Il Bosco

Si sentiva che il Bosco non era un semplice bosco, che rispondeva a una destinazione estranea alla vita dei suoi alberi; la mia esaltazione non era provocata solo dall’ammirazione per l’autunno, ma da un desiderio. Immensa fonte d’una gioia che l’anima assapora, dapprima, senza afferrarne la causa, senza capire che niente d’esterno la motiva. E così guardavo gli alberi con una tenerezza insoddisfatta che li oltrepassava dirigendosi a mia insaputa verso il capolavoro delle belle passeggiatrici che essi racchiudono ogni giorno per qualche ora. Andavo verso il viale delle Acacie. Attraversavo fustaie cui la luce del mattino imponeva nuove divisioni, potando gli alberi, accoppiando i diversi fusti e riunendoli a fasci. Traeva a sé con destrezza due alberi; ricorrendo al potente scalpello del raggio e dell’ombra, toglieva a ciascuno metà del tronco e dei rami e, intrecciando le due metà superstiti, ne faceva un unico pilastro d’ombra, delimitato dal fulgore che il sole spandeva tutt’intorno, o un unico fantasma di luce, il cui fittizio e tremante contorno era avvolto in una rete d’ombra nera. Quando un raggio di sole indorava i rami più alti, sembrava che, imbevuti di un’umidità scintillante, emergessero essi soli dall’atmosfera liquida e smeraldina in cui la fustaia era immersa per intero come sotto la superficie del mare. Gli alberi, infatti, continuavano a vivere la propria vita, e quella, quando essi restavano privi di foglie, brillava ancor meglio sulla guaina di velluto verde che avviluppava i loro tronchi o nello smalto bianco delle sfere di vischio disseminate sulle cime dei pioppi, rotonde come il sole e la luna nella Creazione di Michelangelo.

M. Proust, Nomi di paesi: il nome

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori