La sofferenza di tutti quegli “io”

La sofferenza, prolungamento di un colpo morale subìto, aspira a cambiar forma; si spera di dissolverla facendo progetti, chiedendo informazioni; si vuole che passi attraverso le sue innumerevoli metamorfosi, ci vuole meno coraggio che non a conservarla pura; il letto sembra così freddo quando ci si corica con il proprio dolore. Mi rimisi dunque in piedi; mi muovevo nella stanza con una prudenza infinita, mi mettevo in modo da non scorgere la sedia di Albertine, la pianola sui cui pedali appoggiava le sue pianelle dorate, tutti gli oggetti di cui aveva fatto uso e che, nel linguaggio particolare insegnato loro dai miei ricordi, sembrava volessero darmi una traduzione, una versione diversa, annunciarmi una seconda volta la notizia della sua partenza. Ma, pur non guardandoli, li vedevo; le forze mi abbandonarono, caddi a sedere in una di quelle poltrone di raso azzurro il cui luccichio m’aveva fatto fare un’ora prima, nel chiaroscuro della camera anestetizzata da un raggio di sole, dei sogni allora appassionatamente accarezzati, adesso così lontani da me. Ahimè! non mi ci ero ancora seduto prima di quell’istante, mai se non quando c’era ancora Albertine. Dunque non potei resistere, mi alzai; e così, di continuo, qualcuno degli innumerevoli e umili io che ci compongono era ancora all’oscuro della partenza di Albertine e bisognava notificargliela; bisognava – ed era più crudele che se fossero stati degli estranei e non avessero preso in prestito, per soffrire, la mia sensibilità – annunciare la sventura appena occorsa a tutti quegli esseri, a tutti quegli “io” che ancora non lo sapevano; bisognava che ciascuno di loro, arrivato il suo turno, sentisse per la prima volta quelle parole: “Albertine ha chiesto i suoi bauli” – quei bauli a forma di bara che avevo visto caricare a Balbec accanto a quelli di mia madre -, “Albertine se n’è andata”.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Intelletto e cuore

“Mademoiselle Albertine se n’è andata!” Come si spinge più in là della psicologia, la sofferenza, in fatto di psicologia! Un attimo prima, analizzandomi, avevo creduto che questo separarsi senza rivedersi fosse precisamente ciò che desideravo, e confrontando la mediocrità dei piaceri offertimi da Albertine con la ricchezza dei desideri che mi impediva di realizzare, avevo concluso, trovandomi sottile, che non volevo più vederla, che non l’amavo più. Ma quelle parole: “Mademoiselle Albertine se n’è andata” avevano prodotto nel mio cuore una sofferenza tale, che sentivo di non potervi resistere oltre. Così, quel che avevo creduto non essere niente per me era, molto semplicemente, tutta la mia vita.

[…]

Sì, poco fa, prima che entrasse Françoise, avevo creduto di non trascurare nulla, da analista meticoloso; avevo creduto di conoscere perfettamente il fondo del mio cuore. Ma la nostra intelligenza, per grande che sia, non può cogliere gli elementi che lo compongono, e che rimangono insospettati finché, dallo stato volatile in cui si mantengono per la maggior parte del tempo, un fenomeno capace di isolarli non li abbia sottoposti a un principio di solidificazione. Mi ero ingannato credendo di veder chiaro nel mio cuore. Ma la conoscenza che non m’era venuta dalle più fini percezioni dell’intelletto, ecco che me l’aveva data, dura, lampante, strana, come un sale cristallizzato, la brusca reazione del dolore.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori