Sulla Recherche

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Á la recherche du temps perdu è la storia di una società e dei suoi meccanismi; è la storia di un Io che ritrova la pienezza di sé sull’orlo dell’estrema perdizione; ed è la storia di come le parole disposte in frasi possano modellare le cose più evanescenti lasciandosi impregnare da esse. In Proust ci sono più stili al lavoro, al punto da far sembrare a tratti che a scrivere la Recherche sia stato un gruppo e non un individuo. Lo stile non è unico: Proust sa essere secco e crudele, poi liberty e sinuoso, poi ironico e comico, poi oppiaceo e floreale, poi teoretico e acuminato, poi sociale e sociologico: e bisognerà assecondare senza resistenze questo moto sussultorio che percorre la Recherche, questo miscuglio inestricabile e spesso sfalsato e trascolorante in cui la massima evidenza sensibile e la massima asprezza concettuale si intrecciano, questo allargarsi dell’onda in un maroso immane che un attimo dopo può ridursi a un solo fiocco di spuma che ritorna acqua trasparente e poi cupa e poi ricomincia a formare onde e spume. Bisognerebbe entrare in Proust con attenzione: quel tessuto mobile di frasi chiede che tutti i sensi siano allertati e le facoltà siano sveglie, ma allo stesso tempo chiede alla svegliezza di scendere in un liquido amniotico della percezione psichica, in un buio denso di fosforescenza: qualcosa che è necessario assorbire con i pori, nel sonno e nel sogno, come gli odori di un corpo amato. E bisognerà leggere tutto, perché i dettagli sono in Proust il luogo in cui si concentra il fuoco della lente, un microcosmo che racchiude un macrocosmo: ma bisognerà anche imparare a non lasciarsi sopraffare dal dettaglio. Sarebbe necessario modellare se stessi come gli ascoltatori di una musica molto complessa, quel genere di musica che si volge e si svolge e ritorna da dove era iniziata ma con riflessi nuovi dai quali ricomincia, come la musica di Wagner: e conservare nella memoria l’eco di ciò che è accaduto prima mentre accade qualcosa ora, per ritrovarlo e risentirlo, potenziato fino all’insostenibile trecento o mille pagine dopo: solo allora il dettaglio brillerà della sua vera luce, solo chi non avrà cancellato dalla memoria il sussurrare di armonici del Longtemps con cui si apre la Recherche sentirà fino alla feccia e all’esaltazione il Temps su cui si arresta e si prolunga come su un cupo colpo di timpani il viaggio alla ricerca del sé perduto. Ma la Recherche è anche, e forse soprattutto, una immensa spettrografia dei rapporti sociali nell’era della Modernità: un modello di analisi di relazioni oppressive e sfruttamento dell’altro, di parassitismo psichico e di violenza interiore, di aggressività travestita da civilizzazione. In Proust non c’è nemmeno un grammo di sentimentalismo, ma sempre il microscopio aperto su sensi e sentimenti; e c’è il salotto, ma un salotto in cui dietro il chiacchiericcio la società porta avanti una guerra intestina in cui la sopraffazione tra gli individui giunge al culmine; e in Proust c’è, ossessivo e presente l’amore: ma come un evento che non è una facile soluzione, ma è l’inizio di un enigmatico e fascinoso problema, in cui si scontrano la fisiologia e ciò che si definisce cultura. Proust parla della trama sociale in cui l’individuo conta per ciò che possiede e per come appare, e ricostruisce il meccanismo della violenza coercitiva del vivere con gli altri secondo una visione che a Sartre faceva dire «l’inferno, sono gli altri»: quel meccanismo è vivisezionato da Proust con lucidità estrema, ma anche con l’ambigua sospensione che impedisce alla lucidità di diventare totalitaria, distruggendo così le complessità dell’oggetto reale. Nell’intransigente Maestro della Recherche non c’è nessun estetismo d’accatto o culto della «bellezza», sotto il cui orpello gli scrittori piccolo-borghesi mascherano il loro sentimentalismo cinico, e per saperlo basterebbe ascoltare il Maestro Marcel par luimême: «Accade così per tutti i grandi scrittori: la bellezza delle loro frasi è imprevedibile, come la bellezza d’una donna che ancora non conosciamo; è creazione, perché si applica a un oggetto esterno cui essi pensano – invece che a se stessi – e che ancora non hanno espresso…»

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Ma chi tra gli esseri umani normali a cui quest’epoca sbriciola e rende affannoso il Tempo ha davvero la possibilità di leggere Proust? Non una o cento pagine: qui si tratta di divorare e di essere divorati dalle tremila pagine dell’oggetto misterioso che si intitola Á la recherche du temps perdu. Ma come fare! Per leggere Proust ci vorrebbe una di quelle febbri intense, che si portano dietro una lunga convalescenza in cui l’intelligenza e la sensibilità sono sveglissime, ma il corpo ha la scusa di essere sedentario; e forse non servirebbe la stanza foderata di sughero dell’asmatico e nevrotico Marcel, ma almeno sarebbe necessaria una stanza non devastata dal rumore dei vicini e dell’universo; e senza alcun dubbio bisognerebbe avere quella pazienza innamorata che forse non possiamo più concedere né a noi stessi né a qualsiasi altro essere, vivente o no che sia, e quella concentrazione che fa il vuoto e il silenzio anche in una folla. E allora, mentre decliniamo e perdiamo sensibilità, dovremmo aspettare che la fortuna ci regali tempo e agio? No, non possiamo aspettare le condizioni perfette, né per leggere Proust né per qualsiasi altra cosa: così lastricheremmo solo di buone intenzioni la strada della rassegnazione mortuaria. E allora si legga e si viva come si può: mezz’ora al giorno, dimenticando tutto; mezz’ora, come una preghiera; mezz’ora, aprendo un vortice nell’ottusità delle abitudini. Non è sempre così che è possibile vivere? Allora su, un ampio respiro, e dentro, nella lettura, là dove forse comincia la vita vera.

Giuseppe Montesano

Sulla Rechercheultima modifica: 2024-05-19T12:44:34+02:00da ellen_blue

11 pensieri riguardo “Sulla Recherche”

  1. Leggendolo mi viene da dire che Montesano sia andato molto vicino all’opinione che mi sono fatto o, meglio, che mi sto facendo sia di Proust che della Recherche. Ovviamente non sono d’accordo su tutto, ma questa è una banalità perché non siamo d’accordo su tutto nemmeno con noi stessi.
    Sui suggerimenti che fornisce all’eventuale lettore iniziando con “Per leggere Proust ci vorrebbe una di quelle febbri intense, che si portano dietro una lunga convalescenza…”, io posso solo esprimere la mia esperienza e lo farò utilizzando una metafora nella quale se leggere la Recherche è una scelta di vita allora chi sceglie di leggerla deve sapere che questi versi Vasco li ha scritti per lui:
    “Voglio una vita che non è mai tardi/Di quelle che non dormi mai/Voglio una vita, la voglio piena di guai”.
    Diciamo che Marco Polo o Cristoforo Colombo o Indiana Jones, rispetto a chi si avventura nella Recherche, erano dei dilettanti. Immagino quanti, non avendo letto la Recherche, si chiedano quale possa essere l’atto eroico più estremo che possa essere compiuto.

  2. eheh no, tutt’altro. Avventurarsi nella Recherche è un bell’atto di coraggio, ma portarlo fino al termine è eroico :))) oppure, come uscire in barca, al primo alzarsi del vento e delle onde, guardando quanto mare hai ancora davanti a te, piuttosto che girare la prua di nuovo verso il porto, dire: “ma sì, vediamo chi è più forte”.
    Poi, arrivato all’ultima parola dell’ultim’onda o pagina, sorridendo dici a Marcel: “eheh, io avrei continuato a leggere, ma ti sei arreso prima di me” :)))

    1. Sai che mi piace spadellare, quindi ci sto alla grande anche fra 4 fuochi 🙂 ok dai, sennò t’incazzi e mi dici che su alcune tue domande ci giro intorno :)) quindi, certo che mi ci sono trovato, ma se uno dei due fuochi fossi tu, non sarei in imbarazzo o difficoltà.

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