La disgrazia degli esseri

La disgrazia degli esseri è di non essere per noi che tavole di collezioni molto usurabili nel nostro pensiero. Proprio per questo, si fondano su di essi progetti che hanno l’ardore del pensiero; ma il pensiero si stanca, il ricordo si distrugge: sarebbe venuto il giorno in cui avrei dato volentieri la camera di Albertine alla prima venuta, così come avevo dato senza alcun dispiacere ad Albertine la biglia d’agata o altri regali di Gilberte.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Quando dobbiamo ragionare sulla morte

Aver tanto desiderato che Albertine sapesse che avevo scoperto la storia della docce – Albertine, che non era più niente! Ecco un’altra conseguenza della nostra impossibilità, quando dobbiamo ragionare sulla morte, di rappresentarci qualcosa di diverso dalla vita. Albertine non era più niente; ma per me, era la persona che m’aveva nascosto di aver avuto, a Balbec, incontri con donne, e si figurava d’esser riuscita a farmelo ignorare. Quando ragioniamo su quanto succederà dopo la nostra morte, non è ancora la nostra persona viva quella che, per errore, proiettiamo in quel tempo? E, in fin dei conti, rimpiangere che una donna che non esiste più ignori che abbiamo scoperto quel che lei faceva sei anni fa è tanto più ridicolo del desiderare che fra un secolo il pubblico parli ancora con favore di noi, che saremo morti? Se c’è maggior fondamento reale nella seconda che nella prima, i rimpianti della mia gelosia retrospettiva derivavano tuttavia dal medesimo errore ottico in forza del quale gli altri uomini desiderano la gloria postuma.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

L’idea che si morirà è più crudele del morire

L’idea che si morirà è più crudele del morire, ma meno dell’idea che un altro sia morto, che, nuovamente piatta dopo aver inghiottito un essere, senza nemmeno un risucchio a segnalarne il luogo, torni a distendersi una realtà da cui quell’essere è escluso, in cui non esiste più nessun volere, nessuna conoscenza, e da cui risalire all’idea che quell’essere è vissuto è tanto difficile quanto dal ricordo ancora recentissimo della sua vita al pensiero che esso sia assimilabile alle immagini senza consistenza, ai ricordi lasciatici dai personaggi d’un romanzo che abbiamo letto.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

La cornice vuota di un capolavoro

E avevo avuto, insomma, una felicità e un’infelicità che Swann non aveva conosciute, proprio perché, per tutto il tempo che aveva amato Odette e ne era così geloso, l’aveva vista appena, riuscendo ad andare da lei con tanta difficoltà, in giorni concordati che lei disdiceva all’ultimo momento. Dopo, però, l’aveva avuta tutta per sé, sua moglie, e fino alla morte. Io, al contrario, più fortunato di Swann, mentre ero così geloso di Albertine l’avevo avuta in casa mia. Avevo attuato nella realtà quello che Swann aveva tanto spesso sognato e non aveva materialmente realizzato che quando non gliene importava più nulla. Ma, alla fine, io Albertine non l’avevo tenuta come lui aveva tenuto Odette. Era fuggita, era morta. Perché niente mai si ripete esattamente, e anche le esistenze più analoghe, che grazie all’affinità dei caratteri e alla somiglianza delle circostanze è possibile scegliere per presentarle come simmetriche l’una all’altra, in molti punti rimangono opposte. E certamente l’opposizione maggiore (l’arte) non si era ancora manifestata. Perdendo la vita, non avrei perduto granché; non avrei perduto che una forma vuota, la cornice vuota di un capolavoro. Indifferente, ormai, a quel che potevo metterci, ma felice e fiero al pensiero di ciò che aveva contenuto, m’appoggiavo al ricordo di quelle ore così dolci, e questo sostegno morale mi comunicava un benessere che nemmeno l’appressarsi della morte avrebbe spezzato.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Quelle carezze

Rivedevo Albertine seduta alla pianola, rosa sotto i capelli neri; sentivo sulle mie labbra che cercava di schiudere la sua lingua, la sua lingua materna, incommestibile, nutritiva e santa la cui fiamma e la cui rugiada segrete facevano sì che persino quando Albertine si limitava a farla scivolare sulla superficie del mio collo, del mio ventre, quelle carezze superficiali ma in qualche modo scaturite dall’interno della sua carne, rovesciata in fuori come una stoffa che mostri la propria fodera, assumessero anche nei toccamenti più esterni la misteriosa dolcezza d’una penetrazione.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori