Diciottenni estremamente sciupati

In non pochi finivo col riconoscere, non solo loro stessi, ma anche coloro che essi erano un tempo: per esempio Ski, modificatosi non più d’un fiore o d’un frutto nell’insecchire. Era un tentativo informe, che confermava le mie teorie sull’arte. Altri, essendo persone di mondo, non erano certo degli amatori d’arte. Ma anche loro, la vecchiaia non li aveva maturati, e anche se si circondava d’un primo cerchio di rughe o di un’aureola di capelli bianchi, il loro viso paffuto era lo stesso, e conservava il brio dei diciott’anni. Non erano solo dei vecchi, ma dei diciottenni estremamente sciupati. Ci sarebbe voluto poco per cancellare i segni della vita, e la morte non avrebbe faticato, per restituire al loro viso la sua giovinezza, più di quanto si fatica per ripulire un ritratto cui solo un po’ di sporco impedisce di brillare come un tempo. Pensavo, così, all’illusione di cui siamo preda quando, sentendo parlare d’un vecchio celebre, crediamo in anticipo alla sua bontà, alla sua equità, alla sua dolcezza d’animo; perché sentivo che quarant’anni prima dovevano esser stati dei giovani terribili, e non c’era ragione di supporre che non ne avessero conservato la vanità, la doppiezza, la boria e le astuzie.

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori