Si ama soltanto ciò che non si possiede per intero

Il tempo di Albertine non mi apparteneva allora in così grande quantità come oggi. Eppure allora mi sembrava molto più mio, perché tenevo conto soltanto – il mio amore compiacendosene come d’un privilegio – delle ore che lei passava con me; adesso – la mia gelosia cercandovi inquieta la possibilità d’un tradimento – soltanto delle ore che passava senza di me. L’indomani, Albertine ne avrebbe volute, di queste ore. Avrei dovuto scegliere se smettere di soffrire o smettere d’amare. L’amore infatti, come all’inizio è formato dal desiderio, così più tardi è mantenuto vivo soltanto dall’ansia dolorosa. Sentivo che una parte della vita di Albertine mi stava sfuggendo. L’amore, nell’ansia dolorosa come nel desiderio felice, è esigenza d’un tutto. Non nasce, non sussiste se non resta almeno una parte da conquistare. Si ama soltanto ciò che non si possiede per intero.

M. Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Le girandole della gelosia

Ogni tanto, in amore, la sofferenza cessa, ma per riprendere in un modo diverso. Piangiamo vedendo che colei che amiamo non ha più per noi gli slanci di simpatia, le amorose profferte dei primi tempi, e ancor più soffriamo se, avendoli perduti con noi, li ritrova con qualcun altro; poi, a distoglierci da questa sofferenza subentra un male nuovo e più atroce, il sospetto che lei ci abbia mentito riguardo alla serata del giorno prima, durante la quale ci ha probabilmente traditi; anche questo sospetto si dissolve, la gentilezza dimostrataci dalla nostra amica ci tranquillizza; ma, a questo punto, una frase dimenticata ci ritorna alla mente: qualcuno ci ha parlato della sua ardente inclinazione al piacere e noi non ne abbiamo conosciuto che la calma; cerchiamo di rappresentarci quali siano state, con altri, le sue frenesie, ci rendiamo conto d’essere ben poco per lei, notiamo la sua espressione di noia, di nostalgia, di tristezza mentre le parliamo, notiamo, come si noterebbe un cielo oscurato, la sua trascuratezza nel vestire quando è con noi, mentre riserva agli altri i vestiti con i quali, all’inizio, ci lusingava. Se lei, invece, è tenera, che gioia per un istante! ma, vedendo la sua piccola lingua far capolino tra le labbra come per un richiamo degli occhi, pensiamo a quelle cui esso veniva rivolto, e rivolto così di frequente che forse, anche quando Albertine era con me e non pensava affatto a loro, era rimasto in lei, a causa d’una troppo lunga abitudine, come un segnale involontario. Poi, siamo ripresi dalla sensazione di annoiarla. Ma questa sofferenza si riduce bruscamente a poca cosa al pensiero malefico di quanto della sua vita ci è ignoto, dei luoghi impossibili da conoscere in cui è stata, in cui forse ancora è nelle ore durante le quali non le stiamo accanto, se pure non sta progettando di andare definitivamente a viverci; luoghi dove lei è lontana da noi, libera di noi, più felice che con noi. Tali sono le girandole della gelosia.

M. Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Gli ho detto di no, categoricamente

Le esigenze della nostra gelosia e l’accecamento della nostra credulità sono maggiori di quanto la donna che amiamo potesse mai supporre. Quando, spontaneamente, ci giura che un determinato uomo non è per lei niente più di un amico, restiamo sconvolti dalla rivelazione di qualcosa che non sospettavamo, e cioè che egli sia per lei un amico. Mentre ci racconta, per dimostrarci la sua sincerità, come, quello stesso pomeriggio, abbiano preso il tè insieme, a ogni parola che lei dice l’invisibile, l’insospettato prende forma davanti a noi. Ci confessa che lui le ha chiesto di diventare la sua amante, e noi patiamo il martirio al pensiero che lei abbia potuto ascoltare tali proposte. Le ha rifiutate, dice. Ma fra poco, ricordando il suo racconto, ci chiederemo se fra le diverse cose che ci ha dette non c’è il legame logico e necessario nel quale, più che nei fatti raccontati, consiste il segno della verità. E poi, le sue parole hanno avuto quel terribile tono di sdegno – “Gli ho detto di no, categoricamente” – che si ritrova in tutte le classi sociali quando una donna mente. Bisogna tuttavia ringraziarla d’aver rifiutato, incoraggiarla con la nostra bontà a farci ancora, in futuro, di queste confidenze così crudeli. Al massimo, le facciamo notare: “Ma se vi aveva già fatto delle proposte, perché avete acconsentito a prendere il tè con lui? – Perché non si offendesse, e non andasse in giro a dire che sono sgarbata”. E non osiamo ribatterle che forse, rifiutando, sarebbe stata più garbata con noi.

M. Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori