Nelle smisurate sere d’estate

Come è lento a morire il giorno in quelle smisurate sere d’estate! Un pallido fantasma della casa di fronte continuava indefinitamente ad acquarellare sul cielo il suo persistente biancore. Finalmente in casa era notte, urtavo contro i mobili dell’anticamera, ma nella porta che dava sulle scale, in mezzo al nero che credevo totale, la parte vetrata era traslucida e azzurra, azzurra dell’azzurro d’un fiore, d’un ala d’insetto, un azzurro che mi sarebbe sembrato bello se non avessi sentito che era un ultimo riflesso, tagliente come acciaio, colpo supremo che ancora, nella sua infaticabile crudeltà, mi infliggeva il giorno. L’oscurità completa finiva tuttavia col venire, ma bastava allora una stella apparsa accanto all’albero del cortile per ricordarmi le nostre partenze in vettura, dopo pranzo, per i boschi di Chantepie tappezzati dal chiaro di luna. E persino giù in strada m’accadeva di isolare, di raccogliere sullo schienale d’una panchina, frammezzo alle luci artificiali di Parigi, la purezza naturale d’un raggio di luna, che faceva regnare sulla città, reimmergendola momentaneamente, per la mia fantasia, nella natura, il silenzio infinito dei campi evocati, e con esso il ricordo doloroso delle passeggiate che vi facevo al fianco di Albertine. Ah! quando sarebbe finita la notte? Ma alla prima frescura dell’alba rabbrividivo, perché mi riportava la dolcezza di quell’estate in cui da Balbec a Incarville, da Incarville a Balbec, ci eravamo riaccompagnati tante volte a vicenda sino alle prime luci del giorno.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

ALBERTINE NON È PIÙ

Dimisi ogni fierezza nei confronti di Albertine, le mandai un telegramma disperato chiedendole di tornare a qualsiasi condizione, che avrebbe fatto tutto quel che volesse, che chiedevo solo di baciarla un istante tre volte alla settimana prima che andasse a dormire. E se avesse detto: “Una volta soltanto”, avrei accettato una volta. Non tornò mai. Il mio telegramma era appena partito che ne ricevetti un altro. Era di Madame Bontemps. Il mondo non è stato creato una volta per tutte per ciascuno di noi. Nel corso della vita vi si aggiungono cose che non potevamo immaginare. Ah! non fu certo la soppressione della sofferenza a prodursi in me per effetto delle prime due righe del telegramma: MIO POVERO AMICO, LA NOSTRA PICCOLA ALBERTINE NON È PIÙ, PERDONATEMI SE VI DICO QUESTA COSA TERRIBILE, VOI CHE L’AMAVATE TANTO. È STATA GETTATA CONTRO UN ALBERO DAL SUO CAVALLO DURANTE UNA PASSEGGIATA. TUTTI I NOSTRI SFORZI NON SONO VALSI A RIANIMARLA. VORREI ESSER MORTA AL SUO POSTO!

No, non soppressione della sofferenza, ma una sofferenza ignota, sapere che non sarebbe tornata mai più. Ma non me l’ero detto tante volte che forse non sarebbe tornata? Me l’ero detto, in effetti, ma adesso m’accorgevo di non averlo creduto per un solo istante. Poiché avevo bisogno della sua presenza, dei suoi baci per sopportare il male che mi facevano i miei sospetti, avevo preso, dopo Balbec, l’abitudine di stare sempre con lei. Anche quando lei usciva, quando ero solo, continuavo a baciarla. Né avevo smesso da quando era in Touraine. Avevo molto meno bisogno della sua fedeltà che del suo ritorno. E se la mia ragione poteva, qualche volta, metterlo impunemente in dubbio, la mia immaginazione non cessava un solo istante di rappresentarmelo.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

La soppressione della sofferenza

La soppressione della sofferenza? Ho potuto crederlo veramente – credere che la morte si limiti a cancellare quel che esiste lasciando il resto com’era, che elimini il dolore nel cuore di chi dall’esistenza dell’altro non ricava più che dolori, che elimini il dolore senza metter niente al suo posto? La soppressione della sofferenza! Scorrendo la cronaca dei giornali, rimpiangevo di non avere abbastanza coraggio per augurarmi quel che s’era augurato Swann. Qualora Albertine fosse rimasta vittima di un incidente, se viva avrei avuto un pretesto per correre da lei, se morta avrei ritrovato, come diceva Swann, la libertà di vivere. Ci credevo? Lui ci aveva creduto, quell’uomo così fine e convinto di conoscersi bene. Quanto poco si sa di quello che si ha nel cuore! Come, poco tempo dopo, se fosse stato ancora vivo, avrei potuto insegnarli che il suo augurio era tanto assurdo quanto criminale, che la morte di colei che amava non l’avrebbe liberato di niente!

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori