La madeleine e i Mémoires d’Outre-Tombe

Non è forse da una sensazione dello stesso genere di quella della madeleine che nasce la parte più bella dei Mémoires d’Outre-Tombe? “Ieri sera passeggiavo solo…fui strappato alle mie riflessioni dal cinguettio d’un tordo posato sul ramo più alto d’una betulla. All’istante, quel suono magico fece riapparire ai miei occhi la tenuta paterna; dimenticai le catastrofi di cui ero appena stato testimone e, trasportato d’un sùbito nel passato, rividi le campagne dove avevo tante volte sentito il tordo fischiare”. E una delle due o tre frasi più belle di quelle memorie non è forse questa: “Un odore fine e soave d’eliotropio esalava da un campicello di fave in fiore; a portarlo sino a noi non era una brezza della patria, ma un vento selvaggio di Terranova, senza rapporto con la pianta esiliata, senza simpatia di reminiscenza e di voluttà. In quel profumo non respirato dalla bellezza, non depurato nel suo seno, non sparso sulle sue tracce, in quel profumo che aveva mutato aurora, cultura e mondo, c’erano tutte le malinconie del rimpianto, dell’assenza e della giovinezza”.

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Autoinganni “d’autore”

Ma si pensi, piuttosto, a tanti scrittori i quali, scontenti del brano che hanno appena scritto, se leggono un elogio di Chateaubriand o evocano un grande artista che avrebbero voluto eguagliare, per esempio canticchiando mentalmente una frase di Beethoven e confrontandone la carica di tristezza con quella che si sono sforzati di imprimere alla propria prosa, si riempiono a tal punto di quest’idea di genio che l’applicano, ripensandoci, alle proprie creazioni, non le vedono più quali erano loro apparse a prima vista, e azzardando un atto di fede nel valore della propria opera si dicono: “Dopotutto”, senza rendersi conto che la somma dalla quale scaturisce la loro soddisfazione finale include il ricordo delle stupende pagine di Chateaubriand che hanno assimilate alle proprie ma che, in definitiva, non sono stati certo loro a scrivere; si ricordi quanti uomini credono nell’amore di un’amante della quale non conoscono che i tradimenti; quanti, ancora, sperano alternativamente ora in un’incomprensibile sopravvivenza se pensano, mariti inconsolabili, a una donna che hanno perduta e che continuano ad amare o, artisti, alla gloria futura di cui potranno godere, ora in un rassicurante nulla quando, al contrario, la loro mente si ricollega alle colpe che altrimenti dovrebbero espiare dopo la morte; si pensi, infine, ai turisti che s’entusiasmano per la complessiva bellezza d’un viaggio durante il quale, giorno per giorno, non hanno provato altro che noia, e si dica se nella vita comune vissuta dalle idee nell’ambito del nostro intelletto ve ne sia una sola, fra quelle che più ci rendono felici, che inizialmente non sia andata, da autentico parassita, a chiedere il meglio della forza di cui mancava a un’idea vicina ed estranea”.

M. Proust, Intorno a Madame Swann

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori