Una di quelle giornate che al pigro non sembra d’averle perdute

Avevo promesso ad Albertine che, se non fossi uscito, mi sarei applicato al lavoro. Ma il giorno dopo, come se, approfittando del nostro sonno, la casa si fosse messa miracolosamente in viaggio, mi svegliavo con un tempo diverso, sotto un altro clima. Non si lavora nel momento in cui si sbarca in un nuovo paese, alle cui condizioni bisogna adattarsi. Ora, ogni giorno era per me un paese diverso. La mia stessa pigrizia, come avrei potuto riconoscerla sotto le nuove forme che assumeva. A volte, nei giorni (dicevano) irrimediabilmente brutti, il solo stare nella casa situata nel mezzo d’una pioggia continua e monotona aveva la scivolosa dolcezza, il silenzio tranquillizzante, il fascino d’una navigazione; altre volte, con una giornata luminosa, rimanere immobile nel mio letto voleva dire lasciar girare le ombre attorno a me come attorno a un tronco d’albero. Altre volte ancora, alle prime campane d’un convento vicino, rare come le devote mattiniere, rischiaranti appena il cielo tenebroso con i loro incerti piovaschi che il vento tiepido fondeva e disperdeva, avevo ravvisato una di quelle giornate tempestose, disordinate e dolci in cui i tetti, bagnati da un acquazzone intermittente che un soffio o un raggio bastano ad asciugare, lasciano scivolare tubando una goccia di pioggia e, in attesa che il vento torni a mutare direzione, lisciano, al sole momentaneo che li lambisce iridandoli, le loro ardesie cangianti; una di quelle giornate  così piene di mutamenti di clima, incidenti atmosferici, burrasche, che al pigro non sembra d’averle perdute, essendosi interessato all’attività dispiegata dal tempo senza di lui e per così dire al suo posto.

M. Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori