Non amavo più Albertine

Non amavo più Albertine. Tutt’al più, certi giorni in cui il tempo, modificandosi, risvegliando la nostra sensibilità, ci rimette in rapporto con il reale, mi sentivo crudelmente triste se pensavo a lei. Soffrivo d’un amore che non esisteva più. Allo stesso modo i mutilati, con certi cambiamenti di tempo, sentono male alla gamba che non hanno più. La scomparsa della mia sofferenza e di tutto ciò che aveva comportato, mi lasciava diminuito come fa spesso il guarire d’una malattia che occupava molto spazio nella nostra vita. Probabilmente, se l’amore non è eterno è perché i ricordi non rimangono veri per sempre, e perché la vita è fatta di un perpetuo rinnovarsi delle cellule. Ma questo rinnovamento è pur sempre ritardato, nel caso dei ricordi, dall’attenzione che ferma, che fissa per un momento ciò che deve cambiare. E poiché il dolore, così come il desiderio delle donne, lo si ingrandisce pensandoci, avere molto da fare renderebbe più facile tanto la castità quanto l’oblio.

Marcel Proust, Albertine scomparsa II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Tra ragione e oblio

Fischiettavo frasi della sonata di Vinteuil. Non soffrivo più molto al pensiero che Albertine me l’aveva suonata tante volte, perché quasi tutti i miei ricordi di lei erano entrati in quel secondo stato chimico in cui non sono più causa di ansiosa oppressione al cuore, ma di dolcezza.

[…]

Nel seguire i viali separati di un sottobosco, ricoperti da un prato di giorno in giorno più stento, sentivo ora il ricordo di una passeggiata – quando Albertine era al mio fianco nella vettura, quando era rincasata con me, quando sentivo che avviluppava la mia vita – aleggiare attorno a me nell’incerta bruma dei rami concupiti fra i quali il tramonto faceva brillare, come sospesa nel vuoto, l’orizzontalità rarefatta del fogliame d’oro (di tanto in tanto, per altro, trasalivo come tutti coloro per i quali un’idea fissa dà a ogni donna ferma all’angolo d’un viale la somiglianza, l’identità possibile con quella a cui si pensa. “Forse è lei!” Ci si volta, la vettura prosegue, non si torna indietro); non mi accontentavo di vederlo con gli occhi della memoria; mi interessava, mi commuoveva, come certe pagine puramente descrittive in mezzo alle quali un artista, per renderle più complete, introduce una finzione, un intero romanzo; e quella natura prendeva così il solo fascino di malinconia che potesse giungere sino al mio cuore. Mi parve che la ragione di questo fascino fosse che io amavo sempre Albertine nello stesso modo, mentre la ragione vera era, al contrario, che l’oblio continuava a fare progressi dentro di me, che il ricordo di Albertine era meno crudele, cioè era mutato; ma per quanto chiaro si creda di vedere nelle proprie impressioni, come io credetti allora di vedere nella ragione della mia malinconia, non si riesce mai a risalire al loro significato più riposto; simili a quei disturbi che il malato racconta al suo medico e che aiutano quest’ultimo a risalire a una causa più profonda, ignorata dal paziente, le nostre impressioni, le nostre idee non hanno che un valore di sintomi.

Marcel Proust, Albertine scomparsa II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

La disgrazia degli esseri

La disgrazia degli esseri è di non essere per noi che tavole di collezioni molto usurabili nel nostro pensiero. Proprio per questo, si fondano su di essi progetti che hanno l’ardore del pensiero; ma il pensiero si stanca, il ricordo si distrugge: sarebbe venuto il giorno in cui avrei dato volentieri la camera di Albertine alla prima venuta, così come avevo dato senza alcun dispiacere ad Albertine la biglia d’agata o altri regali di Gilberte.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori