Un inquieto bisogno di tirannia applicato alle cose dell’amore

A volte, la scrittura in cui decifravo le menzogne di Albertine, senza giungere ad essere ideografica, aveva semplicemente bisogno d’essere letta all’incontrario; così, quella sera, m’aveva lasciato in tono noncurante il seguente messaggio destinato a passare quasi inosservato: “Forse domani andrò dai Verdurin, non ne sono affatto sicura, ne ho pochissima voglia”. Puerile anagramma di questa confessione: “Domani andrò dai Verdurin, è assolutamente certo perché la cosa, per me, è della massima importanza”. L’apparente esitazione significava una volontà precisa, e aveva per scopo di diminuire l’importanza di quella visita nel momento stesso in cui me l’annunciava. Albertine usava sempre il tono dubitativo per le decisioni irrevocabili. La mia non lo era di meno: avrei fatto in modo che la visita a Madame Verdurin non avesse luogo. Spesso la gelosia è solo un inquieto bisogno di tirannia applicato alle cose dell’amore.

M. Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Quando la donna scopre che noi siamo gelosi

Per tornare alle giovani passanti, mai Albertine avrebbe guardato una donna matura o un vecchio con altrettanta fissità o, al contrario, con altrettanto riserbo, e come se neanche vedesse. I mariti ingannati che non sanno nulla sanno purtuttavia tutto. Ma occorre una documentazione materialmente più nutrita per fondare una scena di gelosia. D’altronde, se la gelosia ci aiuta a scoprire una certa inclinazione alla menzogna nella donna che amiamo, essa centuplica tale inclinazione quando la donna scopre che noi siamo gelosi. Si mette a dir bugie (in proporzioni mai raggiunte in precedenza) vuoi per pietà o timore, vuoi per sottrarsi istintivamente, con una fuga simmetrica, alle nostre investigazioni. Ci sono, è vero, degli amori in cui una donna leggera si pone sin dall’inizio, agli occhi dell’uomo che l’ama, come un’autentica virtù. Ma quanti altri comprendono due periodi del tutto opposti! Durante il primo, la donna parla quasi senza difficoltà, con semplici attenuazioni, della sua inclinazione al piacere, della vita galante ch’essa le ha fatto condurre, tutte cose che in seguito negherà con la massima energia di fronte allo stesso uomo di cui, intanto, ha però scoperto che è geloso di lei e la spia. Lui arriva a rimpiangere il tempo di quelle prime confidenze il cui ricordo, per altro, lo tortura. Se la donna gliene facesse ancora di simili, gli fornirebbe lei stessa, si può dire, il segreto dei torti ch’egli persegue vanamente giorno dopo giorno. E poi, di quale abbandono era la prova, di quale confidenza, di quale amicizia! Se non può vivere senza tradirlo, almeno lo tradirebbe da amica, raccontandogli i propri piaceri, associandolo ad essi! Ed eccolo rimpiangere quella vita che gli inizi del loro amore sembravano far presagire e che il seguito ha reso impossibile, riducendo l’amore stesso a qualcosa d’atrocemente doloroso che renderà una separazione, a seconda dei casi, inevitabile o impossibile.

M. Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

In amore bisogna temere anche il passato

Non occorre essere in due, basta essere soli nella propria camera, a pensare, perché nuovi tradimenti della nostra amante, foss’anche ella morta, si producano. Così, in amore, bisogna temere non soltanto il futuro, come nella vita d’ogni giorno, ma anche il passato, che molte volte non si realizza per noi se non dopo il futuro; e non parliamo solo del passato che apprendiamo a cose fatte, ma di quello che da gran tempo serbiamo dentro di noi e che di colpo impariamo a leggere.

M. Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori