Il riposo del cervello o quello del cuore?

Uscita Albertine, sentii quale fatica fosse per me quella presenza perpetua, insaziabile di moto e di vita, che turbava il mio sonno con i suoi movimenti, mi faceva vivere in uno stato di perpetua infreddatura a causa delle porte che lasciava aperte, mi costringeva – per trovare pretesti che mi consentissero di non accompagnarla senza tuttavia apparire troppo malato e, d’altra parte, di farla accompagnare – a dispiegare giorno dopo giorno un’ingegnosità superiore a quella di Shahrazàd. Purtroppo, se con una non diversa ingegnosità la narratrice persiana ritardava la propria morte, io affrettavo la mia. Ci sono nella vita certe situazioni che non sono tutte, come questa, create dalla gelosia amorosa e da una salute precaria che non permette di condividere la vita d’un essere giovane e attivo, ma nelle quali il problema di continuare la vita in comune o di tornare alla vita separata d’un tempo si pone comunque come un problema quasi medico: a quale delle due specie di riposo bisogna sacrificarsi (perseverando nel quotidiano eccesso di fatica o tornando alle angosce dell’assenza) – a quello del cervello o a quello del cuore?

M. Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori