Pressapochismo invidia e felicità

Il signor Bloch padre, che conosceva Bergotte soltanto da lontano, e la sua vita dai pettegolezzi di platea, aveva un modo non meno indiretto di prendere conoscenza delle sue opere: si basava su giudizi di natura in apparenza letteraria. Viveva nel mondo dei press’a poco, in cui si saluta nel vuoto e si giudica nel falso. L’inesattezza, l’incompetenza, lungi dall’attenuare la sicurezza, la rinsaldano. Grazie al benefico miracolo dell’amor proprio, dal momento che pochi possono avere relazioni brillanti e solide conoscenze, quanti ne sono sprovvisti si credono ancor più privilegiati, giacché l’ottica della scala sociale fa sì che ogni gradino sembri il migliore a chi, occupandolo, vede meno favoriti di lui, malmessi, compassionevoli, i più grandi, ch’egli nomina e calunnia senza conoscerli, giudica e disprezza senza capirli. Persino nei casi in cui la moltiplicazione degli esigui vantaggi personali operata dall’amor proprio non basterebbe ad assicurare a ciascuno la dose di felicità – superiore a quella concessa agli altri – di cui ha bisogno, ecco, pronta a colmare il disavanzo, l’invidia. È vero che, quando l’invidia si esprime in frasi sprezzanti. “Non voglio conoscerlo” va tradotto con “Non posso conoscerlo”. Questo è il senso intellettuale. Ma il senso passionale è realmente: “Non voglio conoscerlo”. Si sa che non è vero, ma se lo si dice non è per semplice artificio, bensì (anche) perché lo si prova, e tanto basta alla soppressione della distanza, cioè alla felicità.

M. Proust, Nomi di paesi: il paese

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori