari ai tormenti della gelosia. In entrambi i romanzi Proust rielabora lo stesso materiale autobiografico, sia pure compiendo spesso scelte diverse. Sono evidenti nel Santeuil tratti d’ingenuità che scompariranno dall’opera più matura: il mondo degli aristocratici, che offre a Jean tutta l’ammirazione negatagli dal suo ambiente di origine, è fortemente idealizzato; Jean, del tutto esente da ogni traccia di snobismo è, come ha scritto René Girard, un “sosia angelico” del suo creatore. Altri temi che attraverseranno il capolavoro della maturità compaiono, in forma embrionale, in pagine che hanno il fascino della trascrizione immediata del vissuto: la magia della pittura di Claude Monet, il potere che ha la musica di riportare in vita il passato. Tra gli episodi più significativi che non saranno ripresi nella Ricerca, spiccano la vecchiaia dei genitori di Jean – oggetto di una descrizione al tempo stesso commossa e condotta con una lucidità da sociologo –, qualche scena relativa al caso Dreyfus, colta dal vivo, e la vicenda del politico corrotto Charles Marie. Il capitolo dedicato a Lo scandalo Marie è una sorta di romanzo nel romanzo. Incentrato sull’ascesa e sulla caduta di un importante uomo politico amico dei Santeuil, generoso e simpatico nella vita privata, ma privo di scrupoli nella sua carriera pubblica, ci offre un quadro della Francia scossa dallo scandalo di Panama che sarà del tutto assente dalla Ricerca. Al tempo stesso, è tra le parti di Jean Santeuil che più annunciano alcuni motivi centrali dell’opera a venire: il tema dostoevskiano della colpa e della pietà , su cui si incentrerà la vicenda della figlia di Vinteuil, e quello della conoscenza indiziaria, dei dettagli rivelatori. Le pagine sull’affiorare della verità nascosta del caso Charles Marie sono sicuramente tra le più notevoli non soltanto di Jean Santeuil ma di tutta l’opera, anche successiva, di Marcel Proust.
Così dall’oggi al domani, in seguito a un mandato di cattura, la Francia intera seppe che Marie era un ladro, nonostante si ignorassero tutte le sue colpevoli macchinazioni, eccetto una decisamente poco rilevante e della quale non si è nemmeno tanto sicuri che fosse colpevole. Ma il sequestro di certi documenti in casa sua dimostrò allora le sue relazioni con agenti d’affari disonesti nei quali il giudice, la Camera e la gente non videro tanto ciò che erano realmente, ossia l’indizio di altri atti commessi da Marie, ma la prova della sua colpevolezza in quell’atto specifico, con il quale invece non avevano nessun tipo di legame. Ma quando un uomo ha una brutta piaga, la tela innocente della sua camicia si muta nel veleno mortale che porta alla cancrena. E quando un uomo si ammala gravemente, le sue produzioni più innocenti, il fiato che esala respirando, l’urina, diventano prove schiaccianti che rivelano al medico la terribile verità.
di Mariolina Bertini