Pensando ad Albertine

I giorni in cui Albertine riteneva più assennato restare a Saint-Jean-de-la Haise per dipingere, io montavo sull’auto, e prima di tornare a prenderla potevo andare non solo a Gourville e a Féterne, ma anche a Saint-Mars-le-Vieux e persino a Criquetot. Pur fingendo d’occuparmi di tutt’altro e d’essere costretto a trascurarla per altri piaceri, non pensavo che a lei. Molte volte, non mi spingevo più in là della grande piana che domina Gourville, e poiché assomiglia un poco a quella che comincia sopra Combray, in direzione di Méséglise, anche trovandomi a notevole distanza da Albertine avevo la gioia di pensare che, se i miei sguardi non potevano raggiungerla, più lontano di loro sarebbe arrivata la potente e dolce brezza marina che, dopo avermi sfiorato, sarebbe scesa, senza incontrare alcun ostacolo, fino a Quetteholme, avrebbe mosso i rami degli alberi che seppelliscono Saint-Jean-de-la-Haise sotto il loro fogliame, accarezzando il viso della mia amica, e gettato così un doppio legame fra lei e me in quel rifugio infinitamente ingrandito, ma senza pericoli, come in quei giochi nei quali due bambini si trovano, ogni tanto, fuori dalla portata della voce e della vista l’uno dell’altro e, pur essendo lontani, continuano ad essere uniti.

M. Proust, Sodoma e Gomorra II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Ci sono esseri per i quali non esiste amore condiviso

E attirando a sé la mia testa per una carezza che non m’aveva mai fatta prima e di cui ero debitore, al litigio appena finito, mi passò leggermente la lingua sulle labbra, cercando di dischiuderle. All’inizio, le tenni serrate. “Che cattivo che siete!” mi disse.

Avrei dovuto partire quella sera, senza rivederla mai più. Già intuivo che, nell’amore non condiviso – vale a dire nell’amore, perché ci sono esseri per i quali non esiste amore condiviso -, della felicità non si può assaporare niente più di quel simulacro che m’era stato offerto in uno di quei momenti irripetibili nei quali la bontà d’una donna, o il suo capriccio, o il caso, fanno aderire ai nostri desideri, con una coincidenza perfetta, le stesse parole, gli stessi gesti, che se fossimo realmente amati. La cosa saggia sarebbe stata considerare con curiosità, possedere con delizia quella briciola di felicità, senza la quale sarei morto senza nemmeno supporre ciò ch’essa può rappresentare per cuori meno difficili o più favoriti; immaginare che facesse parte di una felicità profonda e durevole che mi si manifestava allora soltanto; e, per evitare che l’indomani infliggesse una smentita alla finzione, non cercare d’ottenere un favore di più in aggiunta a quello che dovevo all’artificio d’un minuto eccezionale. Avrei dovuto lasciare Balbec, rinchiudermi nella mia solitudine, restarvi in armonia con le ultime vibrazioni della voce che, per un istante, ero riuscito a rendere innamorata, e cui non avrei dovuto chiedere altro che di non rivolgersi mai più alle mie orecchie, per paura che una nuova parola – la quale, ormai, sarebbe stata inevitabilmente diversa – potesse ferire con una dissonanza il silenzio sensitivo dove, grazie a una sorta di pedale, la tonalità della gioia sarebbe sopravvissuta a lungo dentro di me.

M. Proust, Sodoma e Gomorra II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Struggimenti d’amore

Aveva un’espressione così dolce, così tristemente docile, come se aspettasse da me la felicità, che facevo fatica a trattenermi dal baciare – dal baciare con lo stesso tipo di piacere, quasi, che avrei provato baciando mia madre – quel volto nuovo, che non somigliava più al musetto sveglio e colorito d’una gatta ribelle e perversa dal roseo nasino all’insù, ma sembrava, nella pienezza della sua malinconica prostrazione, fuso nella bontà a larghe colate appiattite e cadenti. Staccandomi dal mio amore come da una follia cronica priva di rapporti con lei, mettendomi al suo posto, mi commuovevo davanti a quella brava fanciulla abituata ad essere trattata con maniere gentili e leali e che un buon amico, quale aveva creduto che io fossi per lei, ossessionava da settimane con persecuzioni arrivate adesso, infine, al loro culmine. Assumendo un punto di vista puramente umano, esterno a noi due, nel quale non trovava posto il mio amore geloso, provavo per Albertine una pietà profonda che, tuttavia, lo sarebbe stata di meno se non l’avessi amata. Del resto, nell’oscillazione ritmata che va dalla dichiarazione al litigio (il mezzo più sicuro, il più efficacemente funesto per formare, con movimenti opposti e successivi, un nodo destinato a non disfarsi più, a legarci indissolubilmente a qualcuno), a cosa serve distinguere ancora, dentro il movimento all’indietro che costituisce uno dei due movimenti del ritmo, i riflussi della pietà umana che – opposti all’amore, ma derivanti forse, inconsciamente, dalla stessa causa – producono in ogni caso gli stessi effetti? E più tardi, ricordando l’insieme di tutto ciò che si è fatto per una donna, spesso ci si rende conto che gli atti ispirati dal desiderio di mostrare che si ama, di farsi amare, di conquistare dei favori, non occupano molto più spazio di quelli dovuti al bisogno umano di riparare i propri torti verso l’essere amato, per semplice dovere morale, come se non lo si amasse.

M. Proust, Sodoma e Gomorra II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori